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Un racconto di Sergio García

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Ultreia et suseia, avanti e in alto

Cammino verso Santiago. O’Cebreiro: 158 chilometri | Samos: 128 chilometri | Barbadelo: 110 chilometri.

La Galizia ci accoglie tra boschi lussureggianti, villaggi di ardesia e un saliscendi apparentemente infinito di pendii…

Un racconto di:   SERGIO GARCÍA   lunedì 23 agosto 2021, 02:15

La notte scende sul monastero benedettino di Samos, incastonato tra montagne e boschi frondosi. Il fiume Oribio ospita trote, anguille e granchi, e le rondini planano come ‘kamikaze’ sul suo tranquillo corso in cerca di qualcosa da mangiare. Siamo più fortunati: riusciamo a fare un picnic sulla riva, tra salici piangenti e meli, con del fuet, formaggio manchego, una bottiglia di Albariño con il tappo secco e una pagnotta di pane più dura della gamba di legno di Blas de Lezo. Tutto intorno a noi, ortiche e menta sono in abbondanza, con l’inconveniente che, man mano che l’oscurità guadagna terreno, è più difficile distinguere l’una dall’altra.

La giornata era iniziata a O’ Cebreiro molto meglio di come era dipinta il giorno prima. Quante possibilità ci sono di trovare un collega di lavoro su quella vetta tetra e che offra a Luis, Pilar e me, noi tre vagabondi, la sua casa estiva? E che stavo passando per il villaggio. 24 ore provvidenziali che ci hanno salvato dal dormire all’aperto con la rugiada che copre tutto come una evaporazione spettrale e il termometro che precipita. Questo per poter dire che i miracoli non esistono …

 Dopo questa fugace tregua, siamo di nuovo sulla strada. Fa freddo, ma le nuvole stanno svanendo e la luce rivela un percorso ben segnalato. In cima a San Roque, la statua del pellegrino ci augura “Buen Camino”, o più precisamente, “Ultreia et suseia” (Avanti e in alto), il saluto che è nato in questa zona e che dodici secoli dopo è ancora il segno distintivo. Presto raggiungiamo l’Alto do Poio, un pendio perfido ma breve, coronato da un bar dove le frittate di patate e le empanadas di tonno vanno a ruba. Fonfría, Fillobal… Mentre ci avviciniamo a Triacastela, un baldacchino di rami ci protegge dal sole fino a quando ci troviamo di fronte al “Castagno di Ramil”, 800 anni riassunti negli anelli del suo tronco artritico, fotografato fino allo sfinimento. È come il maestro Yoda, ma con la corteccia …..

Triacastela è brulicante di attività, in parte perché è la fine della tappa, ma anche per le sue terrazze sulle quali sosta l’odore del polpo, del brodo galiziano e della lingua in umido. Noi, comunque, continuiamo fino a Samos, perché dal momento in cui entriamo in Galizia, la mancanza di letti condiziona tutta la nostra strategia. Il fiume vagheggia a sinistra, senza ufficio né beneficio, lasciandosi andare, alimentando il sopore della digestione.

Arriviamo così a San Cristóbal do Real, dove le case si sbriciolano intorno a una chiesa che senza dubbio, ha visto giorni migliori. In piazza Arturo e José parlano: il primo, 84 anni, afferma di essere un parente di Fidel Castro, “un cugino di secondo grado da parte di madre”, nientemeno; il secondo, che ha già compiuto un secolo, brandisce il suo báculo,  mentre si scaglia contro i politici galiziani che sono arrivati a Madrid “e hanno dimenticato questa terra”.

Le pietre del cimitero con cui il villaggio si congeda sono sorde. I cimiteri galiziani sono un piccolo prodigio, con i loro muri imbiancati e il verde cadaverico che colonizza le lapidi delle tombe. Sì, so che ci sono croci e fiori e immagini di paesani in abito domenicale, come in qualsiasi altro. Ma si ha la sensazione che qui palpitano, che le signorie che (come diceva Jorge Manrique, “ci vanno dritte per essere finite e consumate”), non hanno ancora detto l’ultima parola. Che la loro assenza conta.

Infezione in un pollice: Una volta passata Samos, il Camino ci riserva altre cose, ma avvolte in un velo di bruma come si addice all’alba. Ci sono rampe vertiginose, come in una gara di corsa campestre, celate dietro l’ultima curva e concepite per lasciarci senza fiato, e discese in dolce pendenza fiancheggiate da lecci e castagni. Si sente solo il cinguettio degli uccelli e lo scorrere del fiume.

Sarria ci accoglie con una scalinata che è un’altra sfida per i nostri quadricipiti, ma è solo dopo la colazione che scatta l’allarme. Luis sta passando un brutto momento da ore; un inciampo inopportuno di qualche giorno fa gli ha provocato un’infezione al pollice del piede destro. Non può continuare. Deve fare un controllo urgente al pronto soccorso, dove in sole due ore viene visitato, radiografato per escludere fratture, poi gli vengono prescritti antibiotici e l’alluce viene ingessato. Un bel lavoro per tutti noi che infine respiriamo …

Mangiamo nel centro storico di Sarria, sempre, ovviamente, ai piedi di una collina. Spalla di maiale, peperoni, empanadillas… «Sfiniti sono sfiniti, ma come divorano..», deve pensare l’Apostolo. José Luis, il proprietario de “La Taza Mágica”, è oste da una vita, felice di vedere la clientela soddisfatta, e decide di finire il “lavoro” servendoci un “orujo” (acquavite di erbe), di sua invenzione che è quasi una filtro magico: untuoso, aromatico, di un dolce esasperante, perciò lui Merita le due orecchie, la coda e di essere portato fuori dalla porta principale”.  (NB: Sarebbe come dire al torero che avendo trionfato, può avere le orecchie, e la coda del toro, ed essere portato fuori in trionfo dalla porta principale..).

Non rimandiamo oltre, perché l’ultimo tratto è duro. Cinque chilometri fino a Barbadelo, che, con la pancia  piena e il sole splendente, è molto simile a una penitenza. Lì ci aspetta Carmen, un uragano che ci fa, ci disfa e ci ribalta. Solo i cagnolini all’entrata sembrano estranei al suo fascinoso magheggio. Accanto all’albergue, si trova la cappella di famiglia, dedicata a San Silvestre. Carmen ci racconta con naturalezza come sua madre lavava nel canale la scultura del XII secolo che riposa all’interno; la policromia ora è velata, chissà, forse per sempre. Ci racconta anche di tutte le coppie che hanno generato i loro figli lì, sotto quelle stesse travi. “Non pensi che sia bello?”

“Se al Santo non dispiace, nemmeno a me”…..

Adattamento e libera traduzione – Mauro Sala