Via Lemovicensis

Via Lemovicensis – Camino Francés

Capitoli:

  1. Copertina diario
  2. Perchè “Pellegrino” oggi?
  3. Al Pellegrino della “Voie Historique de Vézelay”
  4. Vezelay, o la “Colline Eternelle”
  5. Diario
  6. Fotografie

Perché “Pellegrino” oggi?…

Pellegrini lo siamo tutti, e lo siamo da sempre… Molte cose ce lo fanno dimenticare… Pellegrino, è l’homo viator che affronta un viaggio verso un lontano luogo sacro con una motivazione di fede, ed un effettivo bisogno di cambiamento spirituale… E’ colui che vede ed ammira le cose del mondo, ma desidera anche comprendere e meditare sulle cose dello spirito…E’ colui che, umilmente, lascia che il cammino con le sue “fatiche”, provochi il rinnovamento interiore a cui anela, sapendo che quando ritornerà, non sarà più come era partito, ma sarà un “Uomo nuovo”

Proprietà artistica e letteraria: Sala Mauro.

Fotografie: Sala Mauro.

Tutti i diritti riservati. ©

Al Pellegrino della “Voie Historique de Vézelay”

  1. Considera che migliaia di pellegrini di ogni classe e condizione hanno percorso il tuo stesso cammino durante secoli. Anche tu calpesterai le loro orme, e dopo di te altri faranno lo stesso cammino, fai parte di una lunga Storia!
  2. Cammina con un bagaglio leggero, uno zaino ed una borraccia bastano, così nella vita, poche cose sono necessarie e solamente alcune sono imprescindibili.
  3. Passa da ostello a ostello senza pregiudizi né preconcetti, ricevi con umiltà l’ospitalità, lasciati accogliere senza esigenze e pratica la nobile virtù della riconoscenza ed il saluto cordiale, il rispetto, porta con gioia la tua precarietà.
  4. Sperimenta con tutta la tua anima ed in tutto il tuo corpo come, andando, si fa cammino. Che la stanchezza di ogni giorno non ti privi della gioia intima di sentirti pellegrino, il cammino ti affatica, però il tuo spirito si rinvigorisce.
  5. E così scopri come, facendo il cammino, il cammino ti forma, perché mai si cammina invano. Tu sei anche il cammino che fai!
  6. Ricorda che è durante il cammino che avviene l’insolito ed il salvifico! “Gesù andava ad un paese chiamato Nain…” “Scese a Cafarnao” “Attraversava alcuni campi seminati” “Di ritorno dal fiume Giordano entrò in un villaggio” “Scendendo dal monte si fermò in un posto piano” “Gesù in persona si avvicinò e si mise a camminare con loro…” Per questo ha potuto dire con verità: “Io sono il Cammino.”
  7. Sai che il pellegrino non è un turista né un vacanziere, sai che essere pellegrino è simboleggiare la tua uscita di casa, guarda che non si ritorna come si è usciti! E’ la tua propria anima che cammina.
  8. Cammina con gli occhi ben aperti pronti alla sorpresa ed alla ammirazione del mondo che percorri, allora non avere fretta, gioisci con il camminare, non affrettare i tuoi passi, non agitarti, tranquillizzati e prega.
  9. Se fate il cammino assieme, fatelo tollerabile, canta e rendi felici i passi dei tuoi compagni, rendi facile il camminare insieme, forse puoi fare nuove amicizie, consolidare quelle iniziate, rafforza i legami di amicizia.
  10. Visita con devozione i santuari del Cammino di Santiago indicati durante il percorso, cerca le vestigia del percorso, avvicinati al cimitero, al mercato ed alla piazza del paese, osserva gli usi locali, i monumenti, conosci la sua storia, le sue leggende, le sue tradizioni, prova la sua acqua, il suo vino ed il suo pane, conversa con la gente del posto, il pellegrinaggio è anche culturale, letterario, artistico, musicale, folclorico e gastronomico.
  11. Cerca per quanto possibile di seguire i vecchi cammini del pellegrinaggio: Attraversare quel vecchio ponte, riposare ai piedi di quella croce, bere a quella fontana, scendere al fiume, ascendere a quella chiesetta… e praticare i riti propri del pellegrino.
  12. Pensa infine, se tutto quello che stai sperimentando nel cammino non è in fondo se non una chiamata di Dio che ti invita a seguirlo per il “Gran Cammino”, quello della Vita…

ed ogni mattina recita al cominciare il cammino:

Herru Sanctiagu
Got Sanctiagu
Ultreya et Suseya
Deus Adiuva nos
Alleluia

Vezelay, o la “Colline Eternelle”

Le origini del primo Monastero, risalgono all’858 sul sito dell’attuale St-Père-sous-Vezelay. Distrutto dai Normanni, nell’873, il Monastero è trasferito sulla collina dove è tutt’ora. e le prime reliquie di Maria Maddalena provenienti da Saint-Maximin (Provenza), furono qui portate da un monaco. Numerosi furono gli avvenimenti tragici e terribili che segnarono la sua storia; qui il giorno di Pasqua del 1146, San Bernardo predicò la Seconda Crociata, e nel 1166 Thomas Beckett, Arcivescovo di Canterbury in esilio, vi pronunciò la solenne condanna del suo Re, Enrico II. Nel luglio 1190, Riccardo Cuor di Leone e Filippo Augusto, qui si ritrovarono per partire per la terza Crociata, e nel 1217, due compagni di Francesco d’Assisi, qui fondarono il primo Convento Francescano di Francia “La Cordelle”. Dopo il 1260, in piena rivalità con Saint-Maximin a riguardo della autenticità delle reliquie di Maria-Maddalena, iniziò una rapida e profonda decadenza dei pellegrinaggi all’Abbazia di Vezelay. Venne in seguito messa a sacco dagli Ugonotti e nel 1760, gli edifici Abbaziali furono parzialmente demoliti e venduti; 30 anni dopo, le restanti vestigia vennero completamente rase al suolo e le pietre vendute; le sculture esteriori dei Portali furono oggetto di odio cieco, tanto che vennero prese a martellate. Nel 1840 ebbe inizio una vasta opera di ricostruzione e nel 1876, nuove reliquie di Maria-Maddalena, furono donate alla Chiesa con conseguente rinnovamento di grandi pellegrinaggi. Nel 1920 la Santa Sede accordò alla Chiesa il titolo di Basilica riconoscendole il suo carattere di Cristianità nella Storia. Nel 1946 una Crociata della Pace riunì 40000 pellegrini per commemorare l’ottavo Centenario della predicazione di San Bernardo e la fine della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1979 La Basilica ed il sito di Vezelay, sono riconosciuti dall’Unesco come Patrimonio di interesse Mondiale. Invero, una storia molto travagliata, ma che ha saputo, lungo i secoli, tenere desta la fede cristiana che qui ha messo radici profonde, a volte recise, ma mai estirpate, ed è da questa Basilica, da questo luogo carico di storia millenaria dedicato a colei che fu peccatrice ed in seguito redenta fino alla Santità, che mi accingo a muovere i miei passi verso un altro grande luogo di culto. Anch’esso lungo i secoli, ebbe il gravoso compito di tenere viva la fiamma del Cristianesimo in una Europa invasa da genti e razze diverse che praticavano religioni totalmente opposte al Cristianesimo; verso Santiago di Compostella, meta di grandi pellegrinaggi che a tutt’oggi, hanno riconosciuto il merito di avere contribuito a creare l’Europa oltre che a cementare la fede cristiana nelle numerose Nazioni che la compongono. Già da alcuni anni Vezelay era il nome che occupava i miei pensieri di pellegrinaggio, ma per una ragione o per un’altra, muovere i miei passi dalla sua Basilica sembrava sempre più difficile, anche perché il Cammino, assommava a circa 2000 Km per raggiungere la sua naturale meta, Santiago di Compostella; circa 70 giorni con qualunque tempo ci fosse; pioggia, sole, caldo, freddo, tempesta, afa, montagna o pianura, poiché al moderno pellegrino è dato di sostare solo per una notte nel luogo di arrivo, se non che, in caso di necessità, come un malanno, gli sia impedito di procedere giorno dopo giorno verso la meta prefissata. Gli sono di conforto e sprone due bellissimi motti che egli ha presente al mattino di ogni giorno di cammino che il buon Dio gli manda:

“Ad Limina Sancti Jacobi!” – “Visitandum est!”

Diario

Martedì 19 / Mercoledì 20 Agosto 2003: In viaggio verso Vézelay. Soeurs Franciscaines. Vézelay; Centre Sainte-Madeleine. Alloggio ed accoglienza pellegrini. Rue Saint-Pierre. Tel: 03 86 33 22 14

È un Agosto terribile quello che trascorre lentamente in quest’anno 2003; in tutta l’Europa vi è una canicola opprimente e le temperature sfiorano sempre i 42°. Dalla Francia si hanno notizie di decessi dovuti all’eccessivo calore, ma anche nelle altre Nazioni il caldo non scherza. Da buon pellegrino che tiene in debito conto la pazienza, penso se anche quest’anno il pellegrinaggio sulla “Via Lemovicensis”, partendo dalla “Colline Eternelle” di Vézelay, potrà aver luogo mentre passano i giorni attendendo che le temperature siano più “umane”, oppure finirà che dovrò partire molto più tardi con il rischio che, quando arriverò in Galizia in Spagna, in quelle bellissime contrade la pioggia la farà da padrone con conseguente freddo e nebbia che, per forza di cose, sono compagne di stagione. Le mie date di partenza erano per il giorno 11/12 di Agosto, ed il ritorno entro l’ultima settimana di Ottobre, giusto per evitare le brume sui monti del Bierzo e di godere dei suoi splendidi panorami di prati e boschi che si colorano di giallo e rosso con un tappeto di castagne pronte da raccogliere, senza dimenticare l’uva che è il prodotto di maggior pregio delle sue colline e dalla quale si ricava vino di qualità. Tutto sbagliato; parto il giorno 19 Agosto con la calura che si è leggermente ammansita, ma che non è da sottovalutare. Il treno delle 23,30 mi porta da Milano a Digione issato in una cuccetta dove, per così dire, cerco di dormire un poco, ma è un affare rischioso, poiché la carrozza sbatacchia da tutte le parti ed è già qualcosa che non cada come una pera matura durante il lunghissimo dormiveglia! Santa Maria-Maddalena mi aiuta sicuramente, ed alle 05,39 atterro a Digione senza ulteriori affanni; già in debito di sonno controllo che il treno delle 07, che mi porterà a Montbard, sia sul tabellone delle partenze, poi mi parcheggio nel bar soppesando se non sia il caso di contestare questi baristi francesi che ancora non sanno come debba essere fatto un caffè “decente”, ma tant’è, sono un pellegrino, e fra tutte le buone virtù che il pellegrino dovrebbe possedere vi è quella, mai abbastanza “lodata-vituperata”, della pazienza. Fuori il tempo è sul piovoso ed a tratti vi sono degli improvvisi rovesci che rinfrescano l’aria. 15 minuti di ritardo del treno non mi creano alcun problema ed all’arrivo, a Montbard, devo solo attendere l’orario di partenza dell’autobus”Rapides de Bourgogne” che mi porterà a Vezelay a 30 Km circa. Parte in perfetto orario con poche persone a bordo, ed alle 10 di mercoledì 20 Agosto 2003 giungo a Vézelay. Passando sotto l’antica Porte du Barle, salgo la ripida stradina che mi porta sulla sommità della “Colline Eternelle”, entrando così nella parte antica della cittadina dove, bellissima, sorge la Basilica dedicata a Santa Maria-Maddalena.

Maria di Magdala, liberata da Gesù da sette dèmoni; Maria di Betania, sorella di Lazzaro resuscitato da Gesù; Maria, peccatrice anonima evocata nel Vangelo da San Luca;

Chi era dunque Maria-Maddalena? Alcune donne vicine al gruppo che seguiva Gesù, sono state confuse con lei, ma cosa importa? Per la confessione ed il perdono delle sue colpe, per la sua fede nella Resurrezione di Gesù, della quale lei fu la prima testimone e che lei corse ad annunciare, Ella è considerata a buon diritto come modello di fede al quale tutti i credenti devono ispirarsi.

È una Basilica bellissima, e (nelle sue note), si dice che il materiale principale che la compone, sia la luce: Effettivamente i suoi costruttori hanno avuto mano felice in questo, poiché entrando, si passa dal nartece che è quasi sempre in una sorta di leggera penombra, mentre la navata centrale, Romanica, è letteralmente invasa dalla luce che proviene dalle alte finestre, ed anche il colore delle differenti pietre della costruzione, gioca un ruolo importante nella calda dolcezza della sua luce. Il pellegrino, entrando dal nartece (posto anteriormente alla navata), cioè zona fievolmente, o solo di riflesso illuminata (che simboleggia una situazione di colpa), allorchè entra nella navata centrale, che è inondata di luce, sente (anche fisicamente) di venire purificato da questa luce proveniente dall’alto, e, non solo simbolicamente, di essere alla presenza di Dio stesso; per questo egli esperimenta una “conversione”, fisica, ma soprattutto spirituale. I pochi passi compiuti passando dal nartece nella navata, hanno il significato di un lavacro dalle sue colpe ed il premio è giungere alla luce, ammesso alla presenza di Dio stesso che è la Luce; qui, in questo caldo ed abbagliante chiarore che lo avvolge, egli si sente avviato verso una nuova vita in comunione con il suo stesso Creatore dopo essere stato “illuminato”.Ogni mattino, dopo l’oscurità della notte, l’interno di questa Basilica viene letteralmente invaso dal sole e coloro che vi si trovano esperimentano con stupore e con emozione l’essere avvolti da una luce morbida e calda; la Vera Luce che per i credenti è la Resurrezione, mistero di fede e premio finale di tutta la vita cristiana. Mi aggiro estasiato in questo chiarore all’interno della Basilica ancora con lo zaino in spalla, poi ricordando cose più prosaiche (alloggio per 2 giorni), mi dirigo in Sacristia chiedendo ad una suora della Fraternità Monastica di Jerusalem se vi è possibilità di alloggio presso di loro alla Maison-Saint-Bernard. Mi indirizza verso una stradina a destra della Basilica dove è la Maison, ma quando vi giungo, la suora all’accoglienza si dice dispiaciuta, ma stanno chiudendo la Maison fino al 1° Settembre per un incontro tra tutte le Fraternità e pertanto mi indirizza presso le suore Francescane, al Centre Sainte-Madeleine a pochi passi dalla Basilica. Vengo accolto in foresteria, e dopo una ansiosa attesa per via di camere già riservate, mi trova una accogliente cameretta con vista sulla Basilica per i 2 giorni in cui resterò a Vézelay, mentre per il giorno in cui ritornerò da Argenton, dopo aver completato il percorso Nord, dovrò cercarmi un altro alloggio, probabilmente in un Hotel, ma per ora va benissimo così.

Alle 12 partecipo alla S.Messa nella Basilica, e qui riascolto le stupende armonie salmodianti delle suore e dei monaci della Fraternità di Jerusalem che l’anno scorso mi avevano avvinto nella Abbazia di Mont-Saint-Michel. Al termine, lascio loro i saluti per Suor Petra, la Suora Ospitaliera che aveva accolto me ed i miei confratelli al Mont-Saint-Michel. Un piccolo Restaurant (La Coquille sic!) mi accoglie per un meritato pranzo alle 13,30; riposo per un paio d’ore in cameretta, poi inizia il cammino turistico alla Basilica ed in tutta la bella cittadina; occorrerebbe un binocolo per osservare al meglio tutti gli stupendi capitelli che adornano le colonne, per cui mi aiuto con una buona guida cercando di evitare il torcicollo o di inciampare nei numerosi turisti anche loro con i nasi per aria. Uscendo un poco frastornato da tanto ammirare, mi imbatto in due pellegrini Olandesi che stanno cercando alloggio, così li aiuto ad avere alloggio per una notte presso le suore. Parlano poco in francese, così sono costretto a ricordarmi sveltamente l’inglese che avevo ricominciato a studiare. Provengono dalle loro case vicino a Namur, ed hanno percorso già circa 600 Km, mentre domani proseguiranno sul percorso Sud, passando da Nevers, verso i Pirenei diretti a Santiago di Compostella. Ci salutiamo sperando di poterci incontrare sul Cammino anche se avranno su di me un vantaggio di 10 giorni circa, quindi mi occupo dei necessari acquisti per la cena e la colazione dell’indomani, poiché, se il mio cammino sarà di 2 mesi o poco più, sarà bene che già fin da ora tenga d’occhio il budget…. Gli acquisti delle cibarie e cartoline mi portano via parecchio tempo avvicinando l’ora della cena. Il tempo verso l’imbrunire cambia repentinamente e complice una fresca brezza, di tanto in tanto scarica deboli rovesci che aiuta a rinfrescare anche l’ambiente della mia cameretta. Come tutte le cittadine turistiche, Vézelay alle 21 è praticamente deserta; le sue stradine sono vuote e solo i restaurant e gli Hotel sono affollati, per cui dopo un giro turistico per stancarmi un poco, mi accomodo nella bella cameretta dando inizio al lunghissimo rito dello scrivere le doverose cartoline a tutti i conoscenti ed amici.

Giovedì 21 Agosto giorno di visita di Vézelay e del villaggio di Asquins

Notte fresca con i vetri della cameretta che, al mattino, sono ricoperti da un velo di vapore; sono le 07 mentre guardo fuori nella piazza ancora deserta, il cielo è di un bellissimo colore azzurro e senza una nuvola. Naturalmente, dovendo fare oggi il turista mi attardo molto volentieri sotto le coperte fino alle 08, cosi dopo le abluzioni mattutine, mi reco in cucina dove ritrovo i due pellegrini Olandesi intenti alla colazione. Riprendiamo la conversazione sul tema dei pellegrinaggi fin quasi alle 9,30, poi li saluto poiché avevo deciso di visitare il piccolo villaggio di Asquins da dove, anticamente, iniziavano i grandi pellegrinaggi a Santiago di Compostella, e dove (si dice) dal 1135, soggiornò Aymeri Picaud per comporre il famosissimo “Liber Sancti Jacobi” del “Codex Calixtinus” e che ancora oggi all’interno della sua chiesa, custodisce un busto raffigurante San Giacomo risalente al XVI° sec. Scendo dalla parte est della collina diretto verso l’antico monastero francescano della “Cordelle” seguendo le segnalazioni al lato del sentiero che, pietroso e ripido, non è gradito dai sandali che ho ai piedi, costringendomi a porre molta attenzione alle pietre più infide. Sono le 10,30 ma la temperatura è già elevata ed il cielo si mantiene limpido. All’entrata del piccolo villaggio passo accanto ad un antico lavatoio addossato ad una casa, poi, leggermente in salita giungo alla chiesa dedicata a San Giacomo, consacrata nel 1709, ma ricostruita in gran parte attorno al 1760. Vi è ancora lo spazioso prato dove i pellegrini si radunavano attorno alla Croce. All’interno, vi sono degli affreschi e delle vetrate raffiguranti San Giacomo, ed un poco nascosta in un rientro della navata, ecco il busto/reliquiario di San Giacomo, in legno dipinto, custodito in una teca di vetro. I suoi lineamenti sono semplici, quasi infantili, forse opera di uno scultore minore. Anche l’interno è semplice, e tutto parla e suggerisce scene di addii, di voti espressi e da sciogliere quando verrà raggiunta la lontanissima meta. Vi sono all’opera delle persone che coprono esternamente tutte le vetrate con dei teli neri portando all’interno molti leggii e strumenti musicali; alle mie domande, mi rispondono che questo pomeriggio alle 16, vi sarà un concerto strumentale proprio in questa chiesetta, mentre alla sera, un altro gruppo di musicisti e coristi, daranno un concerto polifonico nella Basilica a Vézelay: Chiedo quanto costa il biglietto di ingresso, e rimango di sasso, 24 Euro! Credo proprio che assisterò al concerto polifonico nella Basilica alle 21! Ritorno a Vezelay nel primo pomeriggio e seduto ad un tavolino del bar che dà sulla piazza della Basilica, in un angolino tranquillo, pranzo con pane e salame e due enormi birre che mi sembrano molto più buone che in Italia; proseguo anche l’opera di scrittura delle cartoline e del diario minimo che mi servirà (una volta rientrato in Italia) a redigere il vero diario. Ogni tanto si avvicina qualcuno che, vedendo la mia piccola conchiglia al collo, mi pone delle domande; se sono un pellegrino, se vado a piedi e da dove provengo. Vengo generalmente scambiato per un belga, oppure per un olandese, per cui quando dico loro che sono italiano, restano di sale notevolmente stupiti. Effettivamente, vengo informato che di pellegrini italiani partiti di qui a piedi, non ne hanno mai visto neanche l’ombra; ho la netta sensazione di essere una specie di mosca bianca, e questo mi fa aumentare la voglia di iniziare il cammino. Vézelay non è molto grande, per cui al pomeriggio mi reco a visitare il villaggio di Saint-Père-sous-Vézelay, da dove inizia la Branche Sud che porta verso Nevers; ho cosi modo di ammirare da lontano la collina dove sorge Vézelay, dai fianchi coperti da vigneti fino al limitare delle case, su cui spicca la Basilica con la torre campanaria. Alla sera assisto al concerto polifonico con la navata gremita di gente, ma devo dire che apprezzo molto di più i canti della Fraternità Monastica di Jerusalem durante la S.Messa che hanno il potere di emozionarmi e di darmi dei brividi altrimenti sconosciuti. Forse era cosi anche per i pellegrini quando, poco prima di partire, assistevano alle funzioni religiose durante la quale venivano benedetti? Non mi è dato di saperlo, ma credo di sentirmi perfettamente come uno di loro in questo momento! Vai pellegrino vai! Stai entrando nello spirito del Cammino! L’emozione è viva in te, fai parte del mondo ma sei tu il mondo, sai che hai bisogno del Cammino come l’aria che respiri, ma anche il Cammino ha bisogno di te poiché il Cammino sei tu; non vi è Cammino senza pellegrini; tu sei la scolta solitaria che esplora e tiene aperte le antiche Vie del mondo cristiano rendendole vive e sicure. Portando su di esse la tua testimonianza di un antico e nuovo modo di essere “Chiesa”, tu sei colui che mette in pratica le parole di Gesù:

“Andate e siate miei testimoni”.

Se forte fu il richiamo, ora forte è l’anelito
già i piedi cantano e veloci volano
A Santiago! A Santiago!
dalla Collina Eterna a Monte do Gozo
Per interminabili leghe non doserai lo sforzo
Pellegrino, arde forse in te il fuoco divino?
Ricorda, ne sei testimone in questo lungo Cammino.

Diario

Venerdi 22 Agosto 2003. 1° tappa: Vézelay – Ouagne. 23,5 Km Chambre d’Hôtes M. Vallet. Tel: 03 86 27 01 36.

Ieri sera ero andato a letto con un po’ di emozione nell’animo; all’indomani sarei partito calcando la “Via Lemovicensis”, antica via di pellegrinaggio delle genti del Nord che mano a mano che si rendevano al Sud, si mischiavano ad altri popoli più mediterranei dai costumi e dalle usanze diversissime, la maggior parte di essi uniti da un’unica motivazione: visitare la maggior parte delle Chiese che custodivano le reliquie di qualche Santo sul percorso principe che conduceva a Santiago di Compostella nella lontanissima Galizia, regione ai confini del mondo conosciuto, là dove era custodito il corpo di San Giacomo. Infinitamente pericoloso era allora il loro pellegrinare, il portare la loro fede, la loro cultura, le loro lingue in plaghe sterminate e poco conosciute, spesso trovandosi al centro di periodi di guerre, carestie, pestilenze, fatti segno a ruberie di ogni genere. Ma l’essere “Chiesa” di allora era vera, e costoro trovavano “Hospitales” veri, dove erano accolti e confortati con spirito cristiano, curati nel corpo e nello spirito da persone e da istituzioni che si dedicavano completamente a loro! 2000 Km avevo davanti a me, e sapevo che quegli “Hospitales” non c’erano più…, o forse…

Amo “essere pellegrino”; so che le persone mi vedranno come un cristiano che sta testimoniando la sua fede in maniera particolarmente faticosa ma viva; il mio modo di essere “Chiesa”, forse rispecchia quello che era la Chiesa di allora; viva, ruspante e partecipativa in modo più “fisico”, che non teorico, ma ora temo che quella Chiesa non vi sia più; e mi dispiace moltissimo vedere che anche tra il clero di qualunque latitudine la pratica del pellegrinaggio a piedi, oppure il pellegrino, spesso sono visti con fastidio. Anche qui, sui Cammini, vedo segni inconfondibili che il modo di intendere l’essere “Chiesa” oggi, è il più comodo ed il meno fastidioso possibile. Sarei felicissimo se le Vie del mondo cristiano fossero percorse nuovamente da migliaia di “veri “ pellegrini che le calcano e le esplorano, rendendole così percorsi su cui la Fede vi aleggi e si propaghi. Proprio come sentinelle d’altri tempi che, percorrendo giorno dopo giorno miglia e miglia infaticabilmente, vigilavano e rendevano sicure e vive le strade ed i confini dei Regni, riportando la fiducia a coloro che, pellegrini o meno, vi si inoltravano. Con tutti questi pensieri che affollavano la mia mente, mi ero addormentato alle 02, ma ora, alle 07 sono pronto; anticamente non si sapeva che era adrenalina, ma io lo so, e se fosse possibile, credo che la si possa vedere intorno a me come una aura, dalla felicità che provo nello scendere la stradina ancora deserta di Vézelay, verso la prima freccia che mi indirizzerà sul Cammino. Come un novello Bilbo, scorgo alla periferia di Vézelay la prima placchetta di plastica con l’amata freccia gialla e la conchiglia stilizzata che mi indirizzano a destra verso una stele in pietra. La Guida descrittiva anche se è dell’anno 2000, quindi non aggiornata, si dimostra veritiera. Come Santa Anna, a volte mi guardo indietro per rivedere Vézelay (anche se so che tra 10 giorni ci ritornerò), ed il percorso affronta le prime salite, corte ma ripide, di questo territorio collinoso. Dopo circa 3 Km, ecco il primo sentiero di terra ed il primo tratto di antica strada romana ancora con tracce di pavè. Vi è letteralmente un tappeto di foglie che lo ricopre ed ai lati vi sono faggi e betulle che gli fanno ala. Sono nella Forêt domanial de Chaffour-Ferrières; a volte i sentieri sono invasi dall’erba ma sono ben percorribili. È lunga circa 2 Km questa Via Romana, poi arrivo su un largo sentiero di terra con un segnale che a destra, indica “Voie Romaine” e poco più avanti un altro pannello “Temple-Voie Romaine” indicante il sito di una Villa Gallo-Romana. Per alcuni tratti percorro dipartimentali strette ed assolutamente deserte; i campi che stanno ai lati hanno il grano già falciato, cosi come le coltivazioni di girasoli o di mais, per cui non vi è nulla che sporga dal terreno per più di 10 cm, e l’occhio ha buon gioco nell’abbracciare un ampio arco di orizzonte. Poco prima del villaggio de la Maison-Dieu, nella Forêt domaniale de Maulay, un bel capriolo schizza fuori dal suo nascondiglio al lato del sentiero, ed in quattro salti si mette al riparo nel folto del querceto anche se gli dico di aspettare un tantino per la foto. Ho già lasciato il Dipartimento della Yonne e sono entrato nella Nièvre raggiungendo il villaggio de la Maison-Dieu. Mi dirigo verso la Ferme di Vauprevoir sempre camminando all’ombra degli alberi della foresta, poi con un largo giro, scendo al villaggio di Asnois. Sono già le 11 e mi fermo per una spuntino all’ombra degli alberi che bordano il Canal de Nivernais osservando i piccoli battelli da diporto che lo solcano. Con il sole che dardeggia impietoso, mi incammino sulla D185 verso il villaggio di Saligny dove visito la piccola e malridotta Cappella di Saint-Roch con la piccola torre campanaria puntellata all’interno da una ragnatela di travature. Guardo con desiderio un sentiero che si inoltra nel bosco di Sermentole alla mia destra, ma la rotta è qui sulla D185, la quale in pieno sole e con gli alberi della foresta che fanno ombra a se stessi, mi conduce al Relais de Maufront di Ouagne dove arrivo alle 13,30 atteso da M. Vallet. È proprio l’ultima abitazione alla periferia del piccolo villaggio che sorge sulle rive del Beuvron, un limpidissimo e tranquillo ruscello. Ottima accoglienza; un po’ di chiacchierare, poi la doccia rinfrescante ed il bucato. Dopo il sonnellino ristoratore e la visita del piccolo villaggio, mi accomodo in giardino scrivendo le annotazioni di questa prima tappa, corta ma dalla temperatura che spero diventi più fresca, soprattutto nelle ore centrali. M Vallet, mi chiede se, per la cena, posso attendere un piccolo gruppetto di ospiti che arriveranno verso le 20; non ho alcun problema, anzi, cosi ci sarà più conversazione a tavola. Arrivano alle 21, un poco tardi; sono tre ragazze, un ragazzo ed una coppia con un figlioletto biondo; i ragazzi formano una compagnia di teatro che domani daranno uno spettacolo in un villaggio vicino, sono simpatici ed alla mano per cui la conversazione è animata, non così copiosa e ricca si dimostra la cena, anche se molto gustosa e fatta di specialità della casa. Naturalmente il mio pellegrinaggio li incuriosisce parecchio ed oltre al fatto che provengo dall’Italia, restano sorpresi quando gli dico che tra dieci giorni ritornerò a Vézelay per ripartire verso Nevers. M Vallet mi dice che da lui passano parecchi pellegrini e che il percorso più appagante è questo che passerà da Bourges e non quello per Nevers. La cena termina alle 23,30 con saluti e auguri vicendevoli, quindi a nanna in un silenzio che si può definire “forestale”.

Sabato 23-08-03. 2°tappa: Ouagne – Champlemy. 22 Km – Chambre d’Hôtes. Mme Marie-Noëlle Monange. Tel: 03 86 60 15 08

Veramente una notte dal silenzio palpabile con la foresta qui ai lati della casa e della piccola strada, ma già alle 07 qualche vettura transita e così mi desto anch’io. Guardando fuori dalla mia finestra vedo il prato che è ricoperto da una coltre di minuscoli diamanti. È la rugiada; che stupendo ed argenteo tappeto! Bene, segno che questa notte la temperatura è scesa di parecchi gradi! Ottima ed abbondante colazione con M Vallet, poi parto alle 08; la tappa è corta e non vi è necessità di levatacce. Il cammino è una piccola dipartimentale che poi si insinua in larghi sentieri di terra nella foresta in ombra; sentieri lunghissimi ed alberati si succedono così fino a Varzy e curiosamente mi accorgo che cerco di camminare al sole..! Temperatura fresca che rimpiangerò nei giorni a venire! Esco dal villaggio di Varzy e dopo 1 km sulla D151, la lascio per prendere sentieri erbosi, più o meno ben tenuti, fino alla Chapelle di Saint-Lazare del XII sec. restaurata dal 1978 al 1982 dall’Associazione “Amis de Vieux Varzy”. Dal X° al XV° sec. questo luogo fu un lebbrosario dove i contaminati venuti dalle regioni limitrofe, vivevano in capanne di legno curati dai religiosi della Maison di St-Bernard de la Montjoie che qui avevano una comunità proprietaria di terre e foreste. Mi incammino poi per grandi e lunghi viali alberati che solcano la Forêt de Ronceaux sperando che siano così tutti i sentieri futuri. Non è così, poiché vengo indirizzato sulla D155 fino a quando trovo il segnale della GR 654 “Voie de Vézelay” che va a destra costeggiando il bosco in direzione di Bourras la Grange, mentre il piccolo segnale dell’Associazione indica la D155; già piccoli intoppi tra la FFRP e l’Associazione a proposito di segnalazioni del cammino! Seguo le piccole frecce giallo-blu poiché Champlemy, antico Campo Romano sulla Via Romana che da Entrain va fino ad Autun ( qui chiamata “Cammino dei buoi grassi”), è il mio posto tappa di oggi. Così arrivo al villaggio alle 13 e prima di cercare la CH (chambre d’hôtes), mi dirigo alla Chiesa il cui campanile svetta sulle pendici della collina. È molto bella esternamente; Chiesa del XVI° sec. dedicata a Saint-Maurice (come me!), è Romanica con un bel portico che non riesco a fotografare, tanto è a ridosso dello stupendo muretto a secco che la circonda, ma la sua porta è chiusa; niente visita, niente asilo, luogo di preghiera con porte sbarrate… Il sole picchia, cosi decido di tornare più tardi per vedere se il Curé può aprirla e mi dirigo in alto al centro del villaggio dove dovrebbe trovarsi la CH di Mme Monange. È suo marito che mi apre allo squillo del campanello; persona cordiale ed espansiva, mi dice che lui è olandese e di scusarlo per il suo francese! Ma se lo parla benissimo!, così ci facciamo quattro risate intanto che mi fa accomodare offrendomi gentilmente della graditissima acqua fresca. Mi assegna una bella camera spaziosissima con la finestra che dà sul grande giardino digradante verso la Niévre che scorre più in basso. Ho un sacco di tempo libero, e dopo la doccia ed il bucato esco per visitare la cittadina e per le compere dei viveri per domani e anche lunedì mattino, poiché in Francia alla domenica gli esercizi commerciali sono chiusi, ed il pane in questi piccoli villaggi viene consegnato dal “boulanger” che gira con un furgone, per cui è difficile incrociarlo…. Telefono anche per gli alloggi alle tappe seguenti, ma per Baugy, le Curè che è anche il Direttore dei pellegrinaggi Diocesani, mi dice che non vi è nulla e che non gli è possibile accogliermi; ma come? Il Direttore dei pellegrinaggi Diocesani non ha un minimo ricovero per un pellegrino a piedi? Queste sono le risposte che fanno meditare su alcune mie considerazioni nella prima pagina di questo diario, e purtroppo dai Presbiteri non avrò la benché minima accoglienza. Mi dirigo di nuovo alla Chiesa, ma mi dicono che le Curé è in altri villaggi, perciò niente visita e mi metto l’animo in pace. Alla sera, Mme Monange, donna minuta, quasi uno scricciolo, si fa in quattro per servirmi la cena in giardino mentre altri ospiti sono nella sala da pranzo; formidabile! Se ogni giorno avessi una cena come questa, mi dico, potrei benissimo saltare colazione e spuntino! Nella mia camera compilo il diario e controllando il percorso di domani sulla cartina, mi accorgo che non sarà di 32 Km, ma bensì di 38! Già solo dopo due tappe di rodaggio, ecco una “vera” tappa, spero solo che il tempo mi sia amico; un poco annuvolato.., un poco di brezza.., che il sole non picchi.., che la pioggia non arrivi.. ma fortunatamente l’amico Morfeo mi manda il sonno che porta l’oblio su queste cosucce pellegrinesche…!

Domenica 24-08-03. 3° tappa. Champlemy – La Charité-sur-Loire. 38 Km Eglise Notre-Dame. Refuge pèlerin. (O.T) Place St-Croix. Tel: 03 86 70 15 06.

Alle 6,30 ottima colazione coccolato dai coniugi Monange (mio angelo ndr!), poi partenza alle 07; Appena si esce del villaggio, primi problemi di orientamento con i segnali svaniti e stradine che sulla cartina non ci sono; mano alla bussola, ma evidentemente tra la descrizione e le segnalazioni, che ritrovo parecchio più avanti (la mia guida è del 2000…), vi è una notevole discrepanza. Percorro lunghi tratti di sentiero in foresta oppure in fitti boschi di querce e faggi coperti da festoni di muschio bianco-verde. Ad una decina di Km dal villaggio, quattro eleganti caprioli mi scappano da sotto il naso; non vi sono più i segnali, così i miei passi si dirigono verso la Rollande e non a Bourras l’Abbaye, indietro sul percorso a circa tre Km, ma va benissimo cosi risparmio un po’ di strada; cammino nella grande foresta di les Rolesses silenziosa e deserta, solo fruscii di ali e di piccoli animali che al mio approssimarsi si allontanano al suo interno. Per evitare di fare un largo giro all’indietro seguendo i segnali, all’incrocio con la D140 mi dirigo a destra verso il villaggio di Chamery dal quale esco su una piccola compartimentale seguendo poi i segnali che, sulla D2, mi conducono al villaggio de l’Hôpitot. Anticamente nella sua piazza sorgeva un ospizio dei Templari che accoglievano i pellegrini. Poco più avanti entro in Arbourse dove vi è la Chiesa dedicata a Saint-Germain del XIX sec°. Al termine di un grande viale alberato, ad un crocevia, sosto per lo spuntino seduto su dei grossi tronchi all’ombra di giganteschi lecci; pane e camembert con CocaCola. Forse anche per il profumo del camembert di li a poco escono dal bosco un gruppo di bikers che mi chiedono indicazioni per la strada da seguire; curioso che il pellegrino italiano debba indicare la strada a dei ciclisti francesi. Carta alla mano li indirizzo al meglio giù per una discesa da scavezzacolli, poi mi rimetto in marcia anch’io entrando nella Fôret Communal de Celle-sur-Niévre fino al villaggio di Mauvrain. I segnali sono sostituiti a volte da grandi X gialle dipinte su grossi alberi coerentemente con ciò che recita la guida. Il percorso è sempre collinoso ma fortunatamente cammino all’ombra, ed a volte vi sono dei bellissimi panorami sui vigneti in basso nella valle. È mezzogiorno quando mi inoltro nello sterminato Bois de Berlière; cammino su un rettilineo infinito a tratti asfaltato in malo modo, è lungo 10 Km, ed alla fine costeggiando le mura di cinta del Castello di Mouchy, termina al villaggio di Raveau. Fa un caldo tremendo ed in cielo non vi è una nuvola che copra il sole; la bottiglia di CocaCola da due litri che ho, è quasi terminata e sento la necessità di bagnarmi e di bere molto. Cerco il cimitero che dovrebbe essere sul cammino, e quando ci arrivo guardo ben bene se vi è un rubinetto. Eccolo; con sollievo, mi tolgo le maglie e le calze facendomi una mezza doccia prima ancora di bere. Mi sistemo sotto degli alberelli ed a più riprese approfitto della sua acqua rigenerante. La Charitè dovrebbe essere a poco più di 6-7 Km; sono le 14, sono in perfetta tabella di marcia, cosi ne approfitto per altre docce al provvidenziale rubinetto, ma soprattutto per bere come un cammello e devo dire che l’acqua era ottima dal buon sapore. Perfettamente idratato (anche il cappello di feltro è zuppo d’acqua), mi rimetto in marcia sul sentiero bordato da radi pini, poi anche loro spariscono e fino a la Charité sono in pieno sole, ma non mi dà alcun fastidio. Entrando nella città, ecco il bar dove l’anno scorso mi ero seduto per un’ottima birra, poi il Restaurant “la Pomme d’Or” ottimo e poco caro. Mi dirigo verso la Cattedrale di Saint-Croix de Notre-Dame, dove è l’O.T., per ritirare le chiavi del rifugio per i pellegrini; sono atteso da una simpatica ragazza che mi conduce subito al luogo. È proprio dietro l’O.T:, nella sede dell’Associazione ”les Amis de la Charitè s/Loire”. Sono le 15,30 quando vi entro; vi sono 4 letti, una cucina ed i servizi con doccia; ecco il primo vero rifugio per pellegrini! Dopo essermi sistemato al meglio ed un breve sonnellino ( fa un caldo boia), ritorno all’O.T. per prendere delle guide per visitare la città e la Cattedrale; la stessa ragazza dell’accoglienza mi chiede se, per favore, posso correggere alcuni depliant illustrativi scritti in Italiano; lo faccio con piacere, ed effettivamente di errori ve ne sono parecchi. Tour turistico prima nella Cattedrale, poi a vedere le antiche mura, quindi in riva alla Loira con poca acqua nel suo alveo. Davanti alla Cattedrale vi sono un gruppo di Scout di Francia che stanno preparando il Sagrato dove, alle 21, daranno una rappresentazione su un antico episodio di pellegrinaggio, cosi mi dico che stasera avrò anche una pièce teatrale da vedere! La cena al restaurant mi prende più tempo del previsto, così, quando arrivo alla Cattedrale, la rappresentazione è già iniziata con circa una decina di attori, più vari tecnici che si affaccendano attorno alle luci ed ai microfoni. Mi si avvicina una persona che si qualifica come il responsabile del gruppo, chiedendomi se sono io il pellegrino che è allogiato al rifugio (probabilmente informato dall’O.T.). Cortesemente, si informa del mio cammino, da dove vengo, ecc, ecc, poi mi chiede se posso restare al termine della rappresentazione per parlare un poco con i ragazzi a riguardo dei pellegrinaggi e del mio in particolare. Accetto con piacere, poiché nello Statuto della mia Confraternita vi è scritto che è mio compito promuovere e far conoscere i pellegrinaggi; cosi circondato da una ventina di ragazzi, ragazze ed adulti del gruppo, restiamo fino alle 23, 30 a parlare dei pellegrinaggi e di tutto ciò che ruota attorno ad essi, come le rappresentazione che essi stessi hanno dato questa sera in questo bellissimo scenario davanti alla Cattedrale di Notre-Dame di La Charitè-sur-Loire illuminata da calde luci.

Lunedì 25-08-03. 4° tappa. La Charitè-sur-Loire – Les Chapelles Solerieux 27 Km. Chambre d’Hôtes. Mme Meffert. Tel: 02 48 68 51 49.

Lascio il rifugio alle 7,30 in un mattino luminosissimo; sosta in una boulangerie che emana effluvi tentatori per acquistare dei croissant e pani al cioccolato (molto energetici…), poi mi incammino sui ponti della Loira entrando nel comune de La Chapelle-Montlinard. Proseguo sulla N151 ammirando le belle e curate casette ai suoi lati, è la prima volta che vedo una cosi bella periferia… Passo il Canal Lateral a la Loire, e prendo un strada di campagna a sinistra per circa 1,5 Km che mi conduce sulla D53 lasciando il dipartimento della Niévre ed entrando in quello della Cher; la guida mi dice che dovrei prendere un sentiero verso una carrozza ferroviaria (capanno di caccia), al limitare di un intricato bosco di querce, ma non si vede nulla dalla strada; il terreno è un poco collinoso e sicuro di essere al punto giusto, decido di lasciare la strada e salire in mezzo al campo, ed effettivamente là in fondo, ecco una carrozza ferroviaria nera! Ma come avranno fatto a portarla fino a qui?!, non era più semplice un capanno in legno? La raggiungo, ma poi i segnali spariscono al limitare del bosco; cerco di seguire fin dove possibile ciò che spiega la guida, ma vedendo che il terreno è stato completamente rivoltato da ruspe e non ha l’aspetto che dovrebbe avere, metto mano alla bussola per tracciarmi una via che mi porti a St-Martin-des-Champs a 5 Km. Costeggiando campi, siepi e filari di alberi, giungo alla Ferme di le Bois Griffon; poi è un gioco da ragazzi arrivare a St-Martin e da lì a Charentonnay dove visito la bella chiesina gotica dedicata a Saint-Pierre con il plafone della navata, restaurato nel 1996, a forma di carena di nave in legno di castagno. Il tempo è sereno con poche nuvole alte e stratificate ed il caldo è gia asfissiante nonostante siano solo le 11,30. Ricompaiono i segnali lungo la strada (probabilmente prima erano stati distrutti o asportati), e tutto diventa più semplice incamminandomi verso Couy compiendo anche qualche giro ozioso. A Couy, non seguo il tracciato che mi allunga ancora il percorso, ma prendo la D53 che mi condurrà direttamente, passando per la frazione di Les Hiottes, verso il sentiero che a destra della D53 mi condurrà a La Chapelles Solerieux. Giungo a quello che dovrebbe essere l’incrocio con il sentiero, ma questo è appena accennato e si inoltra in mezzo ai campi, ed in effetti deve essere così poiché La Chapelles Solerieux è un “Hameau” che si trova 2 Km fuori percorso. È una frazioncina con tutte la case sparpagliate nel raggio di un Km! Fidando nella buona sorte e dicendo qualche preghierina (poiché fa veramente troppo caldo e non mi piacerebbe girovagare tra tutte le case che vedo per cercare la Chambre d’hôtes), prendo a sinistra verso un capannone ed una fattoria più grande delle altre circondata da alberi. Vi arrivo dopo 500m inoltrandomi nel suo cortile perfettamente deserto; spero che non vi siano cani intenti alla siesta (poiché se vengono svegliati si arrabbiano giustamente), e mi avvicino a parecchie porte della casa. Ecco che su una di queste trovo il logo delle CH, poi un messaggio a me indirizzato che recita così:

« Caro Sig. Pellegrino, per impegni sopraggiunti, mi devo assentare fino alle 18; la prego di accomodarsi alla terza porta più a destra, dove al secondo piano, è pronta per lei la camera N°14. Cordialità. Mme Meffert.». Sono le 14; faccio come mi è chiaramente spiegato, e mi sistemo comodamente in una bellissima cameretta. Una doccia lunghissima e corroborante, poi lavo anche gli indumenti che appendo in giardino approfittando del sole spaccapietre. Non vi è anima viva in questa Ferme e tutto è silenzioso nella calura pomeridiana, così mi installo in giardino sotto un grande noce a scrivere il diario gustando il filo di brezza che a volte si leva. Ecco che qui mi torna utile il telefono portatile; nei piccoli villaggi o frazioni, le cabine telefoniche (utili per me per riservare l’alloggio nei giorni a venire), molte volte hanno ancora l’apparecchiatura a monete, non per l’Euro, ma ancora per i franchi! Così con calma telefono a Bourges; nei vari Presbiteri, ricevo sempre rifiuti a vario titolo, allora mi decido per il Foyer Saint-François, situato in rue Joyeuse, che mi accorda l’alloggio e di presentarmi per le 16. Il bello di queste mie prenotazioni nelle città, è che non so se il luogo prenotato è vicino o lontano dal centro storico o dalla Cattedrale (nella 2° edizione della Guida, come vedrò quando più avanti incontrerò un altro pellegrino che la possiede, essi sono specificati), cosi devo farmi spiegare l’ubicazione rispetto al centro storico. Poco prima delle 18 rientra Mme Meffert che, gentile, mi prepara una buona cena anche se normalmente, mi spiega, non la prepara mai agli ospiti. Per me fa una eccezione; cosi seduto in giardino, mi serve una gustosa insalata, omelette e formaggio, il tutto innaffiato con della buona ed abbondante birra. Più tardi, ecco che rientrano anche gli altri ospiti (tutti con le vetture) che tornano da visite a Bourges, o da Issoudun. Alle 02 di notte approfittando del fatto che non vi è alcuna luce fuori, ammiro la Via Lattea che ammanta il cielo, splendida!, chissà se potrò di nuovo vederla nei giorni a venire!

Martedì 26-08-03. 5° tappa. Les Chapelles Solerieux – Bourges. 34,5 Km Foyer Saint-François 11/13 rue Joyeuse. Tel: 06 09 01 90 16.

Notte calda e poco fruttuosa in quanto al sonno; mi rendo conto che durante i miei pellegrinaggi dormo veramente poco, più che altro passo da un dormiveglia all’altro popolato da sogni. Credo dipenda dal fatto che mi corico troppo presto, e d’altra parte, non vi è modo di chiacchierare con qualcuno dopo la cena, poiché tutti si ritirano nelle loro camerette, e poco dopo ronfano già robustamente stanchi per le fatiche dei loro tour turistici… Sveglia alle 6,30 e ottima colazione alle 07; qualche ospite è già partito per chissà dove e così faccio anch’io approfittando della frescura mattutina. Il bel cane lupo con cui ho occupato (giocando) un po’ del tempo ieri pomeriggio, mi accompagna scodinzolando con in bocca il pezzo di corda guardandomi con occhi speranzosi, così lo accontento spedendolo a raccattarla 50m oltre la siepe e per ringraziarmi, mi accompagna correndo e saltando intorno a me per 200m senza abbaiare minimamente. Non ritorno sulla D53 da cui sono arrivato ieri, ma prendo la direzione di Le Carroux sulla D10 per arrivare a Baugy un poco più a Nord. Procedo velocemente approfittando anche delle lucenti e mature more che affollano la siepe di rovi ai lati della strada fino ad arrivare nel grosso borgo di Baugy alle 8,15; mi è strano che in questo bel villaggio non vi siano CH o Hotel. Vedo dei restaurant nella via principale, però niente insegne di alloggi; vado alla chiesa di Saint-Martin, dove incontro il Curé che sta uscendo dopo la Messa; mi riconosce come il pellegrino che gli ha telefonato ieri l’altro (non ci sono altri pellegrini sul cammino!), mi dice che gli spiace ma proprio non ha posto per pellegrini, poiché dispone solo di una branda e servizi all’esterno senza doccia. Lo ringrazio comunque, ma adesso deve scappare, e così non riesco nemmeno a vedere l’interno della chiesa….mah! Da Baugy riparto sulla D12; viaggio leggero e nello zaino tengo solo un litro di acqua poiché credo di avere una tendinite alle dita del piede sinistro che mi costringe a non camminare bene e mi fa soffrire di più quando la strada curva, specialmente a destra; eh sì perché queste dipartimentali francesi hanno le curve “sopraelevate”, e non di poco! Oggi comunque, la D12 è una dirittura impressionante e vi anche un po’ di traffico. Passo, attraversandolo, il villaggio di Villabon, poi entro nel Bois des Hospices; grande curva a destra ed arrivo all’entrata di Brecy dove è posto un cartello che lo indica come un posto tappa sul Cammino di St-Jacques de Compostelle, ed in effetti qui vi è possibilità di accoglienza. Nei tempi che furono, qui vi era una Commanderia dei Templari divenuta poi dei Cavalieri di San Giovanni (quelli con la spada rossa sulla conchiglia). Ai lati della strada estese coltivazioni di mele, protette da reti, sono in piena fase di raccolta con numerosi manipoli di persone che riempiono grosse ceste. Vi è un incessante viavai di grossi trattori che fanno la spola tra i campi e le fattorie con i carri carichi di queste belle mele rosse, ma nessuno me ne offre una! Dopo 22 Km la D52, in pieno sole, mi porta a Sainte-Solange; poco prima di entrare nel villaggio,un grosso albero attorniato da un vigneto carico di grappoli di uva e con un avviso sul tronco, attira la mia attenzione; è di proprietà di un amico del Cammino della Via di Vezelay; spiega che il ceppo di questo vigneto ha 100 anni, e che i suoi grappoli di uva sono a disposizione dei pellegrini. Chiede, per favore, che in cambio gli lascino un messaggio nel barattolino accluso! Devo dire che ho ottemperato con piacere ad ambedue le cose, e l’uva dagli acini piccoli e sodi, era veramente dolcissima e gustosa. Con l’animo rallegrato da questo bell’episodio, entro in Sainte-Solange dove acquisto i viveri che consumo poco fuori il villaggio seduto nell’ombra di una comoda pensilina d’autobus. Sotto il sole implacabile, riprendo la strada sulla D155 fino a Mont Pendu, poi un sentiero tra i campi mi conduce a L’Ebée e di nuovo a destra su una carrareccia bianca fino ad incrociare una antica strada Romana chiamato anche “Chemin de Jacques Coeur de Lion”. All’inizio, vi è anche un cartello indicatore che dice che questa è un tratto di tappa storica che, venendo da Namur in Olanda, arrivava fino ad Ostabat. Più avanti, si può vedere, all’orizzonte, la Cattedrale di Saint-Etienne di Bourges. Come già detto altre volte, entrare nelle grandi città, passando per la periferia, è snervante, ed il fatto di camminare su una antica strada Romana (ora asfaltata), non diminuisce il tedio. Naturalmente i segnali sono spariti, cosi per raggiungere il centro devo chiedere informazioni ma non vi sono difficoltà se non che, vi è una marea di turisti nella zona pedonale che porta alla Cattedrale. La rue Joyeuse è ad un centinaio di metri dalla Cattedrale, ciò mi rallegra molto e mi mette di buon umore arrivando al Foyer Saint-François. Esso è un centro che ospita disadattati e persone con piccoli problemi sociali; fradicio di sudore (sono le 15,30), attendo per circa 20 minuti l’incaricato che tarda un poco, poi mi viene assegnata una camera con cinque letti e doccia, ma senza i servizi che sono all’esterno in un altro edificio. Discretamente, mi viene anche fatto presente che sarebbe meglio che io chiuda sempre a chiave la porta della mia camera perché non si sa mai… La cena è per le 19, ma siccome la messa alla Cattedrale è alle 18,30, per me terranno in caldo le vivande attendendomi fino alle 19,30. Veramente gentili e disponibili! Non ho molto tempo a disposizione per il tour turistico ma riesco ad essere più veloce della luce, così gironzolo per il centro storico affollatissimo da torme di turisti e da bar e caffè strapieni di persone. La Cattedrale dedicata a Saint-Etienne (Santo Stefano), risalente al XII° sec, mi accoglie con la sua stupenda facciata dai cinque profondi portali riccamente istoriati (mi ricorda la Cattedrale di Reims), recentemente ripuliti dallo smog. All’interno, le sue splendide vetrate illuminano magicamente le alte navate sostenute da slanciate colonne; sembra una foresta pietrificata di altissime sequoie! All’esterno sotto una tettoia, vi è uno scalpellino che sta istoriando degli splendidi capitelli in pietra; una piccola folla lo guarda ammirata ed è un balenare di flash ogni volta che lo scalpello incide delicatamente la pietra. Dopo la S.Messa ritorno al Foyer, ed il cuoco che mi attendeva, mi ammannisce piselli alla crema, due enormi cosce di pollo (ridendo, gli chiedo se sono di struzzo), pane ed acqua, ma qui non vi è né birra né tantomeno vino, ed alle 20,30 sono di nuovo a visitare il centro di Bourges rientrando infine alle 21,30. Credo di aver percorso oltre la tappa, altri sette od otto Km!!

Mercoledì 27-08-03. 6° tappa. Bourges – Issoudun. 38 Km. HR de Tourisme et de Commerce. Les Trois Lions d’Or**. 3 rue Brossolette Tel: 02 54 21 00 65.

La colazione è alla 6,30 ed alle 7 quando lascio il Foyer diretto alla Cattedrale per riprendere i segnali del cammino, il mattino si annuncia luminoso e caldo con un cielo leggermente velato. Uscire da Bourges occupa circa un’ora, la strada è anche in salita e quando ne esco, sono già sudato. Prendo la direzione di La Chapelle-Saint-Ursin; la maggior parte del percorso è asfalto, e solamente in località Beaulieu lascio la Via Romana asfaltata, per prendere un sentiero che, a destra, mi porta a La-Chapelle-Saint-Ursin. E’ un bel sentiero largo intieramente ricoperto da un tappeto di foglie che la querceta posta ai suoi bordi fin quasi alla cittadina, ha premurosamente steso al pellegrino che lo percorre. Vi è poco da vedere in questa cittadina, solo la chiesa, e d’altra parte mi accorgo che ho poco tempo a disposizione; credo che la tappa di oggi sia un tantino lunga, visto il calore che c’è oggi, ma il programma che ho stilato per arrivare ad Argenton, in tempo per prendere i treni per il ritorno a Vézelay, non mi lasciava altra scelta. Arrivare a La Chapelle ha equivalso a fare un largo giro sulla destra, ma non vi erano altre strade percorribili, ed allora gambe in spalla ed innestato un passo da 5Km200m/ora, esco velocemente incamminandomi sulla D16 fino ad incrociare lo stabilimento Luchaire che conducendomi poi sulla D135 mi accompagna fino a Morthomiers attraversando il silenzioso Bois de Corne. Passo da Morthomiers entrando dapprima nei sentieri del Bois de la Coudre, poi nell’altrettanto gradevole Bois du Montet terminando nel villaggio di Villeneuve-sur-Cher. Passo sul ponte che scavalca il fiume Cher, incamminandomi sul lunghissimo rettifilo della D16 che dopo 10 km, mi condurrà a Charost attraversando l’esteso Parc de Castelnau; ho già bevuto 1,5 litri di CocaCola e trovando una epicerie aperta, ne compro altre 2, sempre da 1,5 litri. Sono le 12,30 quando mi fermo nel piccolo parco accanto alla chiesa di Saint-Michel del XII° sec per una sosta. Il piede sinistro brontola per la tendinite, così lo massaggio con Nifluril (un antinfiammatorio) e lo avvolgo con una benda elastica. Mancano circa 12 Km ad Issoudun e fa un caldo infernale; la brezza che a volte si leva, sembra passare prima in un altoforno, per cui è come essere avvolti in una scialle di lana e serve solo a seccare(per il calore) il sudore. Vi sarebbe la N151, strada nazionale che mi risparmierebbe qualche Km, ma è troppo pericolosa, così prendo per St-Georges-sur-Arnon camminando sulla D34 entrando nel dipartimento dell’Indre. Uscito da St-Georges, un segnale posto su un palo della linea elettrica, mi manda a sinistra in una strada di campagna lasciando la caldissima D34 dall’asfalto brillante di catrame che si liquefa al sole. Passo su un ponte una vecchia linea ferroviaria dismessa che si perde, rettilinea, lontanissima nei campi bordata da rovi e popolata da decine di alveari ronzanti. Il cammino è in una immensa distesa di campi a perdita d’occhio e qui i segnali spariscono! Guardando bene ad un crocicchio equivoco, ne trovo uno sepolto da erbacce e terra che uno sciagurato trattorista avrà sicuramente travolto senza darsi cura di rimetterlo in posizione. Non tenendo fede all’undicesimo comandamento che dice di portare pazienza, gli mando qualche leggera maledizione tipo “ti si possa sporcare l’ugello del carburatore e cose simili…”. I pochi alberi che trovo, mi vedono accoccolarmi alla loro debole ombra per riposarmi e togliermi pedule e calze facendoli asciugare in un lampo, tanto è il calore. Alla fine di questo lunghissimo sentiero campagnolo, arrivo ad Issoudun alla 15,30 sentendomi friggere come un pezzo di burro in padella. Ieri avevo chiesto al Centre International Jules Chevalier Missionaires du Sacré-Coeur, accanto alla Basilica di Notre-Dame du Sacré-Coeur (centro di pellegrinaggi), se mi potevano alloggiare, ottenendo in risposta che non avevano posto per me. Mi reco all’O.T. cercando così un Hôtel non troppo lontano dal CentreVille; vi è l’HR Tourisme et Commerce, è da 2 stelle ma non ho altra scelta cosi, cartina alla mano, lo trovo abbastanza velocemente sistemandomi in una stanzetta non grande ma fresca. Una doccia di 30 minuti mi rimette in squadra e dopo un riposino mi reco alla Basilica (posta fortunatamente a 500 m) per visitarla e per il timbro sulla credenziale. È molto bella esternamente; recentemente ripulite dallo smog, le sue pietre sono quasi candide. Entro e mi dirigo all’accueil, poiché fuori avevo visto due autobus di turisti che scaricavano bagagli dirigendosi qui. « Ma come?! Accogliete 100 persone che arrivano con l’autobus e non avete un misero letto per un pellegrino a piedi?», così dico alla signora che è aldilà della scrivania; mi riconosce come il pellegrino che le aveva telefonato ieri, ed abbozza le solite scuse di circostanza dicendosi dispiaciuta, ma che non ci può fare proprio niente. Cercando di camminare all’ombra, faccio un tour per la zona pedonale, poi compro ed assumo delle pastiglie di sali minerali. Telefono a Déols per domani, ed anche a Moulin-a-Foulon per l’indomani, trovando accoglienza, così ho l’animo sgombro da queste preoccupazioni. Alla sera ottima cena, con la signora che è molto gentile e mi colma di attenzioni sapendomi pellegrino; il piede sinistro sembra che stia guarendo (molto lentamente però), e ciò mi concilia il sonno in una Issoudun che alle 22 è quasi deserta e silenziosa.

Giovedì 28-08-03. 7° tappa. Issoudun – Déols. 32 Km Refuge Pèlerin. 26 Place Carnot. (presso O.T.). Tel: 02 54 07 58 87.

La colazione è servita non prima delle 7,30, così la partenza è alle 08 attraversando la città già molto trafficata; il percorso costeggia per un tratto la ferrovia, poi con una virata a sinistra, mi immette sulla D82 fino alla località de La Petite Rouache, piccolo assembramento di graziose casette; il cielo è coperto, e per la prima volta vedo nuvole grigio-bluastre accompagnate da una leggera brezza che fa presagire la pioggia, ma per il momento mi rinfresca. Presso la località di Jean-Varenne, lascio la D82 a destra e prendo un largo sentiero che si inoltra tra i campi riarsi, verso un lontano filare di pioppi con un solitario e bianco “Château d’Eau” a mo’ di sentinella sulla sinistra. Al termine, entro nel piccolo villaggio di Thizay e nella piazzetta antistante la chiesa ritrovo il gruppo di scout che erano a La Charitè s/Loire! Saluti, pacche sulle spalle e grandi sorrisi; hanno dato lo spettacolo qui ieri sera con un buon successo di pubblico, ed ora sono intenti a lavare tutte le pignatte con cui ieri hanno preparato la loro cena. Mi trattengo un poco con loro, e dopo la classica foto ricordo riprendo il cammino verso Sainte-Fauste sulla D12e, rettilinea tra i campi, passando accanto al Golf di les Sarrays e ad un Calvaire del 1887; poco oltre, le frecce mi indicano il sentiero erboso che si inoltra rettilineo nei campi verso Ste-Fauste. Valutando le condizioni meteo (grossi nuvoloni biancoblù che scorrazzano), decido di non seguirlo (risparmiandomi alcuni Km in più), proseguendo sulla D12e che piega leggermente a sinistra in direzione di Ablenay, quindi la D12 e poi la D925 attraversando il Grand Bois de Diors, riprendendolo nel villaggio di Diors. Il temporale non mi sorprende sulla trafficata D925; lestamente, ai primi grossi goccioloni accompagnati da robuste raffiche di vento, indosso i pantaloni e la mantella impermeabile riparandomi sotto degli alberi, arrivando poi in Diors con sprazzi di sole che mi asciugano. Accanto alla Chapelle mi fermo per lo spuntino tenendo d’occhio i nuvoloni che non mollano l’osso (sarei io). Riparto in direzione del villaggio di Fourches venendo costretto a camminare con indosso gli impermeabili per improvvisi ed intensi scrosci di pioggia. Passo accanto ad un altro bel Calvaire, quindi un colorato campo di girasoli, entrando nella zona del Campo Militare de La Martinerie del 57° Reggimento ferroviario. Questa zona militare sembra non terminare mai, e mi anticipa gli ultimi 10 Km infiniti con acquazzoni improvvisi ed intensi ma di breve durata. In località Les Etulliers, i segnali mi mandano diritto sebbene la cartina indichi a destra; li seguo, ma poi ai successivi crocicchi non ve ne sono altri, cosi cerco di arrivare alla N151 che corre più a sinistra giungendo alla grande rotonda che mi porta in città. A circa un km dall’O.T. mi prendo un rovescio di pioggia talmente improvviso da sembrare una secchiata ed a malapena riesco a non uscirne fradicio; termina improvvisamente dopo 10 minuti e ritorna il sole. Mi dirigo all’O.T. situato accanto ai resti dell’Abbazia Benedettina di Notre-Dame du Bourg-Dieu (risalente al IX sec°.), della quale sussistono il campanile Romanico e qualche elemento della sala del Chiostro. Una gentilissima signorina, mi accompagna prontamente al rifugio per i pellegrini vicino alla Chiesa di Saint-Etienne del XII°-XVI° sec. Sono l’unico pellegrino nel rifugio, così mi accomodo più che bene. Un’ora più tardi, il sole si impadronisce del cielo, permettendomi di gironzolare tranquillamente in città per il tour turistico, ma anche per comprare i viveri per la cena e per l’indomani. Telefono anche al Convento di Saint-Gildard a Nevers per l’alloggio della notte tra sabato e domenica quando vi arriverò da Argenton; la suora dell’accoglienza mi riconosce e si dice felice di rivedermi e di avere il rifugio per i pellegrini, diretti a Compostella, libero. Ne sono contento anch’io, così mi dispongo alla cucina per cucinarmi delle uova sode. La mia cena è spartana ma gustosa, componendosi di pane e salame danese, 2 uova sode (delle quali sentivo la mancanza), ed un litro di ottima birra. Nel frattempo studio il percorso dell’indomani poiché il meteo (visto alla TV in un bar) prevede per l’avvenire, giorni non buoni per i pellegrini a piedi!

Venerdì 29-08-03. 8° tappa. Déols – Moulin-à-Foulon. (Tendu) 30 Km. CH. Mme Desirée Scholl. Tel: 02 54 24 31 66.

Il meteo non si sbagliava, anzi, il brutto tempo sembra arrivato in anticipo poiché sono le 4,30 quando vengo svegliato da un rombo cavernoso; è il temporale che scaraventa scrosci di pioggia a volte veramente intensa accompagnata da raffiche di vento che mi rendono un poco inquieto per la tappa di oggi. Alle 6,30, stanco di rigirarmi nel letto non riuscendo a riprendere sonno a causa del temporale, riassetto ben bene lo zaino, poi in cucina mi preparo il latte ben caldo per la colazione con due croissant (al cioccolato!), e l’uovo sodo di ieri. Riordinata la cucina, anche il tempo sembra in ordine, e quando esco dal rifugio alle 08, in cielo vi sono enormi cumuli di nuvole bianche che si rincorrono disperdendosi e riformandosi subito dopo. Evitando grandi pozzanghere, mi avvio sulla strada alla volta di Châteauroux a circa 2 Km passando sul ponte che scavalca il fiume Indre entrando cosi in città ammirando la bellissima facciata della Chiesa. E’ dedicata a Saint-André con tre bei portali, il grande rosone ed i due svettanti clocher, tipico esempio di gotico fiammeggiante. Châteauroux è molto estesa e per uscirne (in salita!), ci vuole parecchio tempo, ma alla fine arrivo al limitare della Forêt des Orangeons camminando sulla D40. Ieri sera avevo deciso, per accorciare il percorso, di evitare la Route des Orangeons che si inoltrava molto a destra nella Forêt, ma di incamminarmi sulla D40, più rettilinea, che mi evitava la grande deviazione verso le rond point des Druides, ricongiungendomi poi al percorso originario presso l’hameau di Chamployon. La foresta è parecchio umida ma il vento contrario ed il sole che si fa largo a forza tra le nuvole, asciugano ben presto la strada e le fronde degli alberi. Dopo 20 Km di cammino, entro nella cittadina di Velles dove visito la Chiesa dedicata a Saint-Etienne che all’interno ha una vetrata dedicata a San Giacomo. Proseguo verso Vauzelles con il cielo sgombro di nuvole ed una umidità che, a volte, toglie il respiro. Cammino sempre sulla D40 evitando il percorso segnalato che fa un grande giro sulla destra verso la Chaussée de César. Seduto su un pallets sotto l’ombra un grande leccio mi fermo per lo spuntino, accanto alla carrareccia che a destra porta a la Combe d’en Bas; ben presto però grosse nuvole nere mi accerchiano e mi trovo costretto a mettermi in cammino velocemente lasciando a metà un panino. Non gradita la pioggia ricomincia a cadere, e quando giungo nella frazioncina di Yvernaud (che non ha alcun cartello esplicativo della località), mi vedo costretto a telefonare a Mme Sholl, per sapere dove si trova Moulin á Foulon poiché sulla cartina non è assolutamente segnalato. Mi incammino a destra seguendo una piccola compartimentale assolutamente deserta accanto al corso del fiume Bouzanne in un paesaggio boschivo bellissimo ma grondante pioggia a non finire; ho così modo di ammirare il bellissimo Château de la Chaise Saint-Eloi, seminascosto in un grande parco, e più lontano, la torre dello Château de Mazières. Sarebbe una tappa bellissima se non ci fosse tutta questa pioggia a rovinare il cammino e gli splendidi scorci di questo angolo di foresta e fiume, ma cosi non è, e quando arrivo finalmente alle poche case di Moulin á Foulon, alla CH di Mme Scholl, sono contento di togliermi gli impermeabili che mi hanno riparato dalla pioggia in modo superbo. Attimi di ansia quando ai miei richiami non risponde nessuno, ma poi, ecco che vengo accolto ed ammesso in una splendida dependance arredata con molto gusto e calore. Mme Sholl, mi dice che stasera darà una piccola festa con i suoi vicini di casa per festeggiare il suo onomastico e di scusarla se avrò un poco di disturbo. La cena per me è alle 19,30, ottima e copiosa con lei che nel frattempo cucina e chiacchiera con me di tutto un po’. Oltre a lei, qui vi è un’altra CH gestita da una coppia di inglesi (che vedrò piu tardi), due Olandesi, ed altre quattro o cinque persone che abitano la casa accanto. Con mio sommo stupore, mi spiega che in caso di nevicate, tutti loro restano isolati per parecchio tempo in questo angolo di paradiso. Alle 20,30 arrivano gli ospiti che si interessano cordialmente al mio pellegrinaggio, poi dopo un brindisi di auguri a Mme Sholl, mi ritiro nella mia bellissima camera per scrivere il diario di questa giornata bella, splendida, ma anche umida e ventosa, sperando che il domani sia un poco più secco, ma, mentre mi accomodo sotto le coperte, la pioggia picchietta allegramente sui vetri della finestra quasi a voler dire: «Ti aspetto domani…».

Sabato 30-08-03. 9° tappa: Moulin á Foulon – Argenton-sur-Creuse. 10 Km. Poi trasferimento, via ferrovia, da Argenton s/Creuse, a Nevers. Refuge Pèlerin al Couvent Saint-Gildard. 34 rue Saint-Gildard. Nevers Tel: 03 86 71 99 50.

La festa che Mme Sholl ha dato ieri sera non mi ha causato alcun disturbo, anche perché l’età media dei convitati, si aggirava sui 60 anni; comunque, anche la leggera pioggia e lo scorrere del fiume, qualche decina di metri più a valle, hanno contribuito al mio sonno che è stato molto ristoratore. Sveglia alle 7,30 e quindi alle 08 sono nella veranda atteso per la colazione da Mme Scholl: Chiacchieriamo del tempo di oggi che già si preannuncia nuvoloso; mi chiede se posso mandarle una cartolina da Santiago e di pregare per lei (visto che lei non ci può andare data l’età), cosa che farò più che volentieri. Il mio piede questa notte non mi ha dato fastidio, anche perché lo tengo ben medicato e quando cammino, è avvolto nella fasciatura elastica che non gli permette di gonfiarsi durante lo sforzo della marcia. Alle 8,30 sono in cammino con il fiume Bouzanne a destra e la foresta sul pendio a sinistra, ma ben presto come temevo, vengo di nuovo colto dalla pioggia. Passo accanto allo Cháteau de Mazières, e poco dopo, a destra, lo Cháteau de Sallerons; intravedendo seminascosto aldilà del fiume il “Donjon” (torre) e lo Cháteau de Prunget del XII° sec, ma la pioggia e la nebbia offuscano il bellissimo quadro paesaggistico. Tra rasserenamenti e rapidi annuvolamenti raggiungo l’abitato di Saint-Marcel, antico sito chiamato Argentomagus abitato già nel Neolitico, poi Oppidum Gallico e quindi villa Gallo-Romana; è qui che passava il Cammino verso Saint-Jacques con i pellegrini che pernottavano alla Maison-Dieu menzionata nel 1456. Velocemente, scendo verso la cittadina di Argenton diretto alla stazione ferroviaria, dove arrivo alle 10,30 per acquistare i biglietti alla volta di Nevers. Gli orari dei treni e le relative coincidenze che ho con me, combaciano perfettamente, quindi ho tempo fino alle14,30 per il tour della cittadina che è bella ed animata, attraversata dal fiume Creuse che la taglia in due. Alla biglietteria della stazione il gentilissimo addetto mi permette di depositare lo zaino ed il bordone all’interno dell’ufficio, quindi posso tranquillamente girovagare; dapprima vado all’O.T. per timbrare la credenziale, poi mi reco alla Chiesa di Saint-Saveur, ma è chiusa, così attraversando il dedalo di viuzze della Cittadelle, mi dirigo alla volta della Chapelle de la Bonne-Dame sull’altra riva. E’ situata in alto, raggiungibile con una scalinata che porta a dominare la cittadina ed il corso della Creuse. Chapelle di chiara impronta Romanica, è sormontata da una grande statua della Vergine con Bambino e con la mano protesa a proteggere la città adagiata nella valle. Qui ad Argenton, la Branche Nord del Cammino è ora completata, e devo ritornare a Vézelay per incamminarmi sulla Branche Sud. Il treno delle 14,44 è in perfetto orario ed arrivo a Vierzon alle 15,40; la coincidenza per Bourges è alle 15,53, tutto regolare, così arrivo a Bourges alle 16,11; attendo la Littorina per Nevers delle 17,24 e quindi arrivo a Nevers alle 18,15. Devo dire che mi sento abbastanza affaticato da tutto questo saltare da un treno all’altro, e non vedo l’ora di riposarmi un poco in un letto. Uscendo dalla stazione ferroviaria, mi incammino (in salita) verso il Couvent Saint-Gildard, dove rivedo la suora addetta all’accoglienza che mi riconosce come uno dei pellegrini diretti a Mont-saint-Michel l’anno scorso; fa sempre un certo effetto ritrovare delle persone che si pensava di non rivedere mai più. Mi accompagna al rifugio per i pellegrini diretti a Compostella (abbastanza spartano con i servizi in un’altra ala), e mi ricorda che la cena è alle 19,30 con parecchi altri pellegrini (motorizzati). Più tardi, faccio amicizia con un ragazzo tedesco di nome Uwe che si trova qui per motivi di studio, e con una signora francese di nome Françoise che è venuta qui per ringraziare Santa Bernardetta riguardo alla sua guarigione da una grave malattia, poi tra un discorso ed un altro, restiamo a parlare fino alle 21,30 nel corridoio del chiostro. Termina cosi una bella giornata, iniziata sotto la pioggia, proseguita su dei treni asfittici e stancanti oltre misura, poi in uno splendido pomeriggio di sole caldo e luminoso con nuvole bianche basse all’orizzonte, tanto che mi sembrava il cielo della Navarra in primavera, quindi qui al Convento, con persone cordiali e di grande comunicativa. Fossero tutti così i giorni di cammino…!

Domenica 31-08-03. trasferimento a Vézelay in treno + taxi. Hôtel du Cheval Blanc **. Vézelay: 2 Place de Champ de Foire. Tel: 03 86 33 22 12. Fax: 03 86 33 34 29.

Nottata passata nel dormiveglia a causa della giornata di ieri densa di avvenimenti, di incontri, ed anche del fatto che mi riesce difficile accettare che sto per ritornare a Vézelay da dove ero partito 250 Km fa! Nei pellegrinaggi compiuti finora, mai mi era accaduto di ritornare sui miei passi, ma questo è diverso, è un pellegrinaggio che mi porterà a confrontare due percorsi di un medesimo cammino; sarà eccitante e ricco di scoperte, ma ciò non toglie che è dura da accettare… Ha contribuito al dormiveglia anche la caldaia che è posta al piano superiore; il rumore che produceva era simile alla pioggia che ticchetta sui tetti, e la mente insonnolita, già immaginava sentieri fangosi ed accoglienti pozzanghere. La mente invece di riposare di notte, alle volte si mette ad arzigogolare per conto suo con delle strane fantasticherie, prendendo spunto da un nonnulla, ma che per il proprietario (della mente), al momento è importante, tipo il ticchettio innocente di una caldaia che viene associato alla pioggia, quindi ai sentieri del cammino. Niente di tutto questo corrisponde alla verità, poiché al risveglio, il cielo è di una limpidezza eccezionale e l’aria è frizzante e pungente, quasi un invito a mettersi in marcia. Una caldissima doccia mi riporta al programma giornaliero, ed alle 08 sono con tutti gli altri pellegrini nel refettorio per la colazione. Al termine, Françoise saluta Uwe e me, poiché parte diretta a casa; anch’io esco per acquistare i viveri per oggi e per domattina, dato che partendo domani da Vézelay non troverò alcun negozio aperto fino ad Anthien, a circa 26 Km. Nonostante sia domenica, trovo aperto un piccolo supermercato nella parte bassa della città che apre alle 09; credo sia l’unico, poiché attendono la sua apertura un piccolo mondo di umanità bizzarra ed originale, che poi (come vedrò), acquisterà birra in quantità industriale! La Messa è alle 10 qui al convento, ed è particolarmente affollata da un centinaio di persone, per la maggior parte fiamminghi e polacchi, giunti poco prima a bordo di due autobus. Al termine, saluto la suora dell’accoglienza, e mi dirigo alla stazione per prendere il treno delle 12,27 per Etang sous-l’Arroux; treno lumaca che raggiunge la cittadina alle 14. Qui devo attendere le 16,20 quando la littorina mi porterà al Avallon. Scendo in riva al fiumicello che scorre poco distante dalla stazione in un piccolo parco con panchine per lo spuntino, ma il tempo sta cambiando, ed una robusta brezza accompagnata da nuvole grigie, mi costringono a rientrare nella stazioncina. Alle 16,20, arriva finalmente la littorina che veloce e rumorosa, mi deposita, stanco ed indolenzito per il lungo tragitto, ad Avallon alle 18,20, a circa 15 Km da Vézelay. L’autobus di collegamento, però, vi è solo al mattino, per cui ieri mi ero premurato di prenotare un taxi che trovo perfettamente in orario all’esterno della stazioncina. E’ una signora che lo guida, ed alle 19 mi deposita davanti alla Basilica di Vézelay. Entro nella libreria per il timbro sulla credenziale, poi trovando il Centre-Madeleine chiuso, scendo all’Hôtel du Cheval Blanc dove avevo prenotato10 giorni fa. Mi sento particolarmente stanco ed anche una ottima cena non riesce a rimettermi in forma, per cui alle 21,30 mi infilo sotto le coperte sperando in un lungo sonno ristoratore sapendo che la tappa di domani, sarà di ben 36 Km!

Lunedì 01-09-03. 10° tappa: Vézelay – Corbigny. 36 Km. Institution Saint-Léonard. 5 route de Vézelay. Tel: 03 86 20 02 66.

La notte è stata particolarmente fresca, e ho dovuto coprirmi con una ulteriore coperta dato che avevo una sgradevole sensazione di freddo che mi impediva di prendere sonno (ma forse era anche la stanchezza accumulata durante il lungo viaggio in treno), così al mattino trovo i vetri della finestra coperti di vapore, ma in compenso l’alba è bellissima. Il cielo non ha neanche una nuvoletta ed ha un arco di colori che vanno dal lilla tenue al blu profondo. Alle 07 prendo un’ottima colazione, ed alle 7,20 sono in cammino sulla Branche Sud verso Saint-Père-sous-Vézelay, dove alla metà del secolo XIII sorse il monastero antesignano della Basilica di Vézelay. Il sole alle mie spalle indora i bordi di un oceano di bianche nuvole che hanno popolato il cielo e fa salire la bruma dalla valle dove ancora dorme il villaggio. Un bel sentiero pietroso mi conduce in basso in direzione del campanile, poi passato davanti alla bella chiesa di Notre-Dame, proseguo verso il camping “La Plage” sulla riva della Cure avviandomi attraverso i campi sul sentiero bordato da basse siepi di rovi cariche di succose more. La tranquilla D353 mi accompagna con un bellissimo paesaggio di alberi e cespugli dai colori autunnali al villaggio di Pierre-Perthuis, poi passando sotto la sua antica porta fortificata, scendo nella profonda forra attraversando il bellissimo ponte in pietra che scavalca la Cure.Una antica strada romana ancora acciottolata mi accoglie mentre attraverso il frondoso bosco di giovani lecci che le fanno da corollario. Il territorio è collinoso, e piccole valli seguite da boscose colline, si susseguono mentre arrivo al villaggio di Domecy-sur-Cure, dove visito la bella chiesa dedicata a Saint-Romain del XVI sec. Mi dirigo poi verso il villaggio di Bazoches costeggiando il muro di cinta del suo bellissimo Château risalente al XII sec. più noto come lo Château du Marechal Vauban. Poco dopo il villaggio di Neuffontaines, ad un crocicchio di strade, vi è un “Calvaire” racchiuso da quattro querce; così seduto sul suo zoccolo in pietra e riparato da una fresca ombra, sosto per uno spuntino. Quando riprendo il cammino, vi sono poche nuvole in cielo ed il sole scotta; mancano ancora 16 Km a Corbigny e non sono certo pochi, ma il percorso, su buoni sentieri, è ben segnalato e non dovrebbe darmi alcun problema. Un Km più avanti, ecco il Mont Sabot, una curiosa collina boschiva; ospita sul suo cocuzzolo la Chapelle Saint-Pierre risalente al XII sec. ma è fuori percorso e dovrei risalirlo sotto il sole cocente; mi dico che è meglio proseguire perché potrei anche trovare la Cappella chiusa, cosi riprendo la strada col cuore in pace. Sono sempre in pieno sole, e solo quando arrivo nel Bois d’Echereau, posso godere di un poco di ombra riposandomi presso una grossa quercia. Un altro troncone di strada Romana mi accompagna verso Corbigny, dove giungo alle 16 abbastanza stanco ed accaldato. Una vettura mi si accosta pericolosamente in una curva ed il guidatore mi chiede se sono un pellegrino e dove sono diretto; lui abita a Premery, e mi dice che ha compiuto il pellegrinaggio a Santiago questa primavera partendo da casa sua. Durante il cammino è stato afflitto da una tendinite per circa un mese ma non ha mollato, ha tenuto duro stringendo i denti, ed è arrivato a Santiago felicemente non trovando soverchie difficoltà lungo il percorso; stasera vorrebbe che andassi a casa sua, ma io non posso accettare poiché ho già riservato qui all’Institution de Saint-Lèonard, così mi indica dove devo indirizzarmi salutandomi a malincuore. Anche a me spiace, ma Premery si trova a 34 Km, e domattina avrebbe dovuto riaccompagnarmi qui per riprendere il cammino; sarebbe stato molto bello ed interessante, ma gli avrei procurato troppo disturbo. Cosi entro all’Institut Saint-Léonard (un Collegio), ed un ragazzino, al quale chiedo informazioni, mi accompagna tutto allegro dalla suora addetta alla ricezione. Vengo accolto con sollecitudine ed accompagnato in una dependance del convitto dove trovo docce, servizi, e parecchi ottimi materassi in un ampio salone, sistemandomi in una piccola cameretta provvista di tavolo e sedie con vista sul parco. La lunga e calda tappa mi ha affaticato, ed il piede sinistro, sofferente per la leggera tendinite, mi richiede immediate cure; anche il ginocchio destro mi segnala, con delle fitte dolorose, l’insorgere di problemi (specialmente quando devo scendere dei gradini), da non sottovalutare. Prima di visitare la cittadina, telefono al Presbytère di Premery per un’eventuale accoglienza, ma il Curè mi dice desolato che lui è ammalato e non può darmi aiuto, mentre il numero telefonico dell’O.T. è errato, così decido di non decidere, ed arrivare domani a Premery per cercare l’alloggio. Torno in centro per acquistare i viveri per domani e per la cena di stasera che si compone di alimenti pellegrineschi come: pane, prosciutto cotto, formaggio ed un litro di ottima birra, poiché qui non vi è la cucina per un bollente minestrone con sali minerali ed altro, di cui comincio a sentirne la necessità…. Alle 20,46 vi sono tre lunghi suoni di sirena simili a quelli dell’ultima guerra quando vi erano i bombardamenti; non ne comprendo il significato, e mentre mi infilo nel sacco a pelo, penso di chiedere informazioni a qualcuno domattina.

Martedì 02-09-03. 11° tappa. Corbigny – Premery. 34 Km. Bar Restaurant CH 4 Saison. Tel: 03 86 68 10 91.

Ripartendo alle 7,20 dall’Institut Saint-Léonard, ritorno un poco sui miei passi verso il CentreVille, cosi trovo una boulangerie aperta dove acquisto dei croissant e delle “canne”(lattine) di CocaCola al gelo, ottime per il mattino che si annuncia con il cielo luminosissimo. Passo il fiume Yonne su due ponti, quindi il bel Canal du Nivernais bordato da ombrosi filari di olmi che si specchiano nell’acqua calma, poi, camminando sulla deserta D958 e sulla D146, raggiungo il piccolo villaggio di Guipy. Mi dirigo verso il villaggio (antico priorato dipendente dall’Abbazia di Saint-Martin d’Autun), di Saint-Révérien, dove la bella chiesa, aperta, mi permette di ammirare la splendida navata, con colonne e capitelli di squisita fattura, chiaramente di origine romanica, ed una bellissima abside a forma di fondo di forno con deambulatorio. E’ esattamente come l’avevo vista quando, prima di partire per il cammino, avevo cercato, tramite Internet, notizie ed informazioni sui vari villaggi in cui sarei transitato o sostato. Ma i bellissimi capitelli li devo solo guardare dal basso senza distinguerli chiaramente; ci vorrebbe che la macchina fotografica avesse almeno un teleobiettivo che me li avvicinasse un poco…. Riprendo il cammino che ora si insinua tra i campi su sentieri bordati da rovi che recintano appezzamenti dove pascolano piccole mandrie di mucche di razza Charolais, bianche come il latte. I rovi non costano nulla, sono una ottima barriera per contenere il bestiame, ed a differenza del filo spinato, la parte più tenera con foglioline e more mature viene bellamente mangiata dal bestiame con gusto; ecco perché tutti i pascoli sono recintati così. A volte però, nelle vicinanze delle fattorie, vi sono anche ragazze e signore che, munite di piccole ceste di vimine, raccolgono i gustosi frutti maturi, ed invariabilmente alle mie domande, rispondono che le usano per le conserve o per confezionare torte. Mi fermo nella frazioncina di Moussy seduto sui gradini della sua chiesetta dedicata a Saint-Rémy (XVI sec) per lo spuntino; sono le 12,30 e come solito, il cielo comincia a coprirsi di nuvole e si alza la brezza. Al mattino quando parto la temperatura è bassa e mi devo coprire ben bene poiché vi è ancora una bella rugiada sui campi; il vapore che esce dalla mia bocca si vede molto chiaramente, e devo camminare per un paio di ore prima di togliermi qualche indumento, poi attorno alle 10~11, la temperatura sale velocemente permettendomi di restare in pantaloncini e canotta. Seduto su un grosso tronco presso il ponte sulla Grenotte, telefono a Premery all’O.T. per trovare un alloggio, riuscendo alla fine ad averlo al “Bar-Restaurant 4 Saison” che da pochi mesi fa anche Chambre d’hôtes. Arrivo a Premery alle 15,30 dirigendomi subito al Bar 4 Saison situato sulla Grand Rue, proprio di fronte all’ufficio postale. Al momento mi sembra chiuso, ma l’accesso è alla porta più avanti, così mi accoglie la proprietaria, una giovane signora che mi assegna la camera al piano superiore; una buona doccia, poi faccio il bucato, ed approfittando dello spazio che vi è nell’orto in pieno sole, stendo i miei indumenti, badando bene che una bella capretta che gironzola libera non vi arrivi. L’ufficio postale è aperto, così preparo le cartine usate e tutti i rullini fotografici da sviluppare, per inviarli a casa, alleggerendo lo zaino di circa 600 grammi. Sotto il sole spaccapietre, gironzolo per la cittadina fotografando il bel castello, (anticamente residenza estiva dei Vescovi di Nevers e dei Conti di Prémery), risalente al XIV sec. quindi rientro per la cena, ottima ed abbondante con penne al pomodoro, due ottime omelette e delle patatine favolose, come solo i francesi sanno cucinarle, accompagnate da un vinello abbastanza leggero, ma dall’ottimo bouquet. Ad un tavolo accanto all’entrata, è seduto un tipo anziano che sembra un po’ troppo ciarliero continuando ad interloquire con la proprietaria che è affaccendata a portare le pietanze ai commensali. E’ un tizio che viaggia da villaggio a villaggio, a piedi o con l’autobus facendo il turista, ed oggi è allogiato in questo hotel, perché dice che fa troppo caldo e si fermerà qui un paio di giorni. Oggi è stata una bella giornata; ho camminato su bei sentieri, visto belle cose, chiacchierato con persone cordiali ed educatamente curiose, infine, allogiato presso persone cortesissime. Ora vado a nanna contento poiché domani, a Nevers, so che sarà ancora così.

Mercoledì 03-09-03. 12° tappa. Prémery – Nevers. 32 Km. Refuge Pèlerin al Couvent Saint-Gildard. 34 rue Saint-Gildard. Nevers Tel: 03 86 71 99 50.

La sveglia è alle 6,30, riassetto completo di tutti gli indumenti che avevo esposto all’aria, riordino lo zaino, quindi scendo per la colazione mentre avventori mattinieri già arrivano al bar per il caffè. Il tempo anche oggi è bellissimo, ma la temperatura è molto fresca e mi devo coprire anche con il giubbino, però le braccia, scoperte, sentono parecchio il freddo; mi riprometto di acquistare un Kway leggero a Nevers, che essendo di plastica mi terrà le braccia al caldo nelle prime ore del mattino. Sono sulla D148 poco frequentata in direzione di Nolay, grosso borgo fuori percorso; attraverso le Officine chimiche Lambiotte poi più avanti la C3, piccola compartimentale in direzione della frazioncina di Rigny. Il percorso è molto vario e vi sono molti saliscendi che spezzano il ritmo del cammino, ma sono nella Forêt de Rigny ed il paesaggio è decisamente bello; questa estesa foresta, è chiamata anche “Canton de Faye”. E’ una zona collinosa a vocazione boschiva, un piccolo acrocoro che fa da spartiacque alla Nièvre a Nord, ed alla Renèvre a Sud. Poco prima di Mauvron un bel Château fa bella mostra di sé aldilà della siepe che costeggia la strada; attraverso i binari di una ferrovia che ha ancora belle casette dei Guardabarriere, entro nel villaggio di Mauvron, poche case lungo la D179. Sempre in salita prendo una piccola compartimentale entrando nel grande polmone verde della Forêt Domaniale de Guerigny che raggruppa diversi appezzamenti di foreste e boschi comunali, con discordanze tra la guida ed i segnali sul terreno che non coincidendo mi pongono problemi di percorso. Lasciando i territori boschivi, dopo 20 Km di cammino entro in Guerigny incontrando il solito traffico cittadino che stride con la solitudine dei sentieri appena percorsi. Passo davanti alla bella chiesa di Saint-Pierre del XVIII sec. percorrendo la D977 che, fino a Demeurs, è come una lunga “Main Street”; poi una secca curva a destra mi conduce a passare la Nièvre su due ponti. Qui mi fermo per lo spuntino all’ombra di alcuni grossi alberi mentre tre bellissimi cigni, che nuotavano pigramente, si contendono vivacemente i pezzi di pane che getto loro. Fa quasi freddo all’ombra, così non mi trattengo molto; dopo il grande carrefour de Chantemerle, riprendo il cammino costeggiando la linea ferroviaria alle pendici della Forêt Domaniale de Bertranges alla mia destra; anche qui, in località Le Viviér, trovo delle divergenze di percorso che però non pongono soverchie difficoltà. Poco dopo l’antica stazione ferroviaria di Urzy, a sinistra, vi è la bella vista del Castello dei vescovi di Nevers; quindi il lungo nastro d’asfalto della D207 mi accompagna verso Feuilles, poi la Route de Beauregard e dopo il passaggio sul ponte autostradale di Nevers, inizia il lungo marciapiedi che mi introduce in città passando davanti alla bella chiesa di Sainte-Marie dalla facciata Barocca (uno dei pochi esempi in Francia), dove ancora sussistono vestigia del Convento delle Visitandine, risalenti al XVII sec. Passo sotto l’antica Porte de la Barre in Place Chaméane, quindi seguendo la direzione del Palais Ducal, lascio le segnalazioni della guida per arrivare al Couvent de Saint-Gildard alle 14,30, atteso dalla suora dell’accoglienza. Faccio velocemente la doccia ed il bucato, poi mi metto alla ricerca di un “Cordonnier”(calzolaio), poiché la cinghia del marsupio si sta staccando, ed anche per trovare i negozi dove acquistare il Kway e le provviste per domani. La cucitura del marsupio si rivela estremamente cara,6 Euro, poi dopo aver riportato tutto al rifugio, faccio il turista nel centro città ed alla Cattedrale dove l’addetta alla vendita dei souvenir, una signora di origini polacche, mi parla in italiano del periodo in cui lei stava in Italia per lavoro. Il pomeriggio è bellissimo con il sole sfolgorante, cosi mi attardo più del dovuto in centro città senza accorgermi che le ore passavano e per arrivare in orario per la cena ho dovuto rientrare molto velocemente! La suora mi ha messo ad un tavolo con dei pellegrini Italiani (automuniti), provenienti nientemeno che dalle parti di Bergamo; Il prete, don Paolo, è di Sezzano, Giovanni è di Serina, mentre Sergio l’autista, è di Trescore. Parliamo dei nostri rispettivi pellegrinaggi, ed anche loro, ogni anno, si mettono in macchina per recarsi in qualche grande Santuario Europeo. Al termine, ci rechiamo tutti quanti al piano superiore nella ex infermeria di Sainte-Croix, dove Santa Bernardetta giacque per parecchio tempo soffrendo e pregando prima di chiudere per sempre gli occhi sul mondo terreno. Incontro di nuovo lo studente tedesco Uwe che mi saluta con effusione, poi mi ritiro nel mio alloggio per il meritato riposo dopo una giornata particolarmente intensa sotto tutti i punti di vista.

Giovedì 04-09-03. 13° tappa. Nevers – Saint-Pierre-le-Moûtier. 30 Km. Refuge Pèlerin. Syndicat d’initiative/Mairie. Tel: 03 86 37 21 25.

Anche oggi il mattino propone un giorno splendido ed alle 7,10 quando chiudo la porta del piccolo rifugio per i pellegrini qui al Couvent de Saint-Gidard, non vi è una nuvola in cielo, ma solo un bellissimo lenzuolo blu-azzurro appena stinto dalla lama rossastra del sole che sta sorgendo alla mia destra. Il Kway che indosso mi protegge splendidamente dalla frescura pungente; attraverso la piazza del Palais Ducal, poi contorno la Cattedrale, quindi prendo la direzione del ponte che attraversa la Loira, povera di acqua in questa stagione. Cammino a lato della N7, abbastanza trafficata, per un lungo tratto, poi in località St-Antoine, la lascio per prendere a destra la D149 calma e deserta in piena zona residenziale. Vi sono numerosi cantieri aperti sia di costruzioni abitative, sia di opere di urbanizzazione, scavi per pose di cavi, tubi per condotte idriche e rifacimento di marciapiedi e piano di scorrimento stradale, per cui è un continuo saltare di qua e la attraverso i vari cantieri e macchinari. Dopo aver passato su un ponte il Canal Lateral à la Loire, scorgo 300m avanti a me, una persona che cammina con un bastone ed una inconfondibile conchiglia bianca legata sullo zaino; ha il mio stesso passo, per cui la distanza non diminuisce fin quando arrivo alla chiesa di Saint-Vincent, ma qui giunto, non lo scorgo più, e dato che la chiesa è chiusa, non comprendo dove possa essere; mi dico che forse lo ritroverò più avanti semmai dovesse fare la mia medesima tappa, così riprendo il cammino. Mi sento molto bene, ed anche il piede sinistro, dolorante nei giorni scorsi, sembra stia meglio, permettendomi un cammino abbastanza veloce al fine di evitare le ore calde del pomeriggio dato che in questa tappa non vi sono boschi né tantomeno foreste ombrose da attraversare. Il cammino passa accanto al circuito automobilistico di Magny-Cours, ma non mi sembra una buona idea, dato che è tutta una grande spianata con parcheggi, asfalto, costruzioni inerenti al mondo dei motori; tutto all’infuori di un cammino storico, e per di più, i segnali spariscono, poiché le strade con i relativi nuovi accessi e giratorie senza segnaletica, hanno stravolto il percorso, per cui arrivare ad uscirne è stato come uscire da un incubo; mi dico che forse sarebbe stato meglio aver preso la N7; anche se maggiormente trafficata, quindi pericolosa; mi avrebbe fatto risparmiare alcuni Km senza alcun problema di direzione da seguire! Il percorso poi, non ha assolutamente storia snodandosi tra sentieri e piccole stradine fino a giungere al rudere di un antico mulino a vento del XIX sec. del tipo con il tetto pivotante (cioè che l’intera struttura del tetto, comprendente il meccanismo delle pale, è girevole per essere sempre in favore di vento), in fase di ristrutturazione in località St-Roch, ed entrare poco dopo nell’abitato di Saint-Pierre-le-Moûtier, grosso borgo al centro di un compartimento dedito all’allevamento di bovini. Mi dirigo al Syndicat d’initiative posto negli uffici della Mairie per ritirare la chiave del rifugio per i pellegrini. Sono le 13,30 e contrariamente al mio pessimismo, esso è aperto così un solerte impiegato, mi accompagna al Rifugio a pochi passi dalla chiesa di Saint-Pierre del XII sec. Rispondendo alle mie domande, mi dice che dovrebbe esserci la doccia con acqua calda, ma grande è il mio sconforto quando dopo essere entrato scopro che vi è solo un piccolo lavabo con acqua fredda e la toilette non in ordine; non vi è la doccia ma solo i tubi staccati e chiusi, il letto si compone di una rete con un materasso ed un cuscino rivestito di plastica, l’ambiente è deprimente trattandosi di uno sgabuzzino/deposito di ceste di plastica. Faccio notare tutto questo al tipo, ma lui mi dice che questo locale è quello che la Mairie mette a disposizione delle persone che sono sulla strada (tipo clochard), ma anche per i pellegrini! Sorridendo gli faccio amabilmente presente che i pellegrini non sono dei vagabondi né tantomeno clochard o nullafacenti. Facendo buon viso a cattiva sorte, e ligio al detto che il pellegrino non esige, ma gradisce, accetto l’alloggio cercando di sistemarmi al meglio pensando ai vari Hôtel Restaurant che vi sono qui in piazza. Dopo essermi sistemato, esco per visitare la cittadina, abbastanza estesa e con parecchi negozi disposti lungo la via principale e nelle viuzze accanto alla piazza dove sorge la chiesa di Saint-Pierre. Attendo il termine di una funzione religiosa, poi entro a visitarla, trovandola abbastanza scarna, dotata solamente di una Cappella, meta di pellegrinaggi, dedicata a Sainte-Jeanne d’Arc per aver liberato il villaggio, e di alcune pietre tombali risalenti al XVI sec. All’esterno è molto più interessante; si compone di una bella facciata e portale tipico del Romanico, ma anche della parte absidale di numerose costruzioni a pianta squadrata con piccole vetrate, dominate dal possente e massiccio campanile. Di ritorno al mio povero alloggio, mi sorprendo a ripensare al pellegrino visto questa mattina, cosi come mi sorprende sentirmi a disagio da un eventuale compagno di Via che, viste le tappe, farebbe le medesime soste. Non sono ancora pronto per questa situazione qui in Francia, mentre sarebbe del tutto naturale in Spagna, e pensandoci bene, trovo che la ragione è la relativa difficoltà di potersi adattare ai differenti tipi di alloggio che trovo in questi giorni. Sarebbe tollerante, o procurerebbe difficoltà?, si adatterebbe o avrebbe delle esigenze? Anche oggi, qui vi è un solo letto, come ci saremmo comportati l’uno verso l’altro? Piccoli dilemmi che per fortuna ancora non mi si presentano, ma ai quali bisognerà pur prestare attenzione se mai si presenteranno….

Venerdi 05-09-03. 14° tappa. Saint-Pierre-le-Moûtier – Valigny 30 Km. HR “Relais de la Forêt” Place de l’Eglise. Tel: 04 70 66 60 33.

Notte agitata e poco soddisfacente al bisogno di sonno; a fianco del rifugio, vi è una stazione di pompaggio idrica, una autoclave, che sebbene abbastanza silenziosa di giorno, nel silenzio notturno, diventa insostenibile, ma anche per quattro ombrosi tigli che ospitano tra le sue fronde un consistente stormo di uccellini che con il loro cicaleccio notturno hanno contribuito parecchio al mio dormiveglia. La sveglia che mi ero prefisso per le 6,15 è rispettata, e alle 6,50 sono pronto per partire anche se l’aurora ancora non si vede. Appena apro la porta, mi accorgo che il rumore non proveniva solamente dall’autoclave e dagli uccellini, bensì, anche dalla pioggia che sta cadendo e comprendo il perché l’aurora sia in ritardo; il cielo è completamente coperto da una coltre di nuvole scure! Rientro di nuovo nel rifugio, lascio lo zaino incamminandomi attraverso la cittadina diretto alla boulangerie per comprare il necessario per la colazione che prenderò qui nel rifugio, al riparo dalla pioggia. Due pani al cioccolato, un pane con uvetta ed un succo di frutta saranno tutto ciò che mi sostenterà fino a Valigny se per caso la pioggia dovesse sempre cadere, così alle 7,15, completamente rivestito di plastica, parto “singing in the rain”. E’ una bella sensazione poter camminare senza che la pioggia battente ti faccia del danno; con i miei indumenti mi sento proprio bene, anche se tutto l’ambiente intorno a te, prende un aspetto malinconico tipico dei giorni di pioggia novembrini. Come sempre, avevo due scelte come percorso di tappa; la prima è il percorso segnato sulla guida da percorrere normalmente, e la seconda, tenuta come riserva, in caso di forte pioggia. Così, oggi, dato che ci saranno parecchi Km su sentieri erbosi e fangosi, decido per il percorso di riserva, percorrendo la D978a, che oltretutto mi farà risparmiare alcuni Km evitandomi i larghi giri del percorso originario. La dipartimentale è poco frequentata dalle vetture, così non mi pone problemi all’ombrello che mi permette di camminare a capo scoperto e con il poncho aperto, favorendo un’ottima ventilazione anche se indosso i capi in plastica per ripararmi dalla pioggia. Passo dal villaggio di Livry, poche case lungo la strada con la chiesa di Notre-Dame de la Nativité come punto centrale, poi mi dirigo verso il fiume Allier che determina anche il passaggio dal dipartimento della Nièvre a quello dell’Allier. Giungo nel grosso villaggio di La Veurdre dove vi è la bella chiesa Romanica del XII sec. di Saint-Hippolite, quindi mi dirigo, sempre sotto la pioggia, verso Château-sur-Allier per prendere di nuovo la D978a che mi condurrà, praticamente su un lungo rettifilo, verso la cittadina di Lurcy-Lévis, grosso borgo, noto soprattutto per il suo circuito motoristico per vetture categoria turismo e motociclistico. Lascio la D978a per prendere la D64 sempre sotto la pioggia che non mi da scampo, così quando arrivo alla località di Grand-Veau una pensilina di autobus, ben riparata, mi permette di sostare per lo spuntino meridiano ed anche di togliermi gli indumenti antipioggia che tengo addosso da 5 ore. Non fa freddo nonostante la pioggia, ma ora la coltre di nuvole comincia a diradarsi, ed il sole fa salire la bruma dai campi ed anche dall’asfalto, così che vi è una umidità pazzesca ed un odore di terra bagnata che diventa persino fastidioso. Le preghiere che elevo per far cessare la pioggia, che ha ricominciato a cadere, non hanno effetto, così decido di riprendere il cammino verso Valigny che dista ancora 6 Km. Arrivo all’Hôtel alle 14; mi viene assegnata una bella camera, poi una bollente doccia mi riconcilia con l’ambiente piovoso che mi ha afflitto per tutto il cammino. Per la tappa di domani a Saint-Amand-Montrond, vi è un Foyer de Jeunes Travailleur situato a circa un quarto d’ora dal centro città, per cui prendo accordi per l’alloggio; mi viene detto di presentarmi entro le 14, altrimenti sarà chiuso fino alle 17. Il villaggio di Valigny, non ha nulla da offrire al turista (solo una chiesa di impronta Romanica), essendo tutto disposto attorno ad un quadrivio, chiaramente un punto di passaggio verso altre cittadine, interessante per il pellegrino in quanto posto dopo il giusto numero di Km da percorrere tra Saint-Pierre, e Saint-Amand. Approfitto del momento di ozio per redigere il diario mentre il tempo sembra rimettersi al bello con una robusta brezza che straccia la nuvolaglia. A cena rivedo il pellegrino che camminava davanti a me all’uscita di Nevers; mi racconta che è diretto a Limoges e che ieri, ha avuto problemi per l’alloggio a Saint Pierre, poiché il rifugio era occupato da me, e tutti gli hôtel della cittadina, erano al completo in quanto vi era una grande riunione di allevatori di bestiame della zona che avevano occupato tutte le camere, per cui ha dovuto andare 4 Km più avanti, a Isle-et-Bardais. Mi mostra la sua guida che è l’ultima edizione, ed è molto aggiornata dicendomi che a Saint-Amand, vi è possibilità di alloggio sia dalle Suore Francescane sia dalle Domenicane. Mi rammarico di questo, ormai la mia prenotazione al F.J.T. è stata fatta, e penso che anche per il prosieguo la mia guida sia obsoleta in fatto di alloggiamenti ed a volte anche in fatto di percorso. Ad un altro tavolo vi sono tre persone belghe, ed uno di loro viene al mio tavolo dicendomi che è hospitalero al villaggio di Los Arcos in Spagna; si dice rammaricato del fatto che il cammino in Spagna stia diventando un modo di fare vacanza o turismo a buon mercato per una buona percentuali di cosiddetti pellegrini, e mi chiede se anche per me a San Nicolas la cosa sia in questi termini. Gli spiego ciò che noi facciamo a San Nicolas ed il nostro modo di intendere il pellegrinaggio così, lo vedo un po’ più sollevato avendo concordato con lui su alcune cose che non vanno per il verso giusto, ma anche che vi sono altre persone ed altri hospitales dove si tiene in gran conto lo spirito del Cammino e si cerca sempre di tenere in primo piano la parte spirituale di esso. Alle 21, quando mi ritiro nella mia cameretta, sta piovendo di nuovo ben bene con il cielo che si sta di nuovo coprendo di grosse nuvole, però la TV aveva predetto che il meteo di domani sarà quasi sereno o poco nuvoloso, per cui mi addormento abbastanza fiducioso.

Sabato 06-09-03. 15° tappa. Valigny – Saint-Amand-Montrond. 30 Km. Foyer Jeunes Travailleur. 36 rue de la Brasserie. Tel: 02 48 62 01 30

La sveglia è alle 07 ed il tempo, come speravo, è sereno; prendo la colazione con l’altro pellegrino che si attarderà un poco di più poiché si fermerà prima di Saint-Amand, così alle 7,40 sono in cammino già un poco in ritardo rispetto agli orari che devo rispettare. Appena fuori il villaggio, prendo la dipartimentale D64, evitando il sentiero ancora fangoso, diretto alla frazioncina di Bardais per poi proseguire verso Ainay-le-Château a circa 11 Km. Il percorso e tutto sulle dipartimentali e non ho difficoltà a raggiungere Ainay. Il tempo è decisamente volto al bello ed il sole, appena velato, scalda in modo perfetto mentre attraverso la bella cittadina di Ainay passando davanti alla chiesa di Saint-Etienne risalente al XII sec. quindi passo il fiume Sologne lasciando la Cappella di Saint-Roch alla mia destra. Al limite del dipartimento tra l’Allier e lo Cher, il cammino mi porta su sentieri con brevi ma accentuati dislivelli che spezzano il ritmo. Entro in Charenton-du-Cher passando il ponte sulla Marmande, limpido e pigro fiumicello scarso di acque, poi entro nella piazza della chiesa dedicata a Saint-Martin. Seguendo la D37 mi dirigo verso Saint-Pierre-les-Etieux; secondo la guida avrei la possibilità di seguire la sponda sinistra del Canal du Berry proprio fino all’entrata di Saint-Amand, ma mi dice anche che essa non è per nulla ben tenuta, e così temendo di camminare tra l’erba alta e sterpaglie con nessuna possibilità di riprendere poi il sentiero, seguo i segnali che mi portano verso Les Vivons; naturalmente poi questi segnali nei punti cruciali svaniscono e solamente la Provvidenza mi aiuta nel momento del dilemma facendomi incontrare sempre qualcuno che mi indirizza al meglio. Mi accorgo che queste perdite di tempo mi stanno attardando e che non avrò il tempo di fermarmi per lo spuntino, così cerco di proseguire più veloce anche se ora (circa le 12), il sole dardeggia fin troppo. Cammino per 1,5 Km sulla D951 da La Ravière fino alla deviazione verso le Moulin de Gâteau a destra, e questo mi fa passare la voglia di continuare sempre su di essa in linea retta fino a Saint-Amand; troppo trafficata e pericolosa! Decido di incamminarmi seguendo il sentiero fino ad incontrare il canale, e poi seguire le sue sponde; cosi faccio ed il percorso si dimostra bello e solitario anche se non particolarmente panoramico, con l’accompagnamento del sordo rumore del traffico sulla D951 a circa 1 Km alla mia destra. Sono circa 4,5 Km interminabili, ed a volte noto dei piccoli cubetti di cemento con l’effige della conchiglia che marcano il sentiero in prossimità dei ponticelli o delle chiuse. Quando arrivo alla Chiesa di Saint-Amand (chiusa) stretta da vicino dalle case, sono già le13 e non vi è nessuno in giro a cui chiedere informazioni per il centro città o l’O.T. per avere la pianta della cittadina e proseguire fino al Foyer. Giungo in una piazza, ed un tizio mi rincorre chiamandomi; mi chiede se sono io il pellegrino che ha riservata a casa sua (a 15 Km da qui), gli rispondo di no, così gli chiedo se mi può indirizzare al Foyer; mi fornisce delle informazioni abbastanza chiare dicendomi però che è abbastanza lontano a circa 2 Km augurandomi buon cammino. Infine arrivo al Foyer, un grande palazzo di recente costruzione in zona periferica, giusto 15 minuti prima che chiuda. Due simpatiche ragazze mi stavano attendendo, cosi vengo accompagnato alla mia cameretta e informato di tutti gli orari e possibilità di cena e colazione, nonché fornito della chiave (elettronica) per uscire o accedere al Foyer. Dopo la doccia, faccio anche il piccolo bucato, poi mi ficco a letto per un’ora per riposare. Alle 16,30 quando cerco di uscire per ritornare in centro a visitare la chiesa e per richiedere la pianta della città all’O.T. quasi non riesco a scendere le scale a causa del notevole indolenzimento dei piedi ma soprattutto del ginocchio destro. Ho dovuto camminare troppo velocemente per arrivare qui in tempo ed il risultato è questo; così abbastanza preoccupato, mi riprometto di non accettare mai più orari tanto stretti ed obbligati anche a costo di dover andare in un Hotel! Lentamente sotto uno splendido solleone, ritorno sui miei passi verso la chiesa trovandola finalmente aperta; l’interno è abbastanza bello, ma è eccessivamente oscura tanto che a fatica si riesce a vedere qualcosa, né tantomeno a fare delle foto decenti. Mi reco poi all’O.T. in centrocittà per richiedere la cartina, altrimenti domattina dovrei ritornare alla chiesa per riprendere i segnali del cammino. Approfittando del bellissimo pomeriggio di sole, gironzolo lentamente per le vie del centro, molto belle e con molti negozi (Saint-Amand è una grossa cittadina), poi, dopo gli acquisti dei viveri per la tappa di domani, rientro al Foyer cercando di riposare fino all’ora di cena. Nella sala da pranzo vi sono già parecchie persone che stanno cenando, e non sono particolarmente giovani, per cui deduco che sono dei turisti che hanno trovato alloggio qui, e poi visitano la cittadina spostandosi con la vettura. Cena ottima ed abbondante con della buona birra per dimenticare i problemi ai piedi, quindi alle 21,30 sono già sotto le coltri per un giusto e meritato riposo dopo una giornata di cammino faticoso oltre il dovuto.

Domenica 07-09-03. 16° tappa. Saint-Amand-Montrond – Le Châtelet. 28 Km. Hôtel Restaurant Bar du Pont Bayard. Tel: 02 48 56 20 82.

Anche questo mattino la sveglia è all’alba, ed alle 07 sono già al self-service del Foyer per la colazione; caffèlatte, pane, burro, marmellata, poi sono pronto per lasciare Saint-Amand.

Alle 7,30, cartina alla mano, sono sulla strada che porta verso la Gare all’esterno della città; fa freddo e vi è nebbia mentre ad un grande rond-point chiedo indicazioni per arrivare al Pont d’Orval sul fiume Cher verso la D951. La direzione per Le Châtelet è in salita ed i segnali non ci sono ma il percorso è fedele alla guida che sto seguendo. Piccole compartimentali si susseguono ai sentieri con i segnali che sono riapparsi ai crocicchi ed ai bivi, mentre il cielo diventa bigio e gli uccelli si posano tutti sui fili, segno che tra poco comincerà a piovere. Aldilà delle siepi che bordano le stradine, piccole mandrie di mucche sono ombre evanescenti nella nebbia che tarda ad alzarsi e mentre passo accanto ad una Ferme un altezzoso e starnazzante stormo di “canard”, decide di accompagnarmi fin quando glielo consente la recinzione, forse in attesa di lancio di mangime da parte mia. Entro nel piccolo villaggio di Bouzais, passo su un ponte la Loubière, quindi il ponte che scavalca l’autostrada A71 sempre camminando sulla piccola compartimentale C4. Cammino lentamente poiché non intendo affaticare il piede né tantomeno il ginocchio destro che, quando devo affrontare una discesa, si ribella obbligandomi ad appoggiarmi al bastone. Mentre arrivo al carrefour de la Reuille inizia a cadere la pioggia che non mi trova impreparato; vedendo che il cielo si rabbuiava sempre più mi ero già messo in tenuta da sommozzatore, così accolgo la pioggia con un sorriso amaro ma beffardo (piccole cose che però danno soddisfazione al pellegrino a piedi…). In località Charron, il sentiero divenuto erboso, si infila nella foresta e ben presto mi trovo con le pedule completamente bagnate dall’erba alta piena d’acqua che gli viene scaricata addosso durante il passaggio. A volte questi sentieri si allargano in larghi viali tagliafuoco dove il passaggio di trattori o di pesanti carri hanno scavato dei profondi solchi ora pieni di acqua, oppure divenuti fango estremamente appiccicoso. Sentieri pietrosi con pezzi di cattivo asfalto si susseguono ai tratturi che tagliano i campi, mentre il cammino procede come fosse stato tracciato da un ubriaco, tanto è il suo procedere ora a destra, ora a sinistra lungo le bordure dei campi o per contornare una Ferme o per raggiungere un crocicchio. Una grossa quercia posta nel bel mezzo di una di queste “Allée” (grandi viali), è divenuta pannello indicatore di una discreta quantità di segnali escursionistici o di passeggiate, ma reca anche il segnale che io devo seguire. Giungo al villaggio di Loye-sur-Arnon provenendo da una piccola stradina bordata da muretti in pietra e fiori, ammirando sotto la pioggia la silhouette del bel campanile che spunta dal tetto della bella chiesa gotica, poi passando sopra il ponte romano riprendo di nuovo il cammino attraversando più volte passerelle sopra dei limpidi ruscelli o bracci di stagni. Uscendo da questa zona boschiva, vedo, ancora abbastanza lontana, la collina su cui sorge la chiesa di Puyferrand mentre il sentiero si contorce ancor più su se stesso come una serpe in preda ai dolori. Finalmente, arrivo in salita alla massiccia chiesa di Puyferrand. L’ambiente è reso cupo dalle nuvole nere e dalla pioggia che ha bagnato tutta la facciata ed anche i grossi alberi che la circondano, contribuiscono con le loro chiome ad oscurarla; naturalmente è chiusa ed anche il cimitero vicino non fa che aumentare il senso di tristezza che la pioggia battente già le conferisce. Seguo le frecce per arrivare al centro del villaggio, ma qualcosa mi dice che sto sbagliando. Impossibile mi dico, ecco qui il segnale, chiaro e preciso sul palo; la cartina non mi è di aiuto, ma la bussola sì, e dopo 500 m, mi fermo avendo la chiara sensazione di andare dalla parte sbagliata. Ed ecco la Provvidenza che sempre mi aiuta; da una piccola fattoria esce un signore, sotto la pioggia violenta, per dare da mangiare ad uno stormo di anitre! Non mi par vero e lo chiamo a gran voce; in effetti le indicazioni che gentilmente mi dà, è che devo ritornare sui miei passi e tralasciando i segnali (sono quelli che dovrò seguire domani), girare a destra alla rotonda scendendo verso il villaggio nascosto nella valle! Quando si dice la Provvidenza!, era l’unica casa su quella stradina e lui è uscito sotto il diluvio per dar da mangiare alle anatre! Mezz’ora dopo sono sulla piazza del villaggio davanti alla bella chiesa dedicata a Saint-Martial; poggia sulle fondamenta di una Chapelle risalente al XIII sec. distrutta dai Duchi de Deux-Ponts nel XV sec. quindi ricostruita nel XIX sec. Purtroppo è chiusa, così, sotto la pioggia, le scatto una foto sperando che venga bene, poi mi incammino verso l’abitato del villaggio dirigendomi più in basso seguendo la Grand Rue, ed alle 15 sono nel piccolo Hôtel Restaurant di M. Guy Thevenin e di sua moglie, persone gentilissime e cortesi che mi offrono un buon caffè caldo ancor prima di assegnarmi la camera. Dopo la buona sistemazione, telefono per l’alloggio a La Châtre, alle Suore dell’Immacolata ricevendo un diniego, così per non perdere altro tempo, telefono all’O.T. che mi fornisce il numero telefonico di un Abri (rifugio) per viandanti e pellegrini. Lo contatto immediatamente ricevendo assicurazione di un posto libero e della cucina a disposizione; tra l’altro, è ubicato proprio dietro la chiesa di Saint-Germain punto di tappa, però mi dice anche che solitamente apre alle18, ma per me, pellegrino, cercherà di rientrare più presto, attorno alle 16,30/17, per accogliermi. Vedendo poi che il tempo non cambia per niente e scarica sempre pioggia, mi infilo sotto le coltri per uscirne alle 18,30 preparandomi per la cena. L’imperioso squillo del cellulare mi ridesta del tutto; sono gli amici confratelli che, in Italia, stanno compiendo il pellegrinaggio di confraternita al Volto Santo di Lucca. Li sento allegri e ciarlieri; mi informano che parecchi di loro hanno i problemi comuni a tutti i pellegrini; vesciche, tendiniti, piaghe ed arrossamenti che gli impediscono di camminare, ma anche che il pullmino di appoggio, accogliendoli a bordo, supplisce perfettamente alla bisogna. Devono solo avere la giusta dose di pazienza per guarire, almeno un poco, e poi riprendere il cammino, magari senza il dolce peso dello zaino…. A volte quando sono in cammino e la solitudine diventa malinconia, con il canto o la preghiera riesco a mitigarla liberando, poco a poco, la mente dal fardello che essa rappresenta, ma se, come oggi, essa viene accentuata vieppiù dall’ambiente e dalle condizioni meteo avverse, anche lo spirito diviene meno pronto, ed allora, ecco che il solo fatto di collegarmi al mondo, anche se per pochi minuti, e ricevere un piccolo messaggio dagli amici o dai familiari, mi riporta il sorriso e la serenità offuscati dal peso della solitudine. Si, è la possibilità che apprezzo maggiormente nel telefono cellulare durante il cammino; poter udire o leggere, quando ne senti disperatamente il bisogno, voci o scritti di persone che ti sono care anche se sai che sono lontane migliaia di Km…. La cena è servita in una piccola veranda a vetri che permette la vista del ponte che scavalca un fiumicello e del paesaggio circostante, ma anche della nera coltre di nuvole che occupa tutto il cielo. Ma è il sole, rosso e calante, alle mie spalle che forma uno spettacolo formidabile, tanto che, occupando tutto l’orizzonte e simile ad un gigantesco incendio, infiamma i neri bordi della nuvolaglia temporalesca; quasi uno spettacolo in technicolor! Non mi è dato sapere se domani avrò bel tempo, poiché la signora, alla quale chiedo informazioni, si trincera dietro una vaga asserzione di variabilità… Seduti ai tavoli accanto al mio, vi sono delle mature coppie di inglesi e di olandesi giunte a bordo di vetture provenienti dalle vicine città di Saint-Amand e di La Châtre, che festeggiano in modo discreto e con molto garbo il 75° genetliaco di una signora stappando una Magnum di eccellente Champagne. Molto gentilmente ed in modo signorile ne offrono una coppa anche a me… Che giornata speciale…!

Lunedì 08-09-03. 17° tappa. Le Châtelet – La Châtre. 32 Km. Abri pour Pèlerin. 1 Rue de Boeuf. Tel: 02 54 06 05 75

Oggi la sveglia suona tardi poiché ho parecchio tempo a disposizione, dato che l’Abri a La Châtre apre alle 18, così dopo la colazione, parto alle 08. Ritorno sui passi di ieri e ritrovo le frecce segnaletiche; anche oggi il percorso va a destra ed a sinistra seguendo piccole compartimentali, poi, dopo Les Archers, ecco un settore di sentiero erboso mentre il cielo si incupisce di nuovo. Cammino lentamente poiché il ginocchio destro, quando è in appoggio specialmente durante le discese ripide, mi procura delle fitte dolorose costringendomi ad appoggiarmi sul bastone pesantemente. Mi fermo per mettermi i vestiti impermeabili fintanto che la pioggerellina è lieve, così ne approfitto per massaggiarmi il ginocchio con la crema antinfiammatoria che produce quasi subito i suoi effetti benefici. Ora la pioggia diviene battente, ma non mi disturba più di tanto mentre raggiungo l’abitato di Saint-Jeanvrin sulla VC201. Proseguo in un paesaggio bellissimo disturbato solo dalla pioggia che fa risaltare l’erba verdissima degli ampi pascoli punteggiati dalle bianche macchie delle mucche di razza Charolais, mentre la C5 è deserta, non essendovi neanche i trattori, abituali frequentatori di queste stradine. Entro in Châteaumeillant sotto la pioggia trovando la cittadina addobbata con ghirlande di fiori lungo la via principale che porta alla chiesa di Saint-Genès, un massiccio esempio di Romanico del Berry del XII sec. poi riprendo la strada in direzione della D943 verso La Châtre. Nelle città, come qui a Châteaumeillant, i segnali spariscono, e quando le vie non portano le targhe si perde parecchio tempo prima di avere l’informazione giusta; così è anche qui, e ci vuole un quarto d’ora prima di incontrare un postino che mi indirizza al meglio verso Néret. Tre Km dopo Châteaumeillant, entro nel dipartimento dell’Indre giungendo poco dopo a Néret, piccolo villaggio attraversato dalla D68.La sua chiesa è aperta, così mi siedo, per lo spuntino meridiano, su una panca all’interno del piccolo portico antistante la navata, mettendomi al riparo dalla pioggia che, sembra, stia calando di intensità. Alle13 riparto sotto la pioggia che ha ricominciato a cadere; mancano ancora 15 Km a La Châtre mentre mi dirigo verso Fontenay sulla D68. Dopo Fontenay, alla frazione di Les Ormeaux, dovrei proseguire su dei sentieri, ma la pioggia battente mi consiglia di prendere a sinistra incamminandomi sulla D73 verso il villaggio di Montlevicq allungando un poco il percorso, ma evitando sicuramente fango e pietre sdrucciolevoli. Durante una pausa della pioggia, mi si affianca una vettura con a bordo due persone che mi osservano; paiono perplessi e titubanti, così penso che abbiano bisogno di informazioni quando si fermano a lato 200m più avanti. Non è così, poiché mi chiedono se sono un pellegrino e da dove provengo. Loro sono una matura coppia di olandesi, e stanno percorrendo in macchina la “Via Lemovicensis”, così non gli par vero di sapermi pellegrino sulla loro stessa Via e quando gli spiego che sono diretto a Santiago di Compostella e la mia nazionalità è Italiana, restano sorpresi ed interdetti. Parlano solo inglese e poco il francese, ma riusciamo a conversare discretamente. Mi chiedono se mi possono fotografare, richiedendo poi il mio indirizzo per inviarmi a casa la foto, quindi mi salutano ripartendo verso Neuvy-St-Sepulcre. Passando attraverso Montlevicq ed altri piccoli borghi come La Metairie Neuve, fotografo le loro chiese comunque chiuse, arrivando a La Châtre alle 17 circa. Mi dirigo subito alla chiesa di Saint-Germain, e trovandola aperta decido di visitarla prima che decidano di chiuderla mentre sono nel rifugio che è proprio posto nella viuzza posteriore alla parte absidale della Chiesa. Se la facciata esteriore si presenta massiccia, addolcita solo dal bel portale che introduce nel portico, all’interno è molto più bella, e mi colpisce specialmente la raffigurazione della Pietà, dove la Vergine e Gesù deposto, spiccano per la policromia, essendo situata in una raccolta Cappella dalla volta a crociera ed un altare di marmo bianco finemente intarsiato con la raffigurazione della deposizione di Gesù sul frontespizio dell’altare, ben illuminato da due adeguate fonti di luce. Alle 17,30 suono alla porta dell’Abrì, e Patrick, un allampanato ragazzone che si occupa della gestione del sito, mi apre dicendomi di accomodarmi dove voglio, poiché non vi è nessun altro ospite per oggi. Anche questo è un ricovero a disposizione di persone bisognose, o di pellegrini come nel mio caso. Vi sono 4 letti, i servizi con la doccia ed una cucina, però Patrick mi dice che se voglio, la cena la prepara lui, così dopo la sistemazione e la preparazione della branda, esco a girovagare per la città, venendo di nuovo colto dalla pioggia mentre sono indaffarato ad acquistare i viveri ed il latte per la colazione dell’indomani. Cena alle 17,30, ma Patrick, non si rivela un perfetto cuoco poiché i ravioli che ha cucinato sono insipidi, mentre la zuppa è un passato di incerte verdure dal colore equivoco. Ecco; le omelette con le cipolle sono perfette, così lo perdono dividendo con lui la buona birra che avevo acquistato. Fuori ormai è calato il buio con la pioggia che cade seppure con minore intensità, e mentre mi infilo nel sacco a pelo, prego che il domani sia soleggiato dovendo camminare su molti sentieri erbosi attraverso i campi.

Martedì 09-09-03. 18° tappa. La Châtre – Cluis. 28 Km. Hôtel Restaurant “Les Tilleuls”. 31 rue Saint-Michel. Tel: 02 54 31 22 37.

Anche se stanotte ha piovuto (attorno alle 03 vi era un temporale cattivo con vento forte che mandava grosse gocce di pioggia sui vetri della finestrella), qui nell’Abrì si stava al caldo, cosi al risveglio, mi rammarico di nuovo per aver portato con me il sacco a pelo con la parte interna di nylon; è piu leggero e più piccolo di quello in cotone, ma mi fa sudare di più quando le temperature esterne sono “normali”. Sarà bene che faccia tesoro di queste esperienze, ma rammento anche che ogni volta opto sempre per questo; forse è per la questione affettiva; «Un sacco è un sacco!» voi direte, ma lui è sempre stato con me durante tutti i miei pellegrinaggi…., ed ogni volta, al ritorno, ha sempre ricevuto rimproveri per il suo eccessivo “calore”; che ingratitudine la mia!…. La sveglia è alle 6,30; colazione con latte, Nescafè, pane e burro, ma niente confettura di marmellata, perché le confezioni erano troppo grosse e non le ho acquistate. Appena metto piede fuori della porta con lo zaino in spalla, ecco l’incontinente Giove Pluvio che ricomincia a bagnare il bagnato; faccio rapidamente dietrofront, e mi infilo la scafandratura impermeabile, così non penso più alle bizze del tempo incamminandomi per uscire dalla città. Soliti problemini di ricerca della giuste vie, poi appena ne esco, pongo la massima attenzione sia alla cartina che alla guida descrittiva, poiché non vi è neanche un segnale di cammino e perdere l’esatta direzione ad un incrocio o un bivio sarebbe un bel pasticcio. Dopo pochi Km vengo indirizzato su un bel viale erboso, segnalato come percorso di randonnée, tra due alte siepi di alberi. Sentieri pietrosi si alternano ad altri erbosi ed a piccoli tratti con asfalto fino a Le Coudraie. Un Km dopo l’abitato di Montgarni, ecco il guado per attraversare un ruscello ingrossato dalle recenti piogge, ma un’anima buona ha ben pensato di costruire una passerella, cosi si passa comodamente; non vi è alcun segnale del cammino della Voie de Vézelay, ma in compenso si possono seguire quelli di Randonnée interpretandoli al meglio. Va detto che sono sentieri poco frequentati e vi sono pochi segnali di passaggio di escursionisti. Piove sempre e l’ambiente assomiglia più ad un novembre inoltrato che ai primi giorni di ottobre pazzerello (ma questo è un anno particolare dal punto di vista climatico), con la cappa di nuvole a ranghi serrati di color cenere, e mi sa che oggi non cambierà per niente. La bellezza degli scorci panoramici è offuscata dalla caligine, ma si cammina abbastanza bene sui sentieri bagnati, e sempre prestando attenzione ai vari bivi, giungo, dopo aver passato il bel ruscello di Gourdoun nell’abitato di Varennes, anticamente Abbazia Cistercense dal XII al XVIII sec. e posto tappa Jacobeo. Lungo i secoli conobbe tempi duri e numerosi rimaneggiamenti che ne provocarono il declino, tanto che agli inizi del XIX sec. venne trasformata in fattoria, e la chiesa, gia amputata dai suoi transetti collaterali, venne trasformata in stalla e garage. Dal 1980, una meritevole opera di ristrutturazione è in corso ad opera degli attuali proprietari, ed un cartello posto davanti alla chiesa, indica che vi è la possibilità di visite gratuite a tutto il complesso. Cessa finalmente la pioggia battente ed un pallido sole schiarisce l’ambiente (ed il mio animo), ridando la giusta vastità ai luoghi in cui cammino. Mentre attraverso la fattoria di Le Sachet, a mezza strada tra Montabin e Neuvy-St-Sépulchre, il proprietario, a bordo di un grosso trattore, mi si affianca, poi scende mettendosi affabilmente a chiacchierare con me a proposito di questo Cammino. Si informa se è segnalato, quante tappe vi sono, dove si viene alloggiati e quanti pellegrini ho incontrato finora; «Solo un pellegrino» gli rispondo, ecco che mi dice che parecchi segnali sono caduti per terra ed altri non sono più stati rimessi al loro posto, ma però, avanti di parecchi giorni, vi sono altri pellegrini sul percorso, belgi od olandesi dice lui. Dopo una buona mezz’ora mi saluta cordialmente (anche lui sorpreso di trovare un Italiano sul Cammino, il primo in assoluto mi dice), riprendendo le sue occupazioni. Altri bei sentieri mi conducono a Neuvy-St-Sépulchre dove trovo la bella Basilica di Saint-Etienne aperta (anticamente dedicata a Saint-Jacques le Majeur nel XI-XII sec.), così ho la possibilità di vedere una statua ed uno stendardo raffigurante San Giacomo. Da Neuvy, decido di camminare sulla D38 passando dal villaggio di Mouhers, ma a mezza strada vi è un cantiere aperto per un scavo, ed il capo cantiere estremamente pignolo e forse anche pieno di sé, mi impedisce di passare, sebbene con un semplice balzo sarei stato aldilà dello scavo. Non ho altra scelta che ritornare indietro e fare una deviazione di un Km, cosa che faccio anche se non gli risparmio qualche mugugno ed auguri non proprio benevoli, ma quando ci vuole, ci vuole, che diamine! Mouhers è un bel borgo attorno al suo crocevia e nella piazza vi è la chiesa dedicata a Saint-Maurice che ho la possibilità di visitare; all’interno, fotografo anche un curioso ed originale piccolo mausoleo dedicato ai caduti della guerra del ‘14/’18, in cui compare la figura del capo Gallico Vercingetorige accanto al fante francese. Delle comode panchine mi accolgono per lo spuntino meridiano, poi riprendo la marcia confortato dal sole che finalmente comincia a riscaldare il pellegrino umidiccio. Giungo alle rovine della antica fortezza di Cluis-dessous; pochi ruderi di ciò che era una costruzione imponente ed arcigna e dopo un Km, entro nella cittadina di Cluis, importante crocevia, date le numerose strade che qui si intersecano. Trovo subito l’Hôtel “Les Tilleuls” situato in rue Saint-Michel, naturalmente bordata da tigli; il proprietario M. Laurent Picaud, ex camionista, è stato parecchie volte a Cologno Monzese, cosi non gli par vero di scambiare qualche parola di italiano con me. Molto cortese, mi accompagna ad una cameretta con accesso alla terrazza, per cui, dopo essermi sistemato, ho la possibilità di stendere al sole tutti gli indumenti lavati, così che, complice il vento parecchio rafforzato nel pomeriggio, asciugheranno velocemente. In una epicerie nella Grand Rue acquisto i viveri per domani, poi entro nell’O.T. per il timbro sulla credenziale; la signorina addetta non c’è, cosi chiacchiero un po’ con un cordiale giovanotto anche lui in attesa. Passa quasi mezz’ora di tempo e l’addetta non si vede, perciò chiediamo informazioni in un negozio di fronte, e lei è proprio lì che sta chiacchierando tranquillamente con una amica! E’ una ragazza giovane, così a mo’ di scherzo la riprendiamo in modo serioso e burbero, ma lei si accorge subito di avere di fronte due burloni così ci facciamo delle grandi risate. Mi fornisce alcuni opuscoli della cittadina dicendomi, dispiaciuta, che la chiesa è in fase di ristrutturazione per cui è chiusa. Mi accorgo che ho la macchina fotografica con le pile quasi scariche; purtroppo qui vi è un solo negozio di fotografia, al momento chiuso per ferie. Anche il bar-tabac-presse che vende un po’ di tutto, non ha il tipo occorrente, per cui spero di poterle trovare ad Eguzon od a Gargilesse domani. Per la tappa di domani a Crozant, inizio una girandola di telefonate trovando infine posto nell’Hôtel des Ruines, che domina la profonda e selvaggia gola dove scorre la Creuse, proprio di fronte ai ruderi dello Château. Mi accorgo che oggi, durante la tappa, non ho bevuto né mangiato nulla. Analizzando le cause, mi dico che forse la pioggia ed il fresco hanno avuto la loro parte, ma devo convenire che la vera causa sia stata l’estrema concentrazione posta nel porre attenzione alla direzione da prendere sul cammino dovuta alla mancanza di segnali ed alla conseguente necessità di non sbagliare nulla, pena lunghi e dispendiosi allungamenti del percorso. A cena sono l’unico avventore, e la signora, dopo una buona zuppa, mi ammannisce una bistecca che occupa tutto il piatto tanto è grande! Accompagnata da patatine fritte e da un buon vinello, mi riconcilia con la giornata non propriamente stupenda dal punto di vista atmosferico, ma bella da quello paesaggistico-boschivo, e dalle cordiali persone che ho avuto il piacere di conoscere.

Mercoledì 10-09-03. 19° tappa. Cluis – Crozant. 33 Km. Hôtel des Ruines. Bar/Brasserie. Crozant. Tel: 05 55 89 80 56.

Colazione alle 7,30; è M. Picaud che mi porta il caffelatte con pane, burro e confetture di frutta molto buona. Lascio Cluis in un mattino bellissimo ma freddo, prendendo la direzione di Pommiers, poi verso l’altissimo viadotto dell’Auzon che ospitava i binari della vecchia ferrovia (oggi dismessa), che collegava Argenton-sur-Creuse a La Châtre, costruito nel 1899. Il panorama che si ammira da quassù è stupendo; sembra di essere su un pallone aerostatico tanto si è alti, ed i prati con gli appezzamenti boscati e verdissimi risaltano nell’atmosfera tersa del mattino. La mia guida dice che dopo il viadotto ed a sinistra ci dovrebbe essere un sentiero con un segnale blu; niente di tutto ciò, e da qui comincio a capire che anche oggi sarà una giornata da prendere con le molle. Giungo a Neuville attraverso altre stradine, poi prendo la D30e fino a Pommiers; quindi seguendo la descrizione della guida che non corrisponde ai segnali sul terreno prendo la direzione di Cuzion/Gargilesse. Il territorio comincia a farsi più collinoso, e piccole valli si susseguono con improvvisi e ripidi dislivelli scoprendo ad ogni curva bei panorami e villaggi lontani. Mi rendo conto che forse la tappa già un tantino lunga, se va avanti così, può diventare parecchio faticosa, ma anche la cartina non mi aiuta granché, non fornendo le curve di livello. Per ora il paesaggio compensa la fatica, ed anche la leggera brezza che si è levata, aiuta a sopportare le asperità del percorso. Gargilesse è un bellissimo borgo nascosto in un valloncello; mi sembra un villaggio da favola, un villaggio di seconde case, di bellissime seconde case; non mi stupisco che George Sand aveva qui la sua casa. È il punto di incontro delle due Branche della “Voie de Vézelay”, la Nord e la Sud. Scoprendo questo borgo, comprendo che sarebbe valsa la pena di fare pochi Km di tappa per fermarsi qui alfine di poterlo visitare meglio e di gironzolare nelle sue viuzze e le sue botteghe d’arte. .Mi reco a vedere la chiesa di Notre-Dame, e notando un gruppetto di turisti che discendono nella cripta, li seguo, potendo così ammirare gli splendidi affreschi risalenti al XII-XV sec. ed assistendo alla spiegazione della guida. Lascio la chiesa riprendendo il cammino sulla D39, attraverso il ponte, quindi arrivato al cimitero, mi fermo seduto su una panchina per lo spuntino essendo già le 12; ne approfitto anche per medicare la tendinite del piede sinistro che oggi è particolarmente fastidiosa. Riparto dopo mezzora, affrontando una ripida salita che mi riscalda subito; dei segnali non vi è neanche l’ombra, così seguo la descrizione della guida che mi porta nel borgo di Cuzion, alla piazza della chiesa. La descrizione dice di prendere il percorso principale, giusto in fondo alla piazzetta ed a sinistra; dapprima è un sentiero pietroso, poi procedendo, diventa un viottolo erboso che tende a scomparire, quindi ad un bivio vi è un segnale che manda a destra verso un punto panoramico, mentre il sentierino (che dovrebbe essere quello esatto), scende ripidissimo e pietroso verso il fondo dove scorre la Creuse. Il dislivello è notevole; scendo con la speranza che il percorso sia quello giusto, poiché risalire di nuovo sarebbe faticosissimo. Segnali non ve ne sono, e non vi è nessuno a cui chiedere, anche perché il tempo sembra stia peggiorando, e chi mai verrebbe su questo sentiero fuori dal mondo? Giungo sul fondo del vallone accanto ad una grande ansa del fiume; metto mano alla bussola orientando di nuovo la cartina perché la guida dice di prendere a sinistra la Gran Randonnée assolutamente non segnalata. Imprecando alla trascuratezza dei responsabili, proseguo per circa un Km sul sentierino tra alberi e cespugli, finché raggiungo una costruzione; è un rifugio, una Gîte sulla riva del fiume. Porta e finestre sono chiuse, ma, fidente, batto col bastone sulla porta e poco dopo, ecco la Provvidenza! Con mia sorpresa una signora apre la porta; è lei che gestisce il rifugio, cosi rispondendo alle mie domande, mi conforta sul percorso che sto seguendo; mi dice che più avanti, a poco più di un Km, esso sbuca a Pont des Piles, e che farà presente ai responsabili la mancanza di segnaletica sul percorso. Con l’animo più sollevato, procedo speditamente verso Pont des Piles, così trovo anche una gradita fontanella d’acqua a cui rinfrescarmi e dissetarmi. Decido di non andare verso Éguzon, ma di accorciare prendendo la D45c per Fressignes, poi all’altezza di Chambon la D36d, quindi incrociare il percorso a La Feyte e seguirlo fino a Crozant. Il tempo non peggiora ulteriormente, ma vi è una bella brezza che fa mulinare le foglie e stormire le fronde degli alberi. Dal livello della Creuse si deve risalire di nuovo in alto e la fatica si fa sentire, mentre ad ogni curva si scoprono dei begli scorci panoramici; mi convinco che la tappa sarebbe bene fosse più corta per poterla apprezzare al meglio, forse anche per approfittare di un bel bagno nelle acque della Creuse….Sempre con continui saliscendi, arrivo a Crozant; l’Hôtel des Ruines, è posto poco prima dell’entrata del villaggio, in posizione panoramica su una grande ansa del fiume, giusto di fronte ai ruderi del castello che un tempo dominava questa gola. La proprietaria, accompagnandomi alla cameretta, mi dice che purtroppo la clientela non è più quella di qualche anno fa, vi è sempre meno gente e a fatica riesce a tenere aperto l’Hôtel, per cui, ora, normalmente non fa ristorante, ma solo Brasserie; comunque, apprezzando il mio cammino da pellegrino, mi preparerà la cena. Finalmente una doccia caldissima mi ritempra dalla tanta fatica di questa tappa, bellissima e varia, ma a causa dei notevoli dislivelli, troppo lunga. Mezz’ora dopo, ecco cadere la pioggia che immalinconisce lo stupendo paesaggio che ho davanti, così, non ho niente altro da fare che infilarmi sotto le coperte per riposare fino all’ora di cena. Alle 19,30, con altri avventori, ceno nella grande sala con vista sul fiume, assistendo al lento sopraggiungere dell’oscurità crepuscolare che inghiotte la natura selvaggia di questo angolo di foresta a picco sul fiume. Al termine, mentre guadagno la mia cameretta, il pensiero corre a domani quando arriverò a La Souterraine, altro luogo di tappa già conosciuto nei secoli addietro come testimoniano l’antica Porte de Saint-Jacques e la Place Saint-Jacques; cittadina che, assieme a poche altre, riesce a dare a questo Cammino la (finora non abbastanza), pertinente definizione di “Voie Historique”…

Giovedì 11-09-03. 20° tappa. Crozant – La Souterraine. 25 Km. Couvent de Saveur. Rue Fosse des Gentils.

La partenza è alle 7,50; non c’è la possibilità di avere la colazione, così parto senza perdere tempo. Con il tempo coperto e la strada subito in salita mi riscaldo alla svelta, mentre i segnali del cammino, ricomparsi, mi danno fiducia sul prosieguo della tappa. Sulla strada verso la Chapelle Baloue, un furgone strombettante si ferma alcune centinaia di metri avanti a me, ed una ragazza scende consegnando una enorme e rotonda forma di pane ad un vecchietto malfermo sulle gambe uscito da una casetta un po’ fatiscente; è il “Boulanger” che fa il giro delle case o dei piccoli villaggi consegnando il pane alla persone impossibilitate ad acquistarlo nel negozio. Con la grossa forma di pane ben stretta sul petto, l’esile ed anziana figura rientra lentamente in casa strascicando i piedi procurandomi una fitta al cuore al vederlo così fragile. Mentre faccio segno alla ragazza di attendere, costei balza velocissima sul furgone passandomi accanto a razzo; forse pensava ad un mio cenno di saluto, ma io volevo acquistare del pane per la colazione! Penso che dovrò pazientare chissà fino a quando per mangiare qualcosa, quando dopo 10 minuti, sento il furgone che ritorna indietro; coraggiosamente, spinto dalla necessità di mettere qualcosa sotto i denti, mi piazzo in mezzo alla strada facendo segno di fermarsi. È una bella e sorridente ragazza che arrestandosi divertita, mi dice di proseguire fino al villaggio più avanti dove vi è il negozio con la possibilità di acquistare ciò di cui ho bisogno. Cosi è, ed al villaggio di La Chapelle Baloue, nell’unica épicerie-boulangerie, acquisto pane e companatico, ma niente croissant, essendo già stati tutti venduti! Procedo lentamente mentre mangio un panino, ed arrivato al crocicchio, che a destra porta a Bazelat, mi fermo sedendomi sullo zoccolo di pietra del grande Calvaire in mezzo alla aiuola per telefonare all’O.T. di La Souterraine. Chiedo se vi è la possibilità di alloggiare in un monastero o un convento per pellegrini, ricevendo assicurazione che vi è il Couvent de Saveur che può fare accoglienza a poche centinaia di metri dal centro, e di recarsi da loro per il timbro da apporre sulla credenziale. Mentre chiudo la comunicazione con l’O.T., vedo una figura che avanza con lo zaino in spalla, un bastone e la cartina alla mano; è un pellegrino senza alcun dubbio che, come mi racconta dopo che ci siamo presentati, è alla sua seconda tappa sul cammino. Ieri sera ha dormito a Crozant, all’Hôtel du Lac, e proviene da Orleans. Era partito sulla Via Lemovicensis in Agosto percorrendo la Branche Nord, poi arrivato a Cuzion, a causa di una forte tendinite, non poté più camminare e fu costretto a rientrare a casa per le cure, così l’altro ieri, completamente guarito, è ritornato a Cuzion per ricominciare il cammino da dove lo aveva interrotto. Lo invito a proseguire il cammino con me, cosa che accetta subito anche se vedo che ha un passo più veloce del mio; mi dice che camminando con me, non gli verrà la tentazione di camminare veloce e di riavere di nuovo la tendinite. Noto che anch’egli ha l’ultima versione aggiornata della guida, apprezzando il fatto che contiene molte più informazioni circa gli alloggiamenti e le segnalazioni riguardo al percorso. Chiacchierando, ci avviciniamo a La Souterraine su comodi sentieri e tranquille dipartimentali con il tempo che si attesta sul nuvoloso-variabile. Alle14,30 entriamo nell’Office de Tourisme della bella cittadina e due gentili e sorridenti addette ci forniscono subito l’ubicazione del Convento, poi ci timbrano le credenziali consegnandoci la piantina della città per il doveroso tour turistico. Il Convento è situato giusto ad un centinaio di metri dall’O.T., così passando sotto la Porte de St-Jean, e seguendo la rue de Saint-Jacques ci arriviamo in un attimo, entrando in un grande complesso con un vasto giardino trasformato in orto. Veniamo accolti da George, tipo molto alla mano ed originale; ci è dato di capire che il convento non è piu utilizzato da monaci ed ospita persone di passaggio, randonneurs e pellegrini, mentre l’orto è dato in uso a persone che così trovano di che occupare il loro tempo libero. Troviamo posto in una grande camera con diversi letti e, dopo una bella doccia calda e lunga, spazio in abbondanza dove stendere il nostro bucato. Dopo esserci accordati con George per la cena e la colazione dell’indomani, usciamo per le varie incombenze e per visitare la Chiesa di Notre-Dame de l’Assomption del XI sec. Purtroppo essa è chiusa per radicali restauri che interessano tutta la parte anteriore, e specialmente lo splendido campanile a tre piani del XIII sec. che è pericolosamente pendente e non più solido. Ciò è dovuto a movimenti del terreno che hanno minato la sua integrità ed ora i vari piani si trovano non più solidali tra loro, ognuno avendo preso una perpendicolarità differente rispetto agli altri. Tutto è sostenuto e circondato da robuste impalcature che impediscono ulteriori movimenti dannosi, ed anche il bellissimo portale trilobato di impronta mozarabica, vede l’erba crescere tra gli interstizi delle pietre di granito della facciata, suggerendo, a chi guarda, che la cittadina, forse, non disponga di sufficienti fondi (soldi…), per intervenire velocemente e con successo sul manufatto. Passeggiando lungo la rue Saint-Jacques, trovo un negozio di fotografia, così posso acquistare la speciale batteria e le pellicole per le diapositive di cui avevo pochi rullini, e che non è assolutamente facile trovare se non in grandi cittadine, e se per sfortuna o disattenzione se ne resta sprovvisti è un grosso guaio. La cena con George, si svolge nella grande cucina dove si ha modo di parlare di tante cose e specialmente della sua vita avventurosa e ricca di vicende suggestive che lo hanno visto girovago per il mondo imbarcato come marinaio su navi solcanti le rotte di tutti gli oceani. La tappa di domani ci vedrà arrivare a Bénévent-l’Abbaye, altro luogo di passaggio dei pellegrini lungo la via per Compostelle….

Venerdi 12-09-03. 21° tappa. La Souterraine – Bénévent-L’Abbaye. 21 Km. Rifugio per pellegrini. Dr. Jean Conquet; 34 Av. de la Marche. Tel: 05 55 62 61 69. o presso la Farmacia; 4 rue du Marché. Tel: 05 55 62 60 31.

La sveglia è alle 6,30; quando scendiamo in cucina per la colazione, è il grosso cane lupo di George che ci viene incontro scodinzolando lasciando il suo posto di guardia davanti alla porticina di ingresso. George non ci aveva assicurato della sua presenza, essendo per lui un orario inusuale, ma mentre siamo affaccendati ai fornelli per il caffè, eccolo che arriva abbastanza assonnato ma sorridente, già con una sigaretta fra le labbra; ieri ci aveva detto che, anni fa, lui fumava più di tre pacchetti di sigarette al giorno, mentre ora, essendo rinsavito (parole sue), ne fuma “solo” uno! Colazione ottima, poi salutato con un forte abbraccio George, riprendiamo il cammino valutando con una speranzosa occhiata il tempo che, per ora, è grigio e nuvoloso. La tappa di oggi, non presenta tratti di sentieri o percorsi in boschi; è tutta sulla D10 ed è abbastanza corta quindi anche se piovesse non ci darà alcun problema. Camminiamo con passo tranquillo, scambiandoci vicendevolmente le impressioni sul cammino e le motivazioni che ci hanno spinto ad intraprenderlo; Il territorio intorno a noi, è quasi interamente dedicato all’allevamento di bovini di razza bruna che brucano, indifferenti, l’erba luccicante di rugiada. Il cielo si va rasserenando sempre più, e mentre poco prima sembrava dovesse scatenarsi un temporale improvviso, tanta era la nuvolaglia scura, ora un caldo sole ci permette di restare in maglietta e pantaloncini. La dipartimentale è praticamente deserta e camminiamo affiancati. Superiamo, su un bel ponte, la Gartempe dalle acque limpide, poi il percorso comincia a ingobbirsi superando collinette e valloncelli arrivando a Chamborand, passando davanti alla bella chiesa di Saint-Martial del XV sec. recentemente restaurata. Quasi ad ogni incrocio con altre piccoli dipartimentali, vi è un “Calvaire” a testimonianza che, lontano nel tempo, questo era un percorso frequentato dai pellegrini che si dirigevano a Compostelle, come ci suggerì ieri la vista del bel portale trilobato di chiara ispirazione mozarabica della chiesa di La Souterraine. In effetti, i racconti dei pellegrini di ritorno da quelle lontane contrade, allora impregnate dalla cultura araba, influenzarono fin quassù l’architettura della loro costruzione. Facciamo una sosta presso il grande specchio d’acqua di Masroy, un bel lago dalle acque limpide e placide, approfittando ognuno per curare i rispettivi malanni; io la tendinite del piede sinistro e François i dolorini muscolari che i primi giorni di marcia inevitabilmente apportano. E’ un buon compagno François; un po’ introverso e poco ciarliero tanto che, a volte, gli devo “estorcere” qualche commento od osservazione più circostanziata su quanto vediamo. Anche a lui piace soffermarsi davanti alla chiese o cappelle che incontriamo sul cammino, e quando sono aperte, vi entra volentieri per osservare le loro particolarità. Noto però che raramente sorride in modo aperto ed allegro; vi è un qualcosa che lo frena, ed un fondo di tenue malinconia traspare dai suoi occhi; forse perché questo è il suo primo pellegrinaggio, e per lui gli “accadimenti” di un Cammino sono totalmente da assimilare e da rendere “normali” giorno dopo giorno. Passando attraverso piccoli boschi arriviamo a Bénévent l’Abbaye, l’antica Segondelatas, alle12 dirigendoci alla chiesa di Saint-Barthélémy da dove telefono al Dr.Conquet che mi indirizza, per le chiavi del rifugio, alla farmacia posta a pochi metri dal sagrato assicurandomi che più tardi verrà a farci visita. Il rifugio è posto nello stesso complesso della chiesa, nella parte posteriore che guarda la valle, ed è composto da una camera con due letti la cucina ed i servizi. Il Dr.Conquet, che ci raggiunge alle15, è un tipo vulcanico, molto alla mano e ciarliero; ci dà molte informazioni sul prosieguo del cammino, assieme ad opuscoli ed indirizzi, per alcune tappe seguenti che, a suo giudizio divagano dal percorso storico, e per di più diverrebbero, in qualche tratto, oltremodo faticose ed in caso di pioggia impercorribili per il fango. Ci consiglia anche di evitare Limoges, città troppo grande e non sul vero percorso storico, ma di prendere per Solignac, quindi St-Pierre-de-Frugie, La Coquille, e poi rientrare sul percorso della guida a Thiviers. Il consueto tour della cittadina di Bénévent, è breve e ristretto alla parte centrale del villaggio, anche perché abbiamo fatto tardi in chiacchiere, sicuramente più appaganti e conoscitive per ognuno, che non la visita della cittadina, tutto sommato ristretta alla chiesa abbaziale, alla Chapelle de l’Hôpital (chiusa), ed alla porta di entrata anticamente detta “Porte Diffart”, da dove i pellegrini entravano nel borgo, ed ora chiamato “chemin des Chicanelles”. Sul vialetto di accesso alla chiesa, in asfalto con intarsi di cubetti di porfido scuro, vi è inscritta una bella e grande conchiglia in porfido chiaro, a testimonianza che il cammino di Saint-Jacques, qui è ancora ben vivo ed attuale. La cena è parca per ambedue, e la consumiamo nella cucina del rifugio; pane, formaggio, frutta e della buona birra per me, mentre François, si cucina una zuppa liofilizzata con della frutta e formaggio per dessert, così mentre ceniamo commentiamo le molte (forse troppe), informazioni del Dr.Conquet, decidendo per la tappa dell’indomani, e scrivendo poi ognuno i rispettivi diari, prima di infilarsi sotto le coltri per un più che meritato riposo.

Sabato 13-09-03. 22° tappa. Bénévent-l’Abbaye – Châtelus-le-Marcheix. 18 Km. Gîte d’etape presso il Camping municipal “Les Lignieres”. Chemin de Brouillat: Mme. Josiette Couduin. Tel: 05 55 64 34 39.

La tappa di oggi essendo corta, ci permette di poltrire fino alle 7,15, poi dato che si è in due, ed i servizi unici, i preparativi vanno un poco per le lunghe, così, alle 8,15 lasciamo il rifugio dirigendoci verso la boulangerie per acquistare il necessario per la colazione, trovandovi il Dr.Conquet intento all’acquisto di baguette e di “pain de campagne”; un tipo di pane che ha la proprietà di restare fresco per diversi giorni. Lo salutiamo di nuovo ricevendo ulteriori raccomandazioni, poi seguendo i suoi suggerimenti, lasciamo il percorso della guida per prendere la D5 passando da Mourioux-Vieilleville, Lechameau, Tournaud, arrivando quindi a Châtelus-les-Marcheix, camminando più ad Est in un territorio privo dei rilevanti dislivelli che abbiamo notato sulla cartina topografica, riguardante il percorso della guida. Camminiamo senza fretta, così giungendo ad una segnalazione che indica la possibilità di ammirare un Dolmen, deviamo dalla dipartimentale risalendo una stradina che, attraversando una bella pineta, ci conduce al sito megalitico. Non è un grande manufatto; costituito da tre grosse pietre, è alto circa un metro ma è ancora in ottime condizioni e non rovinato, sebbene qualche maleducato, vi abbia recentemente acceso un fuoco accanto. Il tempo è ottimo, anzi quando si è in pieno sole fa caldo e bisogna mettersi in pantaloncini e maglietta. Quando gli squarci che si aprono attraverso gli alberi, ci permettono di vedere i boschi e le foreste che ricoprono il versante alla nostra destra dove vi è il percorso della guida, riconosciamo che i suggerimenti del Dr.Conquet erano giustificati e sensati; profondi valloni e colline scoscese, fittamente ricoperti da grandi macchie di foresta e bosco si susseguono, ed il sentiero sarebbe stato sicuramente molto più faticoso, per non parlare del fatto di doverlo percorrere in un giorno di pioggia. Effettivamente eravamo venuti a conoscenza che questa tappa era stata recentemente percorsa, a cavallo e con fatica in un giorno di pioggia dagli stessi estensori della guida (Mrs.Jean-Charles e Monique Chassaigne), ora avanti a noi di circa cinque giorni di cammino, e lo stesso Dr.Conquet, era stato critico con loro, facendo presente che non vi era nulla di“storico” in questa parte di percorso verso Châtelus, bensì molto di escursionistico, assolutamente non adatto per dei pellegrini. Ad ogni modo oggi il sole splende e si sarebbe trattato solamente di fare un po’ più di fatica, però conveniamo che sarebbe utile che si consigliasse, in caso di pioggia, il percorso alternativo sulla D5. Dopo una sosta per lo spuntino, ripartiamo verso Châtelus sempre sulla D5 che restando alta sulle colline, ci permette di ammirare dei bellissimo panorami sulle valli ai nostri fianchi. Entriamo in Châtelus alle 13, e ci accorgiamo che a differenza di ciò che dice la guida, qui non vi è alcun tipo di commercio o servizi; fortuna che avevamo comprato le provviste a Bénévent!. Il camping è situato poco fuori il villaggio su una collinetta prospiciente una grande vallata e la Gîte è molto bella e funzionale con numerosi letti a castello, una cucina ben equipaggiata ed i servizi e docce con acqua calda sono all’esterno del locale. Dopo la sistemazione nel rifugio, approfittiamo del sole e della forte brezza che nel frattempo si è levata per far asciugare i nostri indumenti sulle cordicelle poste tra gli alberi della grande area adibita a camping, attualmente deserta. Poco dopo, una anziana signora accompagnata da un cane ci raggiunge fermandosi a chiacchierare con noi per un paio d’ore seduti su una panchina esposta al caldo sole. Ci spiega che il camping, attualmente, è poco frequentato, ed i negozi, hanno chiuso da qualche tempo, così gli alimentari ed il pane, vengono assicurati da un boulanger/epicier con un furgone. Ci dice che Mme Couduin, la signora che sovrintende al camping, non abita nel villaggio bensì sull’altro versante della valle in una fattoria con una scuderia di cavalli a disposizione per chi volesse fare delle escursioni nei dintorni e che probabilmente, arriverà qui alle 19 per la nostra registrazione. Così è effettivamente, e la modica somma di 6 € che ci viene richiesta per l’alloggio, ci sembra poca cosa in rapporto all’ambiente che ci viene messo a disposizione. Una buona e calda zuppa con formaggio, salame, e due mele compone la nostra cena, così dopo aver riportato all’interno i nostri indumenti perfettamente asciutti, seduti sulla panca ammiriamo uno splendido sole calante che filtrando tra le nubi, tinge di rosso le cime degli abeti sulle colline circostanti, assicurandoci una bella giornata per domani.

Domenica 14-09-03. 23°tappa. Châtelus-le-Marcheix – St-Léonard-de-Noblat. 30 Km Chambre d’Hôtes Mme Bigas. 20 rue Jean Jaures. Tel: 05 55 56 19 47.

La sveglia è alle 07, e la prima cosa che facciamo, è aprire la porta-finestra per vedere se il mattino annunci una bella giornata; il cielo che vediamo è splendido e limpido, e l’aria frizzante che entra nella camera ci sveglia in un attimo. Non facciamo colazione, poiché non abbiamo latte né marmellata, cosi alle 7,40 siamo in marcia in un bellissimo ambiente collinare. Seguiamo fedelmente il percorso della guida di François che varia il percorso, poco dopo Vivareix, andando diritto, evitando di proseguire a destra verso il fiume Taurion. Lontano alla nostra sinistra, una bella mongolfiera di color rosso si libra altissima sulle abetaie delle colline, così mentre noi ci tuffiamo e risaliamo i numerosi e faticosi declivi, lei ci accompagna venendo raggiunta quasi subito da un’altra ancor più grande e di color oro; che splendore di macchine volanti! Confesso che mi piacerebbe poter viaggiare a bordo di uno di questi splendidi palloni, ed ammirare dall’alto il superbo paesaggio che stiamo attraversando. Siamo nella Forét de Beaucaire, ed attraversiamo il limite del dipartimento tra la Creuse e L’Haute-Vienne. Giunti al piccolo villaggio di Vivareix, prendiamo un sentierino segnalato, che attraverso piccoli boschi ci permette di arrivare al villaggio di Les Billanges, poi da qui, camminando sulla D29 arriviamo alla località detta “Le Pont du Dognon” superando il fiume Taurion, quindi su un sentiero che a volte si infossa tra alti rivi erbosi, giungiamo al villaggio di Le-Chatenet-en-Dognon, grosso borgo, dove abbiamo la fortuna di trovare aperte una boulangerie ed una épicerie in cui poter comprare il necessario sia per la colazione di stamane, ma anche del formaggio e(soprattutto per me), una bottiglia di CocaCola. Visitiamo la chiesa gotica risalente al XV sec. ammirando all’interno una bella statua raffigurante l’Arcangelo Michele, ed all’esterno, a fianco del portale, delle erose conchiglie scolpite nel granito dei pilastri laterali. Ci rimettiamo in cammino dopo una sosta di 45 minuti, sempre seguendo le segnalazioni; arriviamo cosi in un terreno di pascolo, dove la guida dice di andare a sinistra mentre il sentiero continua a destra, chiuso però da una recinzione in cui vi pascola una mandria di mucche. Non vi è alcun segnale, ma la bussola dice anch’essa di andare a sinistra, così decido di inoltrarmi nel campo seguendo un piccolo bordo tra una coltivazione e l’altra, ed alla fine giunti dopo 300m al bordo di un profondo valloncello, ritroviamo il segnale, che ci fa respirare di sollievo, completamente nascosto nella vegetazione! Tiriamo volentieri qualche moccolo (nelle rispettive lingue) al disgraziato che ha fatto sparire i precedenti segnali! Risaliamo aldilà dell’Ancien Moulin de la Roche, verso il villaggio di Lussac, quindi con ulteriori tratti di sentiero e di dipartimentali, giungiamo a St-Léonard-de-Noblat alle 16, ricercando subito il B&B di Mme Bigas, anche se lei ci aveva detto che era necessario attendere fino alle 18. Naturalmente è chiuso, così ci rechiamo alla Chiesa Collegiale dedicata a Saint-Léonard che è a pochi metri dal B&B. Essa risale al XI sec. ed è molto bella; un bel campanile a cinque piani la sovrasta, mentre la parte absidale è composta da numerose cappelle disposte a raggiera intorno alla navata principale. Scendiamo nella cripta che ospita il “Tesoro” composto da oggetti e reliquie del Santo custodite in teche, intrattenendoci nella chiesa fino alle 17,30 ammirando le sue splendide peculiarità. Alle 17,45 bussiamo di nuovo al B&B, ed una bella ragazza ci apre facendoci accomodare in una deliziosa cameretta ingombra di libri, ninnoli e soprammobili di buon gusto, ma soprattutto da due ottimi letti che, vista la faticosa tappa di oggi, apprezzeremo dopo la doverosa cena. Alle 19,30 entriamo in una crèperie per la cena, essendo l’unico locale aperto; la proprietaria ci informa che purtroppo ha il forno fuori uso, ma se vogliamo mangiare dell’insalata e delle pietanze a buffet con numerosi tipi di formaggi della zona, ne sarà ben lieta. Così facciamo, risolvendo brillantemente il problema della cena assieme ad altri avventori che nel frattempo hanno affollato il piccolo locale. Prima di rientrare da Mme.Bigas, telefono a Limoges, a Mme.Aymard; una casa privata a circa 1,5 Km dal centro città assicurandoci l’accoglienza ed anche la cena insieme alla sua famiglia, così faremo in modo di arrivare abbastanza presto da lei per recarci poi a visitare la Cattedrale di Saint-Etienne e, se possibile, le altre chiese poste nelle vicinanze.

Lunedì 15-09-03. 24° tappa. Saint-Léonard-de-Noblat – Limoges. 22 Km. CH. Mme. Aymard. 104 rue Eugéne Varlin. Tel: 05 55 31 19 88.

Una notte di buon riposo trascorsa sotto calde coperte damascate, ed alle 7,30 scendiamo per la colazione con i coniugi Bigas seduti nel piccolo salotto arredato con ottimo gusto ad una tavola riccamente imbandita per la classica colazione francese. M.Bigas è una persona gentilissima e loquace che ci pone perfettamente a nostro agio mentre apprezziamo le conserve che Mme.Bigas prepara con le sue mani; così tra una chiacchiera e l’altra, partiamo alle 8,15 scordandoci che dobbiamo arrivare da Mme.Aymard a Limoges prima delle 15, altrimenti, per via di impegni presi precedentemente, dovremo attendere il suo ritorno alle 17. Uscendo da Saint-Léonard, passiamo dalla rue Perin, dove sopra all’arco d’entrata di un massiccio portone in legno, notiamo una antica pietra che reca incisa la parola “Hôpital”; è nientemeno che l’antico Ospitale dove fin dal XIII sec. venivano accolti i pellegrini che passavano in città. Discendiamo velocemente verso la parte vecchia della cittadina diretti al ponte romano che scavalca la Vienne. Passiamo sotto l’alto viadotto ferroviario, e transitati sul ponte romano, giungiamo alla Chapelle ed alla grossa quercia di Clovis; ci dirigiamo poi verso la D65 in direzione Boisseuil, seguendo i segnali della GR verso il villaggio di Aureil. Il tempo è ottimo ma la temperatura è decisamente fredda, ed i campi sono ricoperta dalla rugiada che a fatica evapora facendo risaltare in controluce le numerose ragnatele stese sulle siepi di rovi che li cingono. Passiamo davanti all’antica Chapelle a Bost-las-Mangeas, poi camminando in un viale bordato da querce, ci dirigiamo a Crouzeix dove prendiamo la D98 verso la cittadina di Feytiat. Non abbiamo alcuna difficoltà di orientamento, in quanto i segnali sono disposti dove effettivamente servono, così giungiamo a Feytiat fermandoci a visitare la chiesa romanica risalente al XII sec, avviandoci poi verso la grande città di Limoges inoltrandoci nella anonima banlieu che la cinge. Dopo aver superato il ponte sull’autostrada, cerchiamo la rue Varlin che è nei pressi, arrivando alle 14 davanti alla casa di Mme.Aymard. Veniamo fatti accomodare, poi dopo la doccia, decidiamo di uscire subito per recarci in centro a visitare la Cattedrale, e se possibile, far timbrare la credenziale in Sacristia. Da casa Aymard, raggiungiamo il bordo del fiume Vienne, lo superiamo attraversando l’antico ponte di Saint-Etienne, infine arriviamo, sempre in salita, davanti alla bellissima Cattedrale. Il monumentale portale di Saint-Jean si offre ai nostri occhi lanciando verso l’alto le bellissime sculture ed i merletti racchiusi fra le due torri che esplicano perfettamente il Gotico fiammeggiante dell’epoca in cui furono edificati, circa il 1516 ed il 1530. Visitiamo l’interno, poi in Sacristia ci dicono che per il timbro sulla credenziale dobbiamo recarci presso l’Arcivescovado a poche decine di metri, e là un gentile signora è felicissima di apporci il timbro, chidendoci di pregare per lei quando arriveremo a Santiago. Mi trattengo un poco con una comitiva di turisti italiani provenienti da Imola, poi ci incamminiamo verso la chiesa di Saint-Pierre-du-Queyrois risalendo piazze e viuzze del quartiere de l’Haute-Cité, animate da moltissima gente. Sono le 18 quando, abbastanza stanchi, prendiamo la via del ritorno; abbiamo camminato perlomeno per altri sei o sette Km, ed ora credo che i sandali mi abbiano procurato un fastidioso indolenzimento al ginocchio ed una piccola vescica al tallone destro, mentre François si sente le gambe indurite. M. Olivier Aymard, ci riaccoglie nella veranda che dà sul giardino offrendoci un gradito succo di frutta, poi raggiunti anche da sua moglie, Marie-Christine, ci si intrattiene a parlare di pellegrinaggi e vie di pellegrinaggio fino all’ora di cena. Mme.Aymard, prepara per tutti una deliziosa cena con melone, un timballo di riso con melanzane, e per dessert una squisita torta di mele accompagnata da svariati succhi di frutta. Sorseggiando una tazza di caffè, restiamo ancora a conversare di pellegrinaggi fino alle 21,30, poiché per i coniugi Aymard, esso è un mondo al quale si sono avvicinati recentemente, cioè da quando sono entrati in contatto con Jean-Charles e Monique Chassain, gli estensori ed ideatori della guida sulla “Voie de Vézelay”, e fino ad ora, per impegni di lavoro, non hanno mai potuto fare dei veri pellegrinaggi a piedi; così un poco immodestamente (dato che anche François è un neofita), mi trovo, dall’alto dei miei numerosi pellegrinaggi, a “condurli” per mano attraverso il variegato mondo che ruota attorno all’ambiente ed ai cammini di pellegrinaggio Europei, adempiendo allo spirito ed al compito che la mia Confraternita assegna a tutti i confratelli: Promuovere la pratica del pellegrinaggio con l’esempio e con la parola.

Martedì 16-09-03. 25° tappa. Limoges – Les Cars. 32 Km. Hôtel Restaurant “Le Relais des Cars”. Tel: 05 55 36 90 06.

Abbiamo dormito bene nella cameretta messaci a disposizione da Olivier e Marie-Christine Aymard, ed alle 07 sveglia con tutta la famiglia perché loro hanno il lavoro e la scuola che li attendono, e noi il Cammino, così dopo una colazione “comunitaria”, li salutiamo e rifacciamo il cammino di ieri per giungere di nuovo alla Cattedrale e seguire le segnalazione, che qui a in città, a Limoges, sono delle conchiglie di bronzo cementate nei marciapiedi, che ci condurranno verso la periferia dove ritroveremo le frecce della “Voie de Vézelay”. Da parte mia avrei voluto seguire il corso della Vienne, quindi raggiungere i segnali del percorso in basso alla collina (senza risalire alla Cattedrale per fare il percorso segnalato, che ci costringeva, sempre in salita, ad un largo giro verso Nord sull’altura della città vecchia), ma notando che François desiderava seguire le conchiglie del percorso anche se si allungava di almeno 2 Km, decisi pazientemente di assecondarlo. Anche oggi il tempo è bello e l’aria tersa permettendoci di camminare senza aver caldo; naturalmente, uscire da Limoges occupa parecchio tempo e solamente dopo 5 Km circa cominciamo a vedere campi coltivati appena fuori dal comune di Isle, ma per arrivare in un paesaggio campagnolo popolato da mandrie di mucche “Limousin”, dobbiamo attendere di giungere in prossimità del villaggio di Mérignac. Pochi Km dopo, entriamo nella cittadina di Aixe-sur-Vienne risalendo fino alla chiesa di Sainte-Croix. In una épicerie acquistiamo i viveri per oggi, poi seguendo la guida di François, riprendiamo il cammino avviandoci nella valle dove scorre il ruscello Aixette su una piccola compartimentale che lo costeggia per buona parte. Passiamo accanto a piccoli agglomerati di case immersi nel silenzio della valle; solo lo sciabordio delle acque del ruscello ci tiene compagnia assieme a qualche uccello che si zittisce appena ode i nostri passi. Dall’altro lato della valle, alla nostra sinistra, tra i mulini Moureau, David e Japaud, ampie zone di pascolo ospitano mandrie di bovini e piccoli greggi di pecore dal muso nero. Sostiamo in un praticello seduti su un grosso tronco a mo’ di panca per il necessario spuntino a base di formaggio “Coloummiers”. Ognuno di noi ha delle noie alle gambe o ai piedi dovuti ai numerosi Km fatti durante la visita di Limoges, ed io ho la netta percezione che oltre alla tendinite del piede sinistro ed alle fitte del ginocchio destro, ci sia una piccola vescica che si sta sviluppando al tallone del piede destro, nella zona dove la pelle è molto dura; probabilmente la colpa è dei sandali non sufficientemente ammortizzati al tallone. Dopo la necessaria spalmata di crema antinfiammatoria alle parti dolenti, riprendiamo il cammino giungendo attraverso un bel percorso campagnolo, privo di traffico, nel piccolo villaggio di Saint-Martin-le-Vieux, poche case attorno ad un crocicchio, quindi alla cittadina di Flavignac. Visitiamo la bella chiesa dell’Assomption risalente al XV sec.(che ci sottrae per un po’ dal sole bruciante della strada), dove è custodita la Cassa di Sainte-Valérie, in cuoio smaltato. Sui fianchi della bellissima cassa (che fa parte del Tesoro della chiesa), vi è rappresentato il martirio della Santa con splendide decorazioni di figure in cuoio stampato su sfondo azzurro e blù intenso. Prendiamo poi la D46 fino all’incrocio con la più trafficata D20 che ci conduce al villaggio di Les Cars, punto di incrocio di trafficate Dipartimentali. Sono le 17 quando entriamo nell’Hôtel; così veniamo informati che la nostra camera dispone di un solo letto a due piazze, e non essendoci altre camere libere, né altri Hôtel nel villaggio, ci dovremo adattare. Subito dopo la doccia, telefono al villaggio di Sainte-Marie-de-Frugie, al Convento di Sainte.Marie, dove sono ben lieti di darci ospitalità, e ci assicurano anche la cena e la colazione per il giorno dopo. Mentre François sentendosi affaticato si riposa, io ne approfitto per sedermi al bar davanti ad una ottima birra leggendo il giornale che magnifica le imprese della Ferrari e di Schumacher. La Chiesa è chiusa, cosi dopo aver fotografato un piccolo monumento tombale relativo ad una sepoltura Gallo-Romana risalente al II sec. una croce reliquiaria e fatto il tour del piccolo asse viario, attendiamo l’ora della cena assieme ad un buon numero di avventori di diverse nazionalità, che a mio giudizio sono rumeni (comunque di paesi dell’Est), addetti al taglio ed alla manutenzione delle vaste zone boschive e forestali che avevamo visto al lavoro nei boschi qualche Km prima di giungere al villaggio. La cena è alle 19,30; il menù è unico ma copiosissimo e vario richiedendo giustamente l’apporto un buon litro di ottimo “Vin du Pays”, che anche François questa volta apprezza. Alle 22 tutto l’Hôtel è immerso nel silenzio, così anche noi dopo un caffè (per modo di dire), ci ritiriamo nella nostra cameretta per medicarci le estremità dolenti in attesa del sonno ristoratore.

Mercoledì 17-09-03. 26° tappa. Les-Cars – Sainte-Marie-de-Frugie. 25 Km. Couvent de Sainte-Marie. Tel: 05 53 52 55 10.

Dormire in due in un letto neanche tanto grande non è proprio il massimo della comodità e del riposo, ma era quello che passava “il convento”, cioè l’hôtel, ma d’altra parte era l’unico disponibile in questo piccolo villaggio, ed allora sveglia alle6,30, perché i boscaioli avventizi non hanno avuto particolare delicatezza nell’entrare ed uscire dalle loro camere. La colazione comunque si rivela ottima ed abbondante, e la signora ci prepara anche due gustosi sandwich al formaggio per lo spuntino di oggi, anche se probabilmente troveremo dei negozi aperti a Châlus o a Firbeix. Anche oggi il tempo ci fa la grazia di essere splendido, ed appena usciti dal villaggio, ci troviamo in aperta campagna con ampie zone boschive che fanno da corollario alla piccola dipartimentale fino alle poche case di Lautrette. Ci infiliamo in un sinuoso sentiero di terra che attraversa piccole collinette e valloncelli, segnalato con segni gialli che hanno sostituito le frecce del cammino; una stretta curva in discesa, ci porta a costeggiare un grande stagno, dove tra barche semi-affondate e pontili diroccati, alcuni pescatori impietriti nel loro gesto atletico, siedono comodamente sulla riva con già in bocca, chi la sigaretta, chi la pipa, ma comunque nel più rigoroso silenzio, così, non ci passa neanche per un attimo l’idea di salutarli, rompendo il sepolcrale silenzio che dovrebbe essere propedèutico allo “sfoltimento” della popolazione ittica dello stagno. La guida, dice che qui, tra l’Haute Vienne e la Dordogne, l’itinerario dovrebbe essere completamente segnalato dall’Association du Limousin-Périgord, ma a volte, anche oggi, le segnalazioni mancano quando se ne avrebbe necessità; però, bisogna dire che oggi il percorso offre paesaggi molto belli attraversando boschi e campagne con scorci suggestivi. Arriviamo a Châlus alle 10,30, permettendoci una piccola sosta per gli acquisti di viveri in una epicerie, poi indugiamo nel visitare la chiesa che troviamo aperta, ma che non ha particolari bellezze da offrire ai pellegrini. Di nuovo per sentieri e compartimentali fino a raggiungere il villaggio di Firbeix alle 12,30, sostando sulla scalinata della chiesa (chiusa) per lo spuntino. Qualche persona che passa a piedi ci saluta chiedendoci dove siamo diretti e da quanto tempo siamo in cammino, cosa che ci permette di scambiare quattro chiacchiere a proposito del tempo e delle attività di questa zona al confine tra l’Haute-Vienne e la Dordogne. Ripartiamo da Firbeix camminando a lato della trafficata N21 per un centinaio di metri, per deviare subito a sinistra in uno stradellino diretti alla frazione di Puybernard attraversando la fattoria e subito dopo un piccolo guado di un ruscello quasi in secca. Tra boschi e radure, arriviamo ad una ferrovia che taglia la Plagne de Vassoux, seguendo il suo corso per un paio di Km costeggiando un parco di allevamento di cervi. Lasciamo la ferrovia frequentata da Littorine e treni trasporto legname, dirigendoci a sinistra verso Verdenille con il percorso che si contorce come una biscia bastonata verso la D27 sulla quale, alle 15, raggiungiamo finalmente il Convento di Sainte-Marie-de-Frugie, posto all’entrata del piccolo borgo. E’ una grande costruzione, e vi sono delle opere di ristrutturazione in corso con alte impalcature che cingono in un abbraccio d’acciaio la facciata. Bussiamo a varie porte ma sembra che non vi sia anima viva, poi in una piccola dépendance al lato del convento udiamo delle voci; vi è un piccolo gruppo di persone che trascorre una settimana di studio/vacanza in questo Convento, così ci indirizzano ad una porticina semichiusa posta sul retro del complesso, dove altre persone stanno sorseggiando del thè alla menta chiacchierando seduti nella penombra. Veniamo accolti con sollecitudine e, fatti accomodare al tavolo, ci offrono la gustosa e freschissima bevanda apprezzandola vivamente, data la grande calura che abbiamo lasciato all’esterno. Sono dei laici che sovrintendono alle attività, sia per le funzioni religiose, sia per i lavori di ristrutturazione in corso, mentre le monache sono in una altra ala dell’edificio. Una bella camera al piano superiore ci è messa a disposizione con i servizi e la doccia proprio di fronte, di cui approfittiamo subito. Il Convento è situato a circa 2 Km dalla cittadina di La Coquille, così decidiamo di non andarci (visto anche la calura di oggi), dato che ci passeremo domani. Dopo aver steso ad asciugare il bucato ai piedi di un muraglione, ci attardiamo a gironzolare per il Convento e nel grande giardino dello stesso, che digradando sulla grande vallata posta ai suoi piedi, ci offre un vasto panorama. Veniamo avvisati che la cena verrà servita alle 18,30, in anticipo per noi, poiché le varie funzioni religiose occupano il tardo pomeriggio e parte della prima serata. François, non ha più dolori alle gambe, mentre io ho ancora leggeri problemi di tendinite al piede sinistro, anche se si stanno attenuando, e la tappa di domani a Thiviers, che è di soli 22 Km ci vede perplessi. Per François sarebbe molto corta, mentre per me andrebbe bene, al fine di non affaticare il piede in via di risanamento, per cui decidiamo di non decidere oggi, ma di vedere domani durante il cammino se sarà opportuno che ognuno di noi determini le tappe che si sente in grado di fare, sciogliendo il sodalizio che si è creato in questi giorni. Cena ottima ed abbondante (conchiglie di pasta al sugo!), con omelette alle verdure, patate al forno, frutta ed una porzione di torta ai frutti di bosco; veramente una cena da ricchi!. Al termine, ci godiamo il tramonto in giardino sorseggiando una grande tazza di caffè francese che non ci impedirà più tardi di cadere nelle braccia di Morfeo, dormendo il sonno dei giusti.

Giovedì 18-09-03. 27° tappa. Sainte-Marie-de-Frugie – Thiviers. 22 Km. Centre-Partage. Ancien Couvent Saint-Paul. 6 rue Bertrand de Born. Tel/Fax: 05 53 62 07 51.

La sveglia anche oggi è alle 07 ed alle 7,30, siamo seduti al grande tavolo per una buona colazione come solo i francesi sanno fare. Salutati dai gentili ospiti, riprendiamo sulle nostre spalle lo zaino per un altro giorno di cammino. Passiamo da La Coquille, una cittadina disposta perlopiù ai lati della N21; noi vi entriamo appena, giusto per passare davanti alla chiesa, poi deviamo immediatamente verso sinistra addentrandoci in territori collinosi decisamente più campagnoli punteggiati da estese macchie boschive. Il tempo è ottimo, ed è un piacere camminare anche se, di primo mattino, cerchiamo di camminare al sole. Mentre camminiamo sulla “Route de Napoléon” (un bel sentiero di terra), che passa tra alcuni minuscoli villaggi, da lontano vediamo il castello di Mavaleix immerso nella vegetazione. Françòis, camminando, fa un po’ l’elastico, così comprendo che sta cercando di capire se potrebbe allungare la tappa; mi dice che forse vorrebbe fermarsi al camping di Thiviers, o addirittura proseguire fino a Sorges, aggiungendo alla tappa di oggi altri 17 Km, così, lo tolgo dall’imbarazzo, dicendogli che io al camping non desidero andarci, trovandomi poi fuori villaggio, ma vorrei fermarmi al Convento di Saint-Paul, presso il Centre Partage di Maurice Pagani, per fare una tappa corta e riposare il piede che anche oggi mi tormenta un poco. Vedo che si sente più sollevato per la mia decisione che lo libera da un probabile senso di colpa, così ci salutiamo dandoci l’arrivederci sul prosieguo del cammino, che è ancora molto lungo. Risolta così la “difficoltà” della separazione, io rallento un poco, mentre François riprende il suo passo veloce verso la cittadina di Sorges nel cuore del Périgord, patria del tartufo. Dopo il passaggio di un piccolo ponte sul corso della Valouse, i grandi appezzamenti di territorio coltivato a vigna aumentano, ritmando, con i lunghi ed ordinati filari, i miei passi, mentre gli occhi indugiano a cercare tra le foglie i grappoli dagli acini nerissimi strettamente serrati gli uni agli altri. Camminando lentamente, mi sorprendo a canticchiare, come se essere di nuovo solo mi abbia ridonato la serenità propria di poter fare ciò che più aggrada in ogni circostanza del cammino. Forse mi sentivo una sorta di responsabilità nel dover capire giorno dopo giorno se François, gradiva le stesse tappe che io desideravo fare, oppure gli alloggiamenti che io sceglievo e che sentivo (quando possibile) più affini ad un cammino di pellegrinaggio? Ecco che il cammino mi ha insegnato un’altra cosa di cui non mi rendevo conto in misura cosciente; la responsabilità di dover decidere su cose di cui non mi è stato dato chiaramente l’incarico, e che gli altri non si assumono, tende a togliermi un poco la serenità per il solo fatto di dover fare in modo che altri non si sentano messi in secondo piano quando vi sia una decisione da dover condividere. Sono le 13 quando arrivo a Thiviers recandomi all’O.T. per avere una piantina della cittadina. Una cortese addetta, mi traccia la strada da seguire per recarmi al Centre Partage, alla periferia del villaggio. Anche questo Convento di Saint-Paul è una grande costruzione ancora in buono stato; poco prima del cancello di entrata, una grande croce ricoperta da edera ricorda al passante distratto che questa era una via di pellegrinaggio. Sul portale di ingresso della chiesa del convento un bell’arco a tutto sesto è ancora in ottime condizioni con una grande statua di Saint-Paul posta nell’icona sovrastante, cosi come sopra la porta di accesso vi è una bella finestra bifora con ai fianchi altre due statue di cui non mi ricordo il nome. Vengo accolto da Francis, segretario dell’associazione che mi conduce alla mia camera mostrandomi dove sono i numerosi locali delle docce ed i servizi. Ho tutto il pomeriggio davanti a me, così dopo il bucato e la medicazione al piede, mi dirigo nel villaggio per acquistare i viveri nel locale supermarket posto a un centinaio di metri dal convento, quindi sentendo la necessità di un buon taglio di capelli, mi reco da un coiffeur. Cortese e chiacchierone, Jerome (questo il suo nome), si prodiga in un discreto ma intenso interrogatorio a mio carico, così dicendosi meravigliato che io sia un pellegrino italiano (mai visti da queste parti), mi assicura che nel villaggio vivono parecchi italiani originari del Veneto venuti qui alla fine dell’ultima guerra. Prima di congedarmi con i capelli ben scolpiti, vuole che vada assolutamente a casa sua, dove, dice, ha delle cose che un pellegrino deve assolutamente vedere. Molla pettine e forbice, e seguito da me e dagli altri avventori, mi conduce su per delle strette scale a casa sua, mostrandomi due formelle nel muro, recanti in rilievo le figure di Dio Padre con in grembo Cristo crocifisso, mentre l’altra è la figura di Maria e di Giovanni ai piedi della Croce; sono alcuni dei motivi che più volte ho visto scolpiti nel Timpano di Cattedrali lungo la Via di Compostelle! La data che vi è incisa sotto, mi fa notare Jerome, riporta l’anno 1606. Che incontri si fanno sul cammino!! Ritorno di nuovo al centro per depositare le cibarie, quindi mi assopisco sotto le coperte per una oretta aspettando che il sole sia meno caloroso per un ulteriore visita al villaggio. Questo Centre-Partage in cui alloggio, è la sede principale dell’Associazione degli Chômeurs (disoccupati), di rilevanza nazionale in Francia da più di 20 anni, quindi sede di congressi e di ritrovi per dibattiti e conferenze su questo grande problema. E’ altresì un luogo di accoglienza per pellegrini e randonneurs sulla Via di Compostelle e luogo di accoglienza per famiglie di disoccupati che non hanno mezzi per offrire un piccolo periodo di vacanza ai loro figli. A questo scopo, vengono aiutati da più persone che a vario titolo e gratuitamente, aiutano nella ristrutturazione interna, nel giardinaggio o in cucina. Sono particolarmente felice di aver scelto questo luogo per la tappa di oggi, ed ancor più, quando faccio la conoscenza personale con l’anima di questo Associazione, Maurice Pagani, che mi da appuntamento per la cena di stasera alle 19,30. Alle 17, ritorno nella bella piazza alberata del villaggio entrando nella Eglise de Notre-Dame sovrastata dall’alta torre campanaria. Originariamente di stile Romano-Bizantino, fu parecchie volte rifatta in seguito alle distruzioni causate da guerre ed incendi. All’interno vi sono dei bellissimi capitelli romanici che datano dal XII sec. e qualcuno di essi è identico per tema, a più di un capitello della Cattedrale di San Isidro di León in Spagna sul cammino di Compostelle. Sul campanile, assieme ad altre due, vi è una grossa campana detta “la Quiterie” dal peso di circa 5 tonnellate, che con i suoi poderosi rintocchi di allarme, nel 1652, salvò la città facendo accorrere gli abitanti ai posti di difesa. Nella parte vecchia del villaggio, piccole vie tortuose che nascondono vecchie case cariche di storia e di charme, sono chiamate “Cantons” e non “Rue”. Alcune di queste case che datano fin dal XVI/XVII sec. hanno delle belle sculture in pietra sui loro frontoni. E’ quasi ora di rientrare al convento per la cena, e passando accanto ai forniti negozi di alimentari, mi viene in mente che Thiviers, è titolata come la capitale del “Foie Gras” qui nel Périgord (alimento fuori portata per la tasca del pellegrino…), ed il mercato settimanale dovrebbe essere una festa per gli occhi e l’olfatto, dato che qui giungono anche i preziosissimi tartufi neri del villaggio di Sorges e dintorni. A cena, siedo con Maurice Pagani e Francio; Maurice è una persona simpatica e gioviale, cosi la conversazione scorre toccando svariati argomenti. E’ stato parecchie volte in Italia (in gioventù, mi dice strizzando l’occhio), ricordando episodi che lo riportano addietro nel tempo. Naturalmente si parla anche della situazione del mondo del lavoro e di come si sta sviluppando in Italia. Alle 10, una tazza di caffè chiude una simpatica ed ottima cena con delle persone che mai avrei pensato di incontrare in un pellegrinaggio…. Anche questo è il Cammino!!!

Venerdì 19-09-03. 28° tappa. Thiviers – Sorges. 17,5 Km. Maison du pèlerin. Square Roger François. (dietro la chiesa). Per la chiave rivolgersi presso: HR*** Auberge de la Truffe. (sulla N21). Tel: 05 53 05 02 05.

Oggi, è esattamente un mese che sono partito da casa per compiere questo pellegrinaggio, ed ieri sera aspettando il sonno, avevo fatto alcuni conti riguardanti i km che mancano alla Spagna ed a quanti giorni ci vorranno per arrivarci; mancano 418 km, e dovrei arrivarci il giorno 03 di ottobre se tutto fila senza problemi. Eh si, sono un poco stanco di dover pensare ogni giorno alla prenotazione di un alloggio, e vorrei tanto che anche qui fosse come in Spagna, dove ai pellegrini è comunque assicurato il tetto di un rifugio, anche se qualche volta bisogna dormire sul pavimento per mancanza di letti… Sveglia alle 07, ed alle 7,30 sono in cucina, in compagnia di Maurice, Francis, e altre due persone di cui non ricordo i nomi, per la colazione. Caffèlatte con pane e marmellata e qualche biscotto, poi salutati i miei ospiti con la promessa di inviare loro una cartolina una volta giunto a Santiago, parto lasciando questo bel convento in un mattino radioso. Tappa ultracorta, ma per il mio piede dovrebbe essere il toccasana, e poi non fermarsi a Sorges, dove la Comunità ha ristrutturato un nuovissimo rifugio per i pellegrini Compostellani, sarebbe assai riprovevole da parte mia, senza parlare del fatto che vi è un Museo del tartufo, e che la cittadina è gemellata con Varzi, patria del tartufo in Italia. Ritorno nel villaggio, dove di fianco alla chiesa, riprendo i segnali per uscire verso la campagna. Dopo aver attraversato la N21, passando accanto alla bella Croce detta di “Saint-Jacques”, prendo la piccola compartimentale C6 entrando nella pace campestre rotta solo da qualche muggito di fastidio del popolo cornuto, evidentemente disturbato dal mio passaggio. Percorso piacevole e collinoso che mi porta ad attraversare fattorie deserte e piantagioni di noccioleti. In un vigneto lontano, scorgo due caprioli che, furtivi tra i filari, mangiucchiano le foglie, ma non mi è dato di capire se gustano anche i grappoli di uva che penzolano indifesi… Giunto ad un quadrivio detto “Les Jacquers”, che ricorda perfettamente un antico passaggio di pellegrini, riprendo la “Route Napoléon”, (D8), che perfettamente diritta, porta a Sorges. La seguo per tre Km, poi i segnali, perfettamente disposti quest’oggi, mi mandano a destra verso dei boschi in direzione del villaggio di Negrondes. Un bel sentiero, a volte ciottoloso, mi accoglie facendomi attraversare campi cinti da siepi e macchie di bosco di giovani querce, rasentando fattorie solitarie, oppure stradine di servizio alle stesse, bordate da ippocastani o platani somiglianti a giganteschi candelabri ricoperti da foglie. Mentre guardo il cielo limpido, tre scie di aerei formano una gigantesca freccia che, consultando la bussola, vedo che punta perfettamente verso Santiago; la prendo come un bellissimo auspicio di poter arrivare alla mia meta, e mi sorprendo a canticchiare, felice come solo un pellegrino può esserlo. Entro nel villaggio di Négrondes, attraversando la N21, molto trafficata e pericolosa con i grossi TIR che fanno un baccano tremendo; una bella croce in pietra davanti alla Mairie, mi indirizza verso la chiesa, non particolarmente significativa, ma vi è una bella vetrata raffigurante Saint-Jacques che testimonia la devozione dei pellegrini. Il sagrestano, una persona affabile ed anziana, tralasciando un attimo le sue incombenze si ferma a chiacchierare con me; chi sono, da dove vengo, dove sono diretto, dove mi fermo per la notte, scuotendo il capo mi dice che il Curé qui lo vedono una volta alla settimana. E’ lui che si occupa di tenere in ordine la chiesa, ma ormai si sente vecchio, non ce la fa più, e non vi sono altre persone a cui affidare il suo incarico. Poi prendendomi le mani, mi dice con un sorriso sereno « Per favore, prega per me quando arriverai a Saint-Jacques!». Sentendomi un lungo brivido che mi corre per la schiena, lo assicuro che sarà la prima cosa che farò davanti alla statua di Santiago. E’ la quarta persona incontrata su questo cammino che mi chiede espressamente di pregare per lei a Santiago, così per non dimenticarle, ne ho preso nota sul mio libriccino; sarebbe imperdonabile dimenticarle una volta giunto alla mia meta! Riparto verso la D73 incrociando un’altra croce in pietra, poi mi incammino in un sentiero incassato (Chemin des Lagunes), verso i campi e gli stagni che si scorgo a destra poco prima di un piccolo bosco. Più avanti diventa pietroso e devo porre attenzione a schivare le pietre più puntute, poco salutari per il mio piede. Continuo così, attraversando campi e boschetti di noccioleti che, come scoprirò poi, sono territori di crescita del tartufo. E’ mezzodì, e fa parecchio caldo quando giungo alla fattoria di Contissoux a 2 Km da Sorges; dopo una sosta all’ombra di un grosso platano, riattraversata la “Route Napoléon”, entro in Sorges alle 13 dirigendomi all’Auberge de la Truffe per ritirare la chiave della Maison du Pèlerin. E’ un “rifugio” molto più bello e funzionale di tante Chambre d’hôtes in cui ho soggiornato; al piano inferiore, vi è un ampio salone comprendente la ben equipaggiata cucina, a lato vi sono i servizi con una lava/ asciugatrice, ed al piano superiore, sette letti forniti di piumini/coperte, con ampi spazi in cui depositare gli zaini. Alla grande finestra della zona pranzo/cucina, mancano delle tende per un minimo di “privacy”, ma penso che sia solo questione di tempo ovviare all’inconveniente, poiché sul “Livre d’Or” del rifugio, qualcuno ha già pensato di porre l’accento su questa mancanza. Il mio amico François, che ha pernottato qui ieri, mi ha gentilmente lasciato un messaggio in cui si rammarica di aver dovuto sciogliere la compagnia, e sapendo che l’apprezzerò moltissimo, mi fa trovare una freschissima bottiglia di CocaCola nel frigo, esprimendo l’augurio che, per entrambi, i giorni seguenti siano sempre di buon cammino fino alla meta. Dopo essermi sistemato alla grande e medicato il piede, un sonnellino fino alle 16 mi ritempra, così esco per le compere (busta di minestrone per la cena e latte e biscotti per la colazione). Doverosa visita alla chiesa di Saint-Germain, del XIII sec. di impronta Romanico/Bizantina, scoprendo sulla vetrata a destra dell’altare, la conchiglia, simbolo del pellegrino di Saint-Jacques. Entro nell’ufficio dell’OT, per visitare il locale Museo del Tartufo, molto esplicativo con addirittura una proiezione in diaporama riguardante la coltivazione, i metodi di ricerca, e le proprietà del tartufo che è la risorsa principe ed il fiore all’occhiello di questo Comune. Il pomeriggio caldo e luminoso, mi permette poi di bighellonare per tutto il villaggio e nei dintorni, rientrando al rifugio alle 19,30 per cucinarmi il minestrone, che assieme ad un etto di Camembert, una baguette e una buona birra costituiscono la mia cena. Al pomeriggio, avevo telefonato a Périgueux, la città-tappa di domani, avendo la fortuna di trovare posto nell’unica camera libera alla Maison Diocésaine, giusto all’entrata della città. Alle 22, dopo aver inutilmente aspettato che qualcuna delle persone che hanno approntato questo bellissimo rifugio dedicato ai pellegrini venga a farmi visita, spengo le luci infilandomi sotto i candidi piumini, attendendo il sonno che, complice la tappa ultracorta e poco faticosa di oggi, questa notte tarda ad arrivare…

Sabato 20-09-03. 29° tappa. Sorges – Périgueux. 24 Km. Maison Diocésaine. 38 Av. Georges Pompidou. Tel: 05 53 35 70 70.

E’ dura alzarsi alle 6,15 per preparare la colazione; fuori è ancora buio pesto e l’alba è neghittosa. Oggi devo camminare per 24 Km, ed intendo camminare adagio per favorire la guarigione del piede che sta andando a meraviglia, così, ecco la sveglia ad orari antelucani. Aspettando che il latte si riscaldi scrivo la mia dedica sul “Livre d’Or”, poi una sostanziosa quantità di Nescafè in un litro di latte con una scatola di biscotti, mi riscaldano talmente che quando parto alle 07,sono già in pantaloni corti; potenza dei liquidi bollenti!! Riconsegno la chiave all’Auberge de la Truffe ringraziandoli per lo stupendo rifugio che hanno messo a disposizione dei pellegrini ( in 7000 Km di pellegrinaggio che ho percorso a tutt’oggi, ne ho visti molti, e questo sicuramente si pone fra i migliori!), poi prendo il sentiero che, ben segnalato, mi conduce tra i campi mentre la frescura del mattino mi pizzica le gambe. Passo accanto a piantagioni di querceti e noccioleti che ora vedo sotto un’altra luce; non sono solo per la legna o per i frutti, ma esclusivamente per la produzione del tartufo. Dopo 3 Km, lascio i sentieri per attraversare la “Route Napoléon” e prendere la piccola compartimentale verso Laudinie entrando nel territorio boscoso della Forêt Domaniale de Lanmary, fino al villaggio di Cornille dove sosto per uno spuntino mattiniero. Riparto riattraversando di nuovo la “Route Napoléon”, dirigendomi verso l’interno della foresta, con il percorso che seguendo le segnalazioni della Grand Randonnée, diventa tortuoso e collinoso, ma molto bello, anche se le gambe lo preferirebbero più pianeggiante. Tratti di sentiero che si alternano a piccole stradine strette da siepi di rovi, mi conducono ad incrociare nuovamente la ormai famosa “Route Napoléon”, la D8 che seguo fedelmente per entrare in Périgueux, incassata in un vallone. Camminando sul marciapiedi cittadino, imbocco in discesa la lunga Avenue Georges Pompidou, arrivando poco dopo alla Maison Diocésaine; un grande e moderno complesso posto a circa 1 Km dalla Cattedrale di Saint-Front. Sono le 13; credo di essere in anticipo, però la segretaria che gestisce le accoglienze mi aveva detto di accomodarmi senza alcun problema poiché la chiave riportante il numero della camera l’avrebbe lasciata sul tavolo vicino all’ufficio. Naturalmente la chiave non c’è, per cui mi dirigo verso la sala da pranzo dove un numeroso gruppo di persone sta pranzando; parlo con la cameriera, ma non è in grado di aiutarmi, così temendo che la segretaria sia partita per il week-end (essendo oggi sabato), decido di richiamarla telefonicamente. Risponde subito ai primi trilli, dicendomi che mi stava aspettando e che si trova in un altro ufficio della Maison. Con sollievo da parte mia, dopo 5 minuti ecco che lei arriva spiegandomi il perché la chiave non era sul tavolo come concordato. Solo una questione di sicurezza; dato che le porte sono sempre aperte, ha preferito non lasciarla alla portata di chiunque fosse entrato. Dopo la registrazione, mi accompagna in sala da pranzo presentandomi ad alcune persone di origine italiana che sono qui per un pellegrinaggio di gruppo. Qualcuna di loro parla ancora un poco di italiano, così esauriti i convenevoli, e dati appuntamento per la cena, la signora mi conduce alla mia camera posta ai piani superiori dell’edificio. Velocemente mi preparo per scendere in città per la visita alla Cattedrale e per le compere. La strada che porta al centrocittà, in pieno sole, è lunga ed anche in discesa, essendo Périgueux nel fondo di un vallone. Alla grande piazza giratoria, prendo la Rue Limogeanne, (l’antica via che conduceva a Limoges), una animatissima e bella via pedonale con tantissimi negozi ed alberghi; nella pavimentazione della stessa, sono incastonate delle conchiglie in bronzo (messe a cura della Municipalità), che indicano il percorso della “Voie Lemovicensis” fino alla Cattedrale di Saint-Front in Place de la Clautre. La bellissima Cattedrale è parte del patrimonio Mondiale dell’Unesco sul Cammino di Saint-Jacques; dominata dal campanile Romanico, alto ben 60 m risalente al XII sec. e dalle bellissime cupole che testimoniano l’originale stile Romanico-Bizantino, è attorniata dal borgo di Puy Saint-Front, intensamente commerciale, come nei secoli addietro, poiché questa città era un grande incrocio di Vie di pellegrinaggio. Trae le sue origini da una semplice Chapelle costruita nel VI sec. sulla tomba di Saint-Front; nel XI sec. divenne una grande chiesa detta “Église Latine”, che 20 anni dopo, un rovinoso incendio distrusse lasciando solo alcune vestigia. Venne deciso allora di costruire una chiesa ancora più grande adottando la pianta a croce greca con ben cinque cupole che fu terminata nel 1173. Alla metà del XIX sec. ridotta in cattivo stato, fu intieramente e radicalmente restaurata con lavori che occuparono 50 anni. Se la sua immagine esteriore lascia a bocca aperta per l’eleganza e l’architettura, l’interno della Cattedrale, come la maggior parte delle Cattedrali di Francia (salvo alcune lodevoli eccezioni, a mio giudizio…) è discreto ed austero, quasi a fare in modo che l’attenzione dei fedeli non fosse distolta durante le funzioni religiose da ciò che potevano essere gli arredamenti, vetrate, statue o sfrenati slanci artistici che prenderanno corpo nel rutilante periodo che va sotto il nome di “Barocco”. Durante la visita del bellissimo chiostro, mi aggrego discretamente ad un gruppo che ha una guida, approfittando così delle sue esaurienti spiegazioni su fatti ed antefatti di questa grande Cattedrale. A cena, con i pellegrini francesi di origini italiane, si fa un gran parlare di pellegrinaggi (compiuti con ogni mezzo), ma anche delle loro origini italiane; alcuni provengono dal Friuli, uno dal Piemonte, ed una signora dal Veneto, tutti naturalmente arrivati in Francia in tenerissima età, vale a dire circa 55~60 anni fa. Al termine, un brindisi chiude questa parentesi di ricordi delle loro lontane origini, dissolvendo lietamente il sottile senso di malinconia che aleggiava, stemperato ormai dalla lontananza culturale, più che geografica…

Domenica 21-09-03. 30° tappa. Périgueux – Saint-Astier. 26 Km. Accueil Pèlerin a Neuvic. Mme. Gantiez. 4 Av. de Planeze.Tel:05 53 80 12 36

La sveglia oggi è alle 6,40, ed alle 7,10 esco dalla Maison Diocésaine dirigendomi verso il grande carrefour per riprendere le segnalazione del percorso. L’istinto mi diceva di prendere la D710, che mi avrebbe condotto sulla D3, nel fondovalle e senza deviazioni, direttamente a Saint-Astier, ma avevo un senso di rimorso nel non seguire il percorso della guida, così ignorata la tentatrice D710, seguendo i segnali, risalgo la ripida compartimentale detta “Ancienne route de Château-l’Evêque”, (antica strada Romana), in direzione del Puy de l’Arche. Che sfortunata scelta la mia! Giunto già sudato alla sommità dell’acrocoro per le ripide salite, le segnalazioni delle Via di Vézelay spariscono, sostituite da quelle delle GR che mi conducono con un percorso molto bello attraverso piccoli gruppi di case e zone di bosco, dominando dall’alto la valle dove il fiume Isle si insinua come un gigantesco anaconda, nella città di Périgueux. Il mattino è luminosissimo; non vi è una nuvola in cielo ed il sole comincia a scaldare più del necessario mentre entro nel villaggio di Chancelade passando accanto alla bella chiesa abbaziale. Le segnalazioni cambiano ancora di colore, mentre i sentieri da seguire hanno tutti dei nomi, come: Chemin des Gérauds, Chemin des Coteaux, Chemin des Pruneliers, molto originali, e generalmente asfaltati. Dopo Les Andrivaux, il bel sentiero si infila nel bosco di giovani querce, incrociandone altri che vanno a destra o a sinistra, mentre i segnali spariscono; con la bussola e la cartina alla mano, cerco di individuare quello giusto, ma mi accorgo che tra le due cartine, vi è una differenza di orientamento di circa 30°! Quale sarà quella esatta? Seguo un sentiero che porta in basso nel vallone di Les Sept Chevaux, poi risale incrociandone altri, per poi ridiscendere in quello che dovrebbe incrociare la D710 proveniente da destra. Sono abbastanza fortunato uscendo dal bosco circa 500m prima di quello che recita la guida; avendo attraversato tratti ripidi e ingombri di sterpaglie, mi domando cosa avrebbe potuto succedere in una giornata di pioggia! Seguo la D710 fino ad incrociare la D3 che mi porta a Gravelle, un piccolo villaggio, dove mi fermo per lo spuntino in una zona ombreggiata accanto alla stadio. Steso sull’erba morbida con i piedi nudi all’aria, mi riprometto di seguire il mio istinto, che oggi mi avrebbe risparmiato una quantità industriale di inutili metri di dislivello e di imprecazioni a chi non ha provveduto a segnalare il sentiero. Ricevo una telefonata da Mme Isabelle Gantiez, la quale mi informa che, contrariamente a quanto concordato, per sopraggiunti impegni di lavoro, non potrà riportarmi a Saint-Astier l’indomani. Lei abita a Neuvic, un villaggio10 Km più avanti sul percorso (che comunque dovrei fare), così le dico che ciò non mi comporta alcun problema di ordine morale, poiché si tratta di causa di forza maggiore. Solitamente, quando per problemi di logistica o di lunghezza di tappa il pellegrino viene prelevato con la vettura, alla mattina, la regola vuole che si sia ricondotti al medesimo luogo dove si è stati prelevati, per ricominciare il cammino esattamente dove si è giunti a piedi. Oggi il piede sinistro non mi ha dato alcun problema e ciò mi fa enormemente piacere; vuol dire che se avrò necessità di dover allungare le tappe o di marciare un poco più veloce, potrò contare su ambedue i piedi al cento per cento. Riprendo il cammino seguendo però la D3 tralasciando la descrizione della guida, anche perché le segnalazioni non ci sono, arrivando così a Saint-Astier costeggiando l’Isle che scorre in una gola a sinistra della strada, mentre a destra ho i contrafforti di una bellissima collina che lascia vedere gli strati di antichissimi sedimenti di epoche giurassiche. Poco prima di entrare nella cittadina, una freccia in legno affissa sul muricciolo di una casa, porta incisa una conchiglia ed una scritta indicante “Saint-Jacques de Compostelle a 1107 Km”! Sono le 14,15 quando mi siedo all’interno del portale della chiesa per ripararmi dalla forte brezza che si è levata; la chiesa è di tipo Romanico, con un bel campanile del XVI sec. ma purtroppo è chiusa, così non posso vedere la cripta dell’ XI sec. dove è la tomba di Saint-Astier. Alle 14,30 arriva una Renault con a bordo Mme Gantiez e la sua biondissima bimba di 4 anni di nome Emma. Sedendomi, realizzo immediatamente che è più di un mese che non salgo a bordo di una vettura, e ciò mi provoca una sensazione alquanto strana; mi ero disabituato all’aggeggio più inquinante, rumoroso, succhiasoldi e status-symbol per antonomasia che esista sulla terra: l’automobile!!! Scusandosi, mi dice che, essendo la sua casa in ristrutturazione, per potermi fare la doccia, mi porta dove lei lavora, cosi arriviamo a Neuvic alle 16. Riposo un poco sul canapè, poi esco dirigendomi al villaggio per il tour turistico; fotografo la splendida e bianca facciata della chiesa inondata di sole; poi gironzolo nel grande spazio coperto (Halle), dove solitamente si svolge il mercato, mentre oggi vi sono svariati stand per una originale mostra di tutti i prodotti tipici regionali, oltre a grandi tabelloni con fotografie che illustrano come era il borgo e quali erano le sue attività. Rientro, restando in giardino a giocare con Emma, una bimba deliziosa, educatissima e piena di charme, come solo l’altra metà del cielo francese sa esserlo, che mi riporta ai tempi di quando giocavo con mia figlia Alice. A cena, faccio la conoscenza di Philippe, il fratello di Mme Gantiez, così vengo a sapere che anche lui è andato in pellegrinaggio a Santiago, facendo un percorso scelto giorno per giorno e dormendo per la maggior parte in tenda. Alle 22 preparo il mio giaciglio sul canapè, ed un quarto d’ora dopo, tutti gli abitanti della casa sono tra le braccia di Morfeo.

Lunedì 22-09-03. 31° tappa. Neuvic – Sainte-Foy-la-Grande. 43 Km. HR ** La Boule d’Or. 10 place Jean Jaures. Tel: 05 57 46 12 00 76.

La sveglia è per tutti alle 6,30; Ho dormito poco stanotte, essendo stato svegliato da sonori e vicinissimi rombi di tuono con vividi lampi che le tende alla grande porta-finestra mi permettevano di vedere; io amo i temporali, specialmente i lampi e le nuvole che corrono all’impazzata, seduto però comodamente al riparo sotto il porticato, mentre questo qui presumevo che non l’avrebbe finita tanto presto, ed io alle 7, 30 avrei dovuto riprendere il cammino….! Una ottima colazione con questa splendida famigliola ( che porterò sempre nel mio cuore), quindi saggiamente vestito come un palombaro, parto ritornando indietro per 500 m ad incrociare i segnali che mi indirizzano subito in un sentiero fra i campi. Le nuvole non gocciolano, ma sono lì, nere e gonfie sopra la mia testa come se stessero aspettando che io sia in aperta campagna e senza riparo alcuno, per farmi “pagare” i 10 Km non camminati. Cosi io penso, ed ecco la prova che il malandrino la pensava proprio così; sono in cammino sulla D3, stretta e senza ciglio a lato, quando comincia a piovere, dapprima con insistenza, poi aprendo tutti i rubinetti che ha, riempie la strada di torrenti di acqua che le vetture, provvedono a tramutare in fontane altissime. Sono presso la località Le Grand Taunis, in un tratto senza alcuna casa, vi è solo un grosso albero di quercia vicino ad un incrocio, ed anche se so che può essere pericoloso, mi metto al riparo sotto la sua folta chioma. Penso che se va avanti così, arriverò a Sainte-Foy in tarda serata, poiché la tappa per Mussidan sarebbe stata di soli 14 Km, così ieri, visto che i miei piedi sono ritornati in perfetta forma, avevo deciso di proseguire fino a Sainte-Foy-la-Grande per altri 34 Km, in totale 48 Km ! La pioggia smette dopo 30 minuti, permettendomi di ripartire, sebbene a tratti mi costringa a riaprire l’ombrello per acquazzoni improvvisi e brevi. Visto le condizioni meteo, decido di non abbandonare la D3, che dopo Mauriac si infila in una piccola compartimentale e successivamente a Douzillac andrà per sentieri fra i campi; continuo tra brevi rovesci e squarci di sole fino ad arrivare a Saint-Louis-en-l’Isle, attraversando poi il ponte sull’Isle ed attraversare la trafficata N89 entrando in Sourzac, ammirando l’arcigna chiesa Romano-Gotica costruita su uno sperone roccioso sul bordo dell’Isle. Il segnale mi fa salire su un scalinata nascosta alla vista che prosegue in un sentiero ripido ed ingombro di ciottoli conducendomi verso Parouty, quindi in un bel cammino in foresta che sbuca sulla C201 detta “Route Royale”, entrando in discesa a Mussidan. Sono le 10,30 e considerata la sosta forzata dovuta all’iracondo Giove Pluvio, decido di non seguire il percorso della guida che compie tre ampie curve sul territorio, ma di seguire la D20 che, quasi rettilinea, lo interseca più volte facendomi risparmiare ben 5 Km. Man mano che il giorno avanza, il sole si fa largo e, sebbene appannato, mi permette di togliere gli indumenti antipioggia e di riscaldarmi. La D20 dopo Mussidan, scorre per buon tratto in pianura tra campi di girasole e granoturco già tagliato, prima di infilarsi nel territorio collinare che offre estesi ed ordinati vigneti con gli immancabili piccoli roseti ai piedi del tralcio, ed è con piacere che l’occhio indugia sui turgidi grappoli che fanno capolino tra le foglie. Entrando in Saint-Géry accanto alla chiesa, scorgo il segnale del cammino, ma non ascolto il suo richiamo suadente, e tiro diritto per la dipartimentale, che attraversando boschi e piccolissimi villaggi, mi porterà, poco prima di Les Tourelles, a incrociarlo di nuovo sulla C202. Effettivamente è così, e dopo averlo seguito per circa 600m, lo lascio di nuovo seguendo la D20 che scorre alla base una lunga linea di alte colline che si innalzano alla sua sinistra. Poco prima del villaggio di Cadillac, le devo risalire per ridiscendere nella grande pianura dove scorre la Dordogne. È una tappa magnifica quella di oggi, e credo che se ci fosse stato il sole ed il percorso più corto, sarebbe stata una delle più panoramiche e verdi tra tutte quelle percorse fino ad ora. Giungendo in Le Fleix, decido di entrare in Sainte-Foy per la D130, arrivando, direttamente alle spalle della chiesa di Notre-Dame. Come sempre, la parte periferica, noiosa e rumorosa, è quella che non termina mai, comunque alle 17,30 entro nella piccola viuzza dei Frères Reclus ammirando l’altissimo campanile della chiesa. Dopo la visita, non trovo nessuno che possa timbrarmi la credenziale, ed una gentile signora al braccio di suo marito che stanno uscendo dalla chiesa, mi informano che il prete verrà forse più tardi, verso le 19 o le 19,30, ma non è sicura che qui abbiano il timbro, cosi lascio perdere, e mi metto alla ricerca di un Hôtel economico nelle vicinanze, non avendo prenotato l’alloggio qui a Sainte-Foy, perché non potevo sapere dove erano gli Hôtel, se vicino o lontano dalla chiesa. Mi dirigo all’Hôtel de la Gare, trovando che questo ha chiuso l’attività; provo a cercare l’Hôtel Europe, ma nessuno sa dirmi dove sia, cosi decido per l’Hôtel La Boule d’Or, in Place Jean Jaures; un due stelle ad un centinaio di metri dalla chiesa; forse non molto economico ma, vista la tappa di oggi, decido di meritarmi una buona cena ed un ottimo letto. Dopo essermi sistemato in una spaziosa camera, le varie incombenze non mi lasciano il tempo per ulteriori tour turistici in città, così alle 20,30 dopo aver fatto onore ad un’ottima cena, mi siedo al bel cabinet d’étude (scrivania) della mia camera per redigere il diario minimo e per controllare meglio i miei piedi che oggi mi hanno supportato in maniera splendida, nonostante la lunga, ma per fortuna anche fresca tappa.

Martedì 23-09-03. 32°tappa. Sainte-Foy-la-Grande – St-Hilaire-de-la-Noaille. 41 Km Gîte d’étape Mme.Tallet. Tel: 05 56 61 05 93.

La colazione qui all’Hôtel viene servita dopo le 7,30, cosi parto alle 08 sotto una pioggerellina sottile. La notte scorsa ha piovuto ancora ed ora dovrebbe solo essere un residuo di pioggia, poiché il meteo, mi ha assicurato l’albergatore, ha pronosticato una giornata di sole. Esco rapidamente da Sainte-Foy, seguendo i segnali della guida dirigendomi verso Pont-de-la-Beauze, sulla riva della Dordogne. In località Les Caris, un bel cartello con delle conchiglie, segnala il cammino che si inerpica su un colle; lo seguo, anche se mi sembra presto per cominciare a scarpinare in forte salita, avendo deciso poco prima, di contornare il colle alla base seguendo per un breve tratto la D672. Un poco trafelato, giungo in alto al colle dove, passando accanto ad una casa, sollevo una cagnara di latrati; prontamente una signora esce dalla porta e vedendomi, mi chiede se sono un pellegrino invitandomi ad entrare in casa per prendere un caffè e per scrivere qualcosa sul libro che ella tiene apposta per i pellegrini di passaggio. Come fare a dirle che mi attende una tappa lunga e che il tempo è poco? Mostrandomi un libro con le dediche dei pellegrini, mi dice che il cartello con le conchiglie lo ha messo lei, ed avrebbe molto piacere se io, pellegrino italiano (sorpresa!), gli scriva un mio pensiero. Mi chiede di pregare per lei, una volta giunto a Santiago, così la aggiungo alla lista di nomi sul mio libriccino. Riparto seguendo il sentiero erboso che ha preso il posto dell’asfalto all’uscita dall’abitato, attraversando vigne e coltivazioni di frutta (pere e mele). Scendo sulla D672 giungendo nel villaggio di Les Lèves-et-Thoumeyragues, passando accanto alla chiesa che ha un originale campanile a vela con quattro campane, molto inusuale in Francia, poi vedendo che l’Ufficio Postale è aperto, vi entro per chiedere se hanno i numeri telefonici della Chambre d’hôtes di Roquebrune dove vorrei sostare oggi. Trovo la comprensione dell’addetto, ma nonostante il suo interessamento, non si riesce a trovare l’indirizzo e nemmeno i numeri corrispondenti, forse perché sono stati cambiati recentemente, oppure la chambre d’hôtes abbia cessato l’attività. Decido di riprovare all’O.T. di Pellegrue o di Saint-Ferme, mentre vedo che François, l’amico pellegrino dal quale mi ero staccato cinque giorni fa a Thiviers, sta passando sulla strada. Entro nella boulangerie per acquistare i viveri, non avendo potuto acquistare nulla ieri, poi, sotto il sole che è uscito prepotentemente, mi incammino per raggiungere François. Lo raggiungo dopo 2 km circa quando si ferma sotto un albero per levarsi una piccola pietra dalla scarpa. E’ sorpreso di vedermi, ma mi dice che ha un problema ad un piede, avendo delle vesciche fra le dita che non gli permettono di camminare. Vorrebbe arrivare a Pellegrue, al rifugio per pellegrini che è situato sopra l’ufficio del turismo; una informazione che la mia guida non riporta. Mi informa che a Roquebrune la Chambre d’hôtes che cercavo ha cessato l’attività, così mi da l’indirizzo di una Gîte a Saint-Hilaire-de-la-Noaille. Mentre ci rimettiamo in cammino, telefono a Mme.Tallet, la proprietaria, che mi dice di arrivare dopo le 18 poiché lei lavora nei campi, oppure se arrivo prima, mi lascerà sul tavolo in giardino una bottiglia di acqua e della frutta e di accomodarmi al meglio. Ringrazio François per la bottiglia di CocaCola che mi ha lasciato a Sorges, cercando di rincuorarlo per il dolore che prova camminando. Mi dispiace per lui, perché so quanto ci tenga ad arrivare a Santiago abbastanza velocemente; dopotutto, ha già dovuto rientrare a casa una volta per la tendinite! Quando si tratta di abbandonare la dipartimentale seguendo la guida, a volte (troppo spesso), i segnali spariscono, così abbiamo un bel da fare per orizzontarci, comunque la bella giornata ed il paesaggio di boschi e vigneti a perdita d’occhio, ci vedono camminare allegri. Arriviamo a Pellegrue; un bel villaggio issato sulla gobba di una collina trovando subito il rifugio che aprirà più tardi, così saluto di nuovo François che si fermerà qui, mentre io mi dirigo alla antica chiesa di Saint-André del XII sec. per visitarla, vedendo delle lucenti conchiglie in bronzo cementate nella pavimentazione della piazza. Mi incammino di nuovo su una piccola compartimentale fino a La Nauze, diventando poi un sentiero in terra battuta che dall’alto di una collina domina i vigneti. Qui i segnali (picchetti a testa gialla), spariscono, mentre la guida dice che dovrei seguire un sentiero dove, in realtà, vi è un estesissimo vigneto! Lascio perdere la guida, dirigendomi a sinistra per raggiungere la D139 distante un Km. Fa caldo e mancano ancora 4 Km a Saint-Ferme, così quando sono le 14, mi fermo per lo spuntino su un rivo erboso in ombra, controllando i piedi che sento caldi; falso allarme, sono in perfetto ordine e pronti a sostenermi lungo la via. Disteso all’ombra del folto querceto, rimugino gli avvenimenti che anche oggi sono successi, soffermandomi in particolare sul fatto di come sia difficoltoso ed egoista questo cammino … Non ti permette di raccoglierti un poco in te stesso; i momenti di raccoglimento che sono la parte sostanziale di un pellegrinaggio, a volte si riducono solamente a quando entri in una chiesa; ammesso che la trovi aperta. Trovo che sia eccessiva l’attenzione che richiede alla parte più prosaicamente pedestre ed organizzativa…; sempre costretto a dover pensare all’alloggio, se vi è la possibilità di cenare, alla esatta direzione da prendere perché i segnali si sono volatilizzati… Però, una voce non tanto fievole, mi dice che forse sono io ad essere un po’ troppo esigente; la “fatica”del pellegrinaggio è anche questa, e poter pensare solo a ciò che concerne lo spirito è una speranza da meritarmi giorno dopo giorno…! Rappacificata con questo discorso la parte di me stesso più insofferente, riprendo la via verso Saint-Ferme, in un pomeriggio caldissimo e limpido giungendo alle spalle della chiesa abbaziale costruita a fianco della Abbazia Benedettina de la Banderolle risalente al XI sec. La trovo aperta per una veloce visita, poi mentre sono seduto all’ombra nel giardino di fronte alla chiesa, una persona mi dice che se desidero il timbro della cittadina, posso entrare nell’Abbazia, dove sono gli uffici della Mairie; detto e fatto, poi via di nuovo velocemente poiché mancano ben 14 Km. Mentre cammino, noto che non vi sono più appezzamenti di terreno dedicati al pascolo degli ovini, e nemmeno mandrie di bovini; solamente accanto alle fattorie, vi è qualche bovino che ciondola nelle vicinanze. Effettivamente, il territorio è composto da dolci colline i cui declivi sono ricoperti da vigneti a perdita d’occhio. Sulla D126 che percorro, vi è un andirivieni di enormi macchinari specializzati per la raccolta dei grappoli d’uva direttamente dai filari, e da trattori che ne trasportano il carico alle fattorie. Dopo Coutures, passo la Dropt su un ponte quindi entro in Roquebrune (dove avrei voluto fermarmi), uscendone sulla C8 seguendo le frecce gialle che sono riapparse. Arrivo in discesa a Saint-Hilaire-de-la-Noaille, cercando l’insegna della Gîte ai crocicchi delle vie; purtroppo non trovo nemmeno delle persone che mi possano indirizzare, così decido di recarmi alla chiesa che sorge su una collinetta poco fuori dal villaggio. Affronto una ripida salita che mi affatica, ma giunto alla chiesa in fase di ristrutturazione, gli operai addetti, non sanno dirmi nulla di utile. Ritorno sui miei passi, chiedendo lumi ad una persona che a bordo di un camioncino si è fermata alla fermata dell’autobus per prelevare il figlio. Molto cortesemente, mi dice che conosce dove è la Gîte, e si offre di accompagnarmi, perché è a circa 2 Km fuori villaggio. Accetto volentieri, arrivando esattamente alle 18,30 in una grande fattoria dove è la Gîte, trovando Mme Tallet che si scusa per l’indicazione assente nel villaggio. Mi offre acqua e menta, facendomi accomodare in una bella camera, dove approfitto di una rigenerante e caldissima doccia che ha la proprietà di cancellare la stanchezza. Seduto in giardino compilo velocemente il diario minimo, prima che dimentichi gli avvenimenti del giorno, in attesa di M. Serge Tallet che dovrebbe rientrare dai campi, per la cena preparata per le 20. Alle 20, tutta la famiglia, compresa la loro figlia, è riunita attorno alla tavola, meno il figlio che si trova all’estero per motivi di studio. In cuor mio benedico François perché avendolo ritrovato, ho avuto l’indirizzo di questa bellissima famiglia che mi ha accolto nella loro casa ed alla loro tavola, rendendomi partecipe alla cena, ottima e copiosa, con una gradevole e lunga conversazione su svariati argomenti inerenti alla Via di Vézelay, ma anche della vita comune di noi tutti, tanto che quando mi ritiro nella cameretta, addormentandomi profondamente, sono quasi le 23.

Mercoledì 24-09-03. 33° tappa. Saint-Hilaire-de-la-Noaille – Bazas. 34 Km. HAccueil Pèlerin Familiale. Place de la Cathèdrale. Tel: 05 56 25 98 00.

La sveglia come al solito è alle 07; la piccola finestra della camera ha i vetri coperti di vapore e le mie pedule, lasciate sul davanzale, sono estremamente fredde quando le calzo, per cui decido di mettermi i pantaloni lunghi, scendendo poi per la colazione con i coniugi Tallet gustando le confetture che Mme Bernardette ha preparato con le sue mani. Alle 7,40 saluto entrambi questi gentilissimi ospiti, assicurandoli che invierò loro una cartolina da Santiago sperando di arrivarci tra un mese circa. Fa sempre un certo effetto realizzare subitaneamente che per arrivare a Santiago manca ancora un mese di cammino…, è come se ti venisse versato del ghiaccio giù per la schiena…, brividi e senso di sconcerto. Oltre ai pantaloni lunghi indosso anche il Kway, poiché il mattino è veramente freddo, tanto che il respiro che esce dalla bocca, si materializza denso nell’aria tersa. Giunto al villaggio, per evitare problemi di segnali mancanti di primo mattino, prendo la D668 già parecchio trafficata, arrivando a La Réole alle 9,30 recandomi alla Chiesa di Saint-Pierre risalente al XII sec. Vi sono dei lavori di ristrutturazione in corso sulla facciata, ma la chiesa è aperta, così entro per visitarla trovandola immersa nella penombra; mi aggiro per pochi minuti, poi esco dirigendomi alla scalinata detta dei “118 marches” (gradini), che anticamente serviva per trasportare il sale dalla Garonne in alto alla città, trovando il passaggio sbarrato poiché il sottopassaggio della via ferrata è pericolante e puntellato da travature. Risalgo per cercare un’altra via, fino a discendere sul lungo Garonna ammirando da lontano il bellissimo ponte sospeso che mi porterà aldilà, verso il villaggio di La Rouergue inseguendo il cammino che fugge sulla D226. Stretta e trafficata, la dipartimentale costeggia la Garonne per un lungo tratto, permettendomi di ammirare, attraverso i pioppeti, la città e l’imponente costruzione della chiesa di Saint-Pierre. E’ una piana alluvionale questa che attraverso, e le golene si succedono l’una all’altra come ai bordi del nostro fiume Po. Dopo le poche case di Floudes, un segnale mi manda a sinistra verso il Canal Lateral a la Garonne, incrociando molte stradine prive di segnalazioni ai numerosi incroci, così cerco di tenere la direzione del lontano villaggio di Puybarban,in alto al poggio. Vi arrivo al termine di una discreta salita che mi fa sbuffare, la quale sbuca accanto alla chiesa romanica fortificata risalente al XV sec. alla quale alcuni operai stanno sistemando la copertura del tetto. Proseguo verso Pondaurat per poi incrociare la D12 che mi conduce a Savignac attraversando un territorio pianeggiante e monotono. A Savignac, passo davanti alla chiesa, anch’essa adorna di un “clocher-peigne” (campanile a vela), dotato di tre campane, strettamente serrata dalla casa parrocchiale a destra e da una torre circolare a sinistra. All’uscita da Savignac, ricompaiono le frecce segnaletiche, ma ormai ho deciso di seguire la D12 che attraversando Auros mi accompagna senza alcun problema fino ad arrivare, in salita, nella grande piazza della Cattedrale di Saint-Jean-Baptiste in Bazas. In alto alla via, prima di accedere alla piazza, noto un artistico arco a forma di conchiglia, con appeso uno stendardo bianco dipinto con la spada rossa dell’Ordine dei Cavalieri di Saint-Jacques de-l’epée rouge, e cinque conchiglie rosse. Nella grande piazza la Cattedrale spicca per la sua splendida facciata, arricchita da tre bellissimi portali che attendono di essere ripuliti dalla patina dei secoli e dallo smog. Il frontone superiore comprendente il rosone, gli archi rampanti ed il campanile, già ripuliti, offrono al sole il biancore delle loro pietre abbagliandomi gli occhi estasiati. Si ha conoscenza che essa sorge sul sito di un edificio in legno nel VI sec. poi incendiato dai Normanni nel IX sec. La costruzione della cattedrale attuale, iniziò nel 1233 utilizzando le pietre della prima chiesa di stile Romanico eretta sulle ceneri di quella incendiata dai Normanni. Dopo la visita, mi reco al Presbytère, all’accoglienza pellegrini, dove, in contrasto con il diniego di ieri sera, la signora addetta si fa in quattro per cercarmi una accoglienza presso una casa privata. Mi pongo la domanda di come mai ieri abbia detto no, ed oggi si…! Credo di essere nel giusto pensando che ella prima abbia voluto vedermi in viso, e poi capire se ero un “vero” pellegrino, e non con la vettura al seguito come alle volte capita di vedere. Timbrandomi la credenziale, mi prega di attendere, davanti alla Cattedrale, una signora che mi accompagnerà a casa sua dove ha ricavato un ambiente con un letto, la cucina ed i servizi, per alloggiare i pellegrini di passaggio. Mi sistemo al meglio, poi esco affrettandomi per le compere di provviste per la cena e la colazione di domani, poiché ho l’occasione di assistere alla S.Messa in Cattedrale alle 18,15, è non è facile godere di questa opportunità lungo il cammino… Al termine, mi attardo sotto l’ombroso porticato che cinge la piazza, assistendo ai preparativi per la festa in onore di Saint-Jacques, con tanto di posa di grandi alberi nel bel mezzo della stessa, assieme ad un tappeto di verde e cespugli, mentre numerose persone sedute ai bar assistono sorseggiando birra e pastis. Oggi cucino io, così in pentola vi sono due etti di spaghetti (da condire con olio e formaggio “parmesan”), un trancio di carne pressata, una fetta di formaggio camembert “rustique”, una mela, ed un litro di birra che si incaricherà di sistemare il tutto, o almeno spero…. Anche qui, come a Sorges, una illogica attenzione al pellegrino; rifugio bellissimo là, accoglienza presso privati qui, ma nessun contatto aldilà della accoglienza formale; qui poi vi è anche aria di festa per Saint-Jacques, sinonimo di pellegrino, per cui…. Niente, nessun contatto umano, qualcuno dell’associazione locale che venga a farti visita…. Difficile da comprendere come vadano le cose…!!!

Giovedì 25-09-03. 34° tappa. Bazas – Retjons. 41 Km. Gîte pèlerin. Tel: 05 58 93 36 42. Mme Dominique Martinelli. (Café-Tabac).

Durante il dormiveglia della notte (pochissime volte mi è capitato di dormire profondamente durante i pellegrinaggi…), udivo il passaggio delle vetture con il classico fruscio dovuto alla strada bagnata dalla pioggia, ma evidentemente era frutto del mio subconscio, che non gradisce che il suo ospite venga benedetto dalla pioggia tutti i giorni, anzi se ci fosse sempre il sole sarebbe sicuramente più sereno. Sveglia alle 06 preparandomi la colazione con latte, Nescafè e dei croissant un poco stantii per la permanenza nella zaino, ed alle 7,15 mi dirigo di nuovo in piazza della Cattedrale per riprendere il cammino. Mi accorgo che è decisamente buio (una faccenda che dovrò valutare meglio nei giorni a venire), ma la vista della Cattedrale illuminata che spicca sulle sfondo del cielo blu cobalto, mi apre il cuore alla felicità che a volte ha solo bisogno di piccoli click, come questo, per manifestarsi. Mi attardo qualche minuto cercando di imprimere nella mente questo bellissimo quadro, poi seguendo le indicazioni della guida cerco di uscire dalla cittadina, trovando qualche problema per via di strade non segnalate specialmente dove è il Collège Ausone ed il Ginnasio. Dopo il passaggio dell’autostrada, il sentiero si infila tra i boschi di pini e felci seguendo dei paletti a testa gialla fino a quando, al sito detto “Hugos” (un crocicchio di sentieri), la guida dice di lasciarli, così come la linea di Alta Tensione in alto sulla testa…. Naturalmente tutti i crocicchi non hanno nome, per cui essendo in corso lo scavo di strade tagliafuoco, le descrizioni della guida (che pretende di tener d’occhio un lontano pilone della Telecom in un mare di alberi di alto fusto!), vanno a ramengo! Mano alla bussola, ed infilandomi in sentieri ingombri di felci che mi bagnano fino alla cintola, esco dalla zona forestale accanto ad una casa, arrivando poco dopo direttamente al villaggio di Bernos-Beaulac, un Km a destra di ciò che recita la cartina. Mi dirigo a Beaulac per seguire un tratto della D932, e poi prendere accanto alla Cartiera l’antica linea ferroviaria dismessa che si infila perfettamente diritta ed ampia tagliando l’oceano di alberi che gli fanno ala. Cammino penando per 9 Km su questo ex massicciata, perché togliendo le traversine, il piano viario è rimasto a gobbe diventando faticoso e per niente veloce. Incontro parecchie persone che, classico paniere alla mano, frugano il sottobosco alla ricerca di funghi. Incrocio di nuovo la D932, entrando poco dopo in Captieux lasciando per poco questo cammino che, seppur faticoso, è bellissimo ed immerso nell’estesissimo polmone verde che anticipa, ancora per pochi Km, il dipartimento delle Landes, anticamente desertico e pericoloso per chi doveva attraversarlo. Riparto sull’antica via ferrata passando accanto alla vecchia casa del guarda–barriera (ancora abitata), che diviene un cammino pietroso (a volte anche troppo), arrivando dopo 11 Km di cammino nel dipartimento delle Landes. Lascio finalmente la via ferrata a sinistra per incamminarmi seguendo i segnali gialli della condotta sotterranea di gas in una grande pineta. Dopo Captieux, le segnalazioni del cammino, dovuto all’opera della Société Landaise des Amis de Saint-Jacques, sono estremamente capillari, evidentemente dovute all’opera di personale altamente professionale, innamorato della Via Lemovicensis ed hanno a cuore i pellegrini. In effetti, senza le loro segnalazioni, sarebbe abbastanza facile perdere la giusta direzione in questa vastissima e pianeggiante pineta divisa in grandi rettangoli da strade tagliafuoco. Il fondo del sentiero è di sabbia bianca, niente di meglio per chi deve camminare. Il sottobosco della pineta, è una stupenda brughiera di erica rosa in rigoglio, tanto che mi chiedo se sono in cammino verso il Paradiso! E’ una tappa entusiasmante che mi vede dar voce a tutte le canzoni che mi ricordo; forse è anche per questo che non vedo animali, né odo uccelli, e sì che, a mio giudizio, canto molto meglio del bardo Assurancetourix di Gallica memoria…!! Entro nel bellissimo villaggio di Retjons (avrei fatto un errore madornale, se ci fosse stato posto, ad andare a Bourriot-Bergonce), alle 16,30, entrando nel Bar-Tabac-Epicerie di Mme Dominique Martinelli che gestisce il rifugio per pellegrini posto accanto alla sua casa. Lei è di origini italiane, ed è felice di vedere un pellegrino proveniente dalla sua terra natia. Mentre mi accompagna al rifugio, mi assicura che si occuperà lei per la cena e la colazione dell’indomani, pregandomi anche di telefonare a Mme.Dominique Lafarge, Presidente della Associazione locale. Anche questo rifugio è bellissimo; non vi è la cucina, ma i letti ed i servizi sono eccellenti, e vi sono anche dei ciclostilati di consigli e numeri telefonici su villaggi ed alloggiamenti per le tappe a venire. Dopo la doccia, controllo i miei piedi trovandoli in perfette condizioni dopo le ultime 4 tappe di rilevante lunghezza. Approfittando della comodità obliata di un bel divano, mi immergo nella lettura del libro dei pellegrini di passaggio (tedeschi, olandesi, belgi ed anche uno spagnolo, ma niente italiani). Inattese, ma desiderate, voci amiche mi raggiungono dall’Italia, aumentando ancora di più il senso di letizia che mi ha donato questa tappa, assolutamente imprevista sia per il tipo di cammino e di territorio, ma sopratutto per la professionalità delle segnalazioni che ho trovato; forse la Provvidenza, sentito il mio pittoresco mugugno durante la tappa di due giorni fa, verso Saint-Ferme, riguardante l’egoismo di questo cammino, ha voluto darmi una bacchettata facendomi capire che per avere, bisogna anche dare; nel mio caso, dare l’attenzione e la “fatica” che il Cammino richiede….! Un breve tour nel villaggio ed alla chiesa del XIV sec. mi permette di apprezzare ancora meglio questo piccolo borgo con le case sparse come margherite in un campo, immerso nella foresta di pini che lo circonda, dandomi la reale sensazione di essere giunto nel posto più vivibile che una persona possa desiderare. Telefono a Mme.Lafarge, ringraziando lei e la comunità di Retjons per il bellissimo rifugio, e la Société Landaise per la superba opera di segnalazione del cammino. A sua volta, mi ringrazia per il mio apprezzamento alle loro opere, assicurandomi che il prosieguo delle tappe sarà ancora migliore, dandomi poi l’indirizzo del rifugio per pellegrini a Mont-de-Marsan, che la mia guida non riporta. La cena fa onore alla cucina di Dominique e di suo marito indaffarati tra l’epicerie ed il bar, ed alle 21,30, fisicamente ed emotivamente sazio, rientro nel rifugio per la stesura del diario di questa appagante tappa.

Venerdì 26-09-03. 35° tappa. Retjons – Mont-de-Marsan. 39 Km. Refuge pèlerin. Per la chiave rivolgersi a Mme.Jaqueline, in fondo a Impasse Paul Haget, di fronte al N°14 di Rue Lesbazeilles in centro città.

Memore di ieri mattina quando alle 7,15 mi ero messo in marcia nel buio della città, oggi il trillo della sveglia (sempre malvista), è alle 7,15; la prima cosa che faccio ogni mattino è vedere che tempo fa, ed oggi vi sono degli altissimi cirri che il sole nascente colora di rosa, quindi sintomo di bel tempo ideale per attraversare boschi e camminare su piste sabbiose. Ottima e copiosa colazione nel bar già frequentato, poi dopo aver acquistato le provviste per oggi, Dominique mi appone il timbro sulla credenziale, dandomi l’arrivederci, chissà mai, in Italia. Parto passando davanti ad un stele di pietra che reca incisa una conchiglia e la distanza (1000 Km) che mi separa da Santiago, scolpita da una pellegrina di passaggio, il cui pellegrinaggio, invero molto tribolato, è descritto in una pubblicazione nel rifugio. Dopo un paio di Km, lascio la D224 per prendere il sentiero sabbioso perfettamente segnalato che conducendomi per mano attraverso ruscelli, guadi, ponticelli, strade forestali di accesso per i pompieri e serpeggiando ai bordi di praterie, mi porta ad incrociare di nuova l’antica ferrovia, ed infine ad innestarmi sulla D932 entrando in Roquefort, grosso borgo, dotato di un rifugio municipale per i pellegrini. Mi soffermo a fotografare la bella ed antica Chapelle de Notre-Dame-de-l’Assomption risalente al XII-XV sec. e la Chapelle dei pellegrini di Saint-Jacques tuttora meta di pellegrinaggi, poi mi affretto ad attraversare il borgo per riprendere al più presto i sentieri verso Bostens e Bougue. Non incontro nessuno, neanche un cercatore di funghi o cacciatori che allenano il cane. Vicino a Corbleu, accanto al cimitero, vi è una piccola sorgente che la guida descrive come miracolosa; naturalmente da buon pellegrino, ne metto un pochino in un contenitore per le pellicole, usandola nei giorni seguenti per farmi il segno della croce al mattino prima della partenza. Quando arrivo a Gaillères, trovo la sua chiesa chiusa ed è un vero peccato, poiché al suo interno, custodisce delle vetrate ed un altare dedicati a Saint-Jacques, ed una statua in legno dorato raffigurante Saint-Roch, mentre a sostenere il porticato vi sono quattro splendide colonne tortili in legno, riccamente scolpiti a motivi floreali. Dopo il passaggio di un ponte che scavalca la Midou, entro in Bougue passando accanto alla chiesa con il sagrato chiusa da un muricciolo, salvo un angolo che dà sulla strada, dove è collocata una stele di pietra con scolpita una conchiglia ed una targa riportante la distanza da Santiago di Compostelle:”970Km”. Dopo Bougue, il sentiero si innesta sorprendentemente su una lunghissima pista ciclabile di 10 Km che mi accompagna, prima attraversando estesi boschi, poi la lunghissima periferia, fino al centro di Mont-de-Marsan, dove, abbastanza facilmente, trovo la rue Lesbazeilles, e l’impasse Paul Haget, dove abita Mme Jacqueline, l’incaricata per le chiavi del rifugio. Alla scampanellata, una attempata signora scende le scale consegnandomi le chiavi del rifugio (a circa 200 m), pregandomi di accomodarmi tranquillamente, poiché sono il solo pellegrino per oggi, mentre per la timbratura della credenziale, più tardi verrà una persona dell’Associazione. Anche questo è un bel rifugio, dotato di tutti i servizi ed anche di un forno a microonde; tre piccole camerette ospitano sei letti disposti a castello, e vi sono anche dei termoconvettori nel caso ci fosse bisogno di calore. Il tempo non è particolarmente bello questo pomeriggio, così faccio in fretta a prepararmi per poi uscire andando all’ufficio dell’OT per avere una piantina della città, utile per determinare il percorso più breve per uscirne domattina, e per decidere il tour turistico che mi porta alla Chiesa de Sainte Marie-Madeleine, trovandola però chiusa, così mi attardo per il centro città e nelle viuzze lungo il corso della Midou. Per la cena entro in una steak-house, ad un centinaio di metri dal rifugio, dove mangio bene spendendo molto poco. Rientrato al rifugio, trovo che la mia credenziale è stata timbrata, ed un biglietto di saluto da parte dell’associazione locale che mi augura buon cammino. Provo rammarico, che la persona sia giunta in mia assenza, perché così, anche qui non ho avuto la possibilità di scambiare qualche parola con coloro che hanno approntato questo bel rifugio di ospitalità ai pellegrini.

Sabato 27-09-03. 36° tappa. Mont-de-Marsan – Hagetmau. 32 Km. Camping Municipal**** La Cité-Verte. Chemin de Loussets (Arenes). Tel: 05 58 05 77 59. ou Mairie: 05 58 79 79 79.

Ho valutato questo rifugio come “bello”; in effetti è funzionale, spazioso e ben attrezzato, e la sola mancanza che gli posso addebitare, è che è senza anima; è freddo, tutto bianco per le piastrelle smaltate che ricoprono le pareti ed il pavimento ed anche le camerette sono bianche; quale differenza con altri rifugi o chambre d’hôtes, dove il legno e l’arredamento, a volte anche troppo “invadente”, ti avvolgevano con il calore di un ambiente vissuto dotato di una qualche personalità rispecchiante chi lo aveva preparato! L’impressione che ho questa mattina quando mi alzo alle 7,10 per prepararmi la colazione, è quella di un ambiente ambulatoriale, o di una sala d’attesa di una clinica…. Alle 08 parto lasciando la chiave nella cassetta della posta di Mme Jacqueline, riattraversando la passerella sulla Midou verso la N124 seguendola per 3 Km fino al quartiere di Mont-Alma. Traffico calmo derivante dal giorno prefestivo, così non vi sono TIR e code di vetture strombazzanti, ma solo persone che fanno jogging o lo fanno fare ai loro cani… fino a dopo il sottopassaggio dell’autostrada quando vengo indirizzato sui primi sentieri. Il percorso è ben segnalato ma il territorio è più collinoso, ed anche i sentieri ben presto si adeguano divenendo pietrosi giusto quel tanto che serve per fare fatica. A mezza strada tra Benquet e Saint-Sever, il cielo, già coperto dalle nuvole di primo mattino, comincia a scaricare pioggia, obbligandomi ad indossare gli impermeabili, ed a toglierli quando smette. Passando il Pont de Péré sul fiume Adour, giungo nella grande Place du Tour du Sol di Saint-Sever, di fronte alla facciata Romanica della sua Abbazia, fatta visibilmente oggetto di diverse ricostruzioni e dotata di notevole fascino dato che la sua fondazione ad opera dei Benedettini, risale all’anno 998. Faccio una sosta in un bar per prendere un caffè, così telefono ad Hagetmau, al Camping, dove vi è il rifugio per i pellegrini, ricevendo l’assenso che hanno posto, ma solamente in una tenda; credendo di aver capito male, le chiedo spiegazioni, ma avevo capito bene; il rifugio per pellegrini che la Ville di Hagetmau mette a disposizione, è proprio una tenda….! Decido di riservarmi l’accettazione dopo averla vista, così riprendo la Via uscendo da Saint-Sever sotto un improvviso e breve acquazzone. Ad Audignon, passo davanti alla elegante chiesa di Notre-Dame-de-l’Epiphanie in Place Compostelle, anch’essa Romanica con un campanile arricchito da merletti, prendendo poi la Route du Cap de Gascogne e la D78 per Horsarrieu e quindi Hagetmau dove entro con l’ombrello, bagnato da una sottile e maligna pioggerella che smette subito dirigendomi in Place de la Liberté davanti alla chiesa. Una veloce visita, poiché temo che ritornando dopo le 16 sia chiusa, poi chiedendo informazioni a dei ragazzi, mi dirigo alla Cité Verte presso l’Arena dove si svolgono le corride dei tori. All’accettazione, l’addetta mi spiega che tutti i bungalows sono occupati, così rimane libera solo una grande tenda (dice lei), dotata di brande con i servizi e le docce che sono accanto. Non mi sento di dire di no, anche perché l’alternativa sarebbero degli HR da due stelle, così accetto, cercando di sistemarmi al meglio mentre riprende a piovere ben bene. La tenda dispone di sei brande, illuminata da una lampadina portatile appesa al centro, e nessuna sedia o panca su cui appoggiare lo zaino. Velocemente mi prendo una doccia caldissima, curandomi una piccola vescica sul tallone destro che mi da fastidio, quindi esco proteggendomi con l’ombrello per vedere la cittadina ed acquistare i viveri per domani che è domenica. Mi accorgo che anche i soldi scarseggiano, e fortunatamente mi trovo in una città con uno sportello aperto per il prelievo. Prenoto la cena all’HR “Le Relais Basque” per le19,30, poi rientro per depositare i viveri in tenda, ma anche per apporre il timbro sulla credenziale alla Reception. Poco prima delle 19, mentre esco per dirigermi al ristorante, tre bikers tedeschi mi chiedono se il camping è aperto, e da dove si entra; sono due ragazze ed un ragazzo, così li indirizzo alla reception affrettandoli, poiché alle 19 gli uffici chiudono. L’HR “Le Relais Basque” ha un bell’ambiente e l’accoglienza è molto cortese, così anche il cibo che viene servito, ottimo e copioso; sapendomi pellegrino, mi offrono gratuitamente una piccola bottiglia di ottimo vino rosso che bevo alla loro salute, in quanto per ovvii motivi di prezzi, è generalmente fuori della portata di un pellegrino…. Al mio rientro al camping, riesco a ritrovare la tenda alla luce della pila, poiché piove abbastanza forte ed il cielo è nerissimo con lontani rombi del temporale in direzione di Saint-Sever, sperando che resti da quelle parti anche per l’indomani. I tre bikers tedeschi sono alloggiati anche loro nella tenda, e quando ritornano dalle docce si fa conversazione passando dallo spagnolo al francese, oppure all’inglese, per me ancora abbastanza difficoltoso. Sono diretti anche loro a Santiago di Compostella, ma viaggiano generalmente sulle grandi dipartimentali, e non hanno la guida, ma solo delle cartine Michelin in scala 1:200000. Mentre escono per cenare anche loro al Relais Basque, inizio a scrivere il diario minimo di questa tappa, abbastanza dura e tormentata dalla pioggia, affidando alla penna di testimoniare che quello che mi è spiaciuto di più oggi, è che una cittadina così grande come Hagetmau, celebrato luogo di passaggio e di sosta sul cammino di Compostelle, non abbia niente di meglio da offrire ai pellegrini, se non una misera tenda, neanche ben messa, che al massimo andrebbe bene come deposito per gli attrezzi. Alle 22 rientrano sotto una leggera pioggia i tre bikers raccontando che hanno cenato bene, poiché oggi, hanno pedalato per circa 100 Km, ed il territorio non era propriamente piano, ma hanno poco tempo, circa15 giorni, e le tappe che mancano a Santiago saranno suppergiù ancora su questa lunghezza, fiduciosi di arrivarci in tempo per visitarla con calma e poi rientrare a casa. Chissà se anche io ci arriverò….

Domenica 28-09-03. 37° tappa. Hagetmau – Orthez. 29 Km. HR** Kyriad. Route de Pau. Tel: 05 59 69 28 77.

Ho passato buona parte della notte ad udire i rombi del temporale e gli scrosci della pioggia sul tetto della tenda, comprendendo le complicanze positive del risultare sensibile alle condizione meteo durante i miei pellegrinaggi; ciò che amo vedere e gustare seduto sotto un porticato, si traduce in inquietudine e senso di spreco per il giorno di cammino che mi attende, probabilmente da trascorrere sotto le intemperie, perdendo irrimediabilmente ciò che avrebbe da regalarmi in un giorno di sole. Ma ciò che avverto coscientemente, è che lo spirito si adegua positivamente, attuando una specie di “fatalismo del cammino”, che mi fa accettare queste idiosincrasie meteorologiche, aprendo delle finestre interiori in cui guardare, che altrimenti sarebbero solo socchiuse, sovrastate dalla “fisicità” della natura e dai paesaggi che attraverso, permettendomi di accettarlo con sorprendente serenità…. Forse anche questo è un cambiamento che il Cammino apporta giorno dopo giorno, ed il fatto di riuscire a scoprirlo portandolo a livello cosciente, mi dispone tranquillamente anche oggi mentre mi preparo a partire sotto la pioggia. I miei tre amici bikers, si attardano ancora nei sacchi a pelo, avendo dalla loro l’invenzione della ruota che oggi li porterà tranquillamente a Saint-Jean-Pied-de-Port ai piedi dei Pirenei, l’antico “Port de Cize”. Alle 7,45 salutati “les Allemands”, esco dal Camping pronto per la diatriba con Giove Pluvio dirigendomi verso la D933. Non resistendo al profumo di pane appena sfornato che emana dalla Boulangerie dove ieri avevo comprato una baguette, vi entro per acquistare dei pani al cioccolato, con la proprietaria che sorride di buonumore quando le dico che sarà giudicata da Saint-Jacques per aver indotto alla tentazione di gola un povero pellegrino già di buonora…. Il cielo è ancora coperto da nubi, ma la pioggia smette poco dopo aver lasciato la cittadina, mentre cammino sulla D357 in direzione di Labastide-Chalosse, arrivando al sito dove è la Sorgente-Fontana di Saint-Pierre o de Beougos. Costruita nel Medioevo, questa sorgente, riportante l’effige di San Pietro con la chiave e la tiara, attributi del papato, aveva fama di poteri taumaturgici e medicinali, alla quale venivano portati, per esservi immersi, i bimbi ed i piccoli animali che tardavano a camminare. Anticamente era luogo di sosta per i pellegrini della Via de Vézelay, dove essi potevano bere, lavarsi e bagnare i loro piedi affaticati dal lungo cammino; io non sono ancora affaticato, però tenendo fede al “Decalogo del pellegrino della Via di Vézelay” descritto in quarta pagina di queste mie “memorie”, ne bevo un lungo sorso, trovandola di buon sapore, quindi immergendoci le mie estremità, procuro loro beneficio, sicuramente anche per l’avvenire. Riparto, con il cielo che si rasserena, in direzione di Argelos, attraversando la Luy de France al Pont de la Haderne; quindi entrando in una zona collinosa passo da Argelos, raggiungendo Beyres attraverso dei bei sentieri di terra che alternandosi ad una compartimentale, mi conducono a Sault de Navailles, lasciando il dipartimento delle Lande ed entrando in quello dei Pyrénées Atlantiques, nella regione del Béarn. Anche qui nel villaggio di Sault-de-Navailles, a lato della via che percorrono i pellegrini, vi è una pietra riportante la storia del borgo risalente al XIV sec. dove gli Hospitalier di Saint-Jean, avevano eretto la loro Cappella l’Ospitale ed il cimitero, accanto al fiumicello, nel quartiere più antico del villaggio: Le Marcadieu. Riprendo il cammino passando nuovamente il secondo ramo della Luy de Bearn seguendo il sentiero che si accartoccia a fianco della D933 per entrare in Sallespisse dove mi fermo per lo spuntino accanto alla chiesa. Telefono ad Orthez, all’OT per avere indicazioni per l’alloggio, ma l’ufficio è chiuso; ritento alla Mairie, chiusa anch’essa, provo al Couvent de la Source ma non fa più accoglienza, idem al Monastero delle Clarisse…. Mi dico stai a vedere che oggi è domenica, e troverai dei problemi per l’alloggio. Decido di affrettare il passo per arrivare ad Orthez non tardi, per avere il tempo di cercarmi un Hôtel non distante dal centro. Così lascio il sentiero che mi avrebbe portato in una bella zona boschiva e collinosa sicuramente gradevole, per incamminarmi sulla D933, un lungo rettilineo fino al cuore della città dove giungo alle 14,30 indirizzandomi subito in Place Saint-Pierre dove sorge la chiesa per visitarla prima di mettermi alla ricerca dell’alloggio. E’ una chiesa dall’architettura esterna che stupisce, poiché è di uno stile che non riesco a definire; la guida la classifica come esempio gotico, ma è un gotico “trattenuto”, come se gli architetti avessero avuto timore di slanciarla verso l’alto. In effetti, la volta della navata è alta circa solo18 m, la più alta della regione, con due alte vetrate adorne di tre slanciate colonnine che fanno ala al campanile posto al centro della costruzione ospitante il portale d’ingresso ad arco gotico, sormontato da un leggero colonnato e dal rosone. La sua costruzione ebbe inizio nel XIII sec. partendo dal coro e terminata ben un secolo dopo, dove sta forse la ragione del suo cambiamento di stile; comunque le sue proporzioni sono perfettamente bilanciate e gradevoli. Nel XVI sec. fu confiscata ai cattolici per essere riservata al culto protestante che nel Béarn conobbe discreta espansione, poi, quando nel 1865 la chiesa fu ingrandita, il campanile fu innalzato direttamente sopra il portale d’entrata già allora posto sul lato più lungo della navata. L’interno è abbastanza normale, senza grandi slanci, aldilà delle vetrate che rischiarano discretamente la navata. Mi pongo alla ricerca di un Hôtel aperto, ma è una impresa vana, così mi indirizzo all’Hôtel “La Reine Jeanne”, un due stelle che avevo visto aperto ma dai costi elevati. Sfortunatamente è al completo, però, ecco la Provvidenza; il proprietario, estremamente gentile e disponibile, si fa in quattro telefonando a svariati hôtel in città, ed anche a Sainte-Suzanne, avanti sul percorso a circa 4 Km, trovandoli chiusi o completi. Alla fine, mi trova una camera libera all’HR** Kyriad, un due stelle posto sulla Route de Pau, circa 2 Km fuori città, così ringraziandolo per il suo grande aiuto, mi dirigo attraversando la città e dalla parte opposta alla direzione che devo prendere domani, verso l’unico alloggio libero che vi è in questa città, non avendo più occasione di poterla visitare!! Naturalmente la strada per arrivare all’Hôtel, è in salita, ma tutto passa quando avuta la bella camera, posso prendere una ottima doccia e più tardi alle 19,30, una ancora più ottima cena, gustando al coperto ed attraverso la grande vetrata della sala da pranzo, la vista del forte temporale che, giunto sulla zona fin dal pomeriggio, libera ora le sue cateratte allagando la Dipartimentale di fronte all’Hôtel fino a tarda notte.

Lunedì 29-09-03. 38° tappa. Orthez – Sauveterre-de-Béarn. 24 Km. HR “Auberge du Saumon”. Avenue de la Gare. Tel: 05 59 38 53 20.

L’Hôtel Kyriad, è un vero Hôtel a due stelle, veramente ottimo sotto tutti i punti di vista, tanto più per il pellegrino che è in cammino da più di un mese ed ha dormito in tutti i posti possibili ed immaginabili… Lode a questo Hôtel dunque, dove anche la colazione è ottima ed abbondante, poi una volta alla cassa, la lode si affievolisce, ma il detto “dare a Cesare ciò che è di Cesare”, calza perfettamente, avendo avuto ciò che necessitavo. Fuor di metafora, ho dormito come un ghiro questa notte, ed al mattino la sveglia delle 07 mi vede guardare fuori dalla finestra rimanendo incredulo..! Non si vede nulla!! Non è un effetto di cataratta; è che vi è un nebbione che a ragion veduta posso chiamare “Padano, o Meneghino che tanto è lo stesso”! Roba da tagliare con il coltello… L’effetto che mi fa, è sorprendente, invece di sentirmi depresso, mi rallegra, preparandomi velocemente per la colazione, che come detto sopra è ottima, poi alle 8,10 fluttuando nel nebbione, ritorno in città per prendere la via verso la ferrovia ed il Ponte Vecchio che attraversa la Gave de Pau. Chiedo informazioni ad una persona, ed egli è un italiano sposato ad una francese, abitante qui da molti anni; contento di trovare un italiano in cammino, mi accompagna per un bel pezzo cercando di ricordarsi la sua lingua natia dimenticata. Attraverso alcune vie strette e antiche, mi porta di fronte al Ponte Vecchio, poi abbracciandomi, mi chiede, se posso, di salutare Treviso dove lui è nato. Passato il Ponte Vecchio, non potendo neanche fare un misera foto alla Gave (per via della fitta nebbia), arrivo in Place Saint-Loup, di fronte all’Auberge Saint-Loup, antico hospital di Saint-Jacques; Poco dopo il passaggio sotto l’autostrada, entro nei sentieri, perfettamente segnalati da pilastrini di pietra alti circa 50 cm, recanti il segno dell’alfa, oppure una stella od una conchiglia, ai quale significati non so rispondere giungendo davanti alla chiesa di Sainte-Suzanne, aperta, così entro per vedere una vetrata raffigurante Saint-Jacques come riportato sulla guida. Sempre seguendo “les bornes jacquaires” (pilastrini) in pietra, raggiungo Lanneplaà per uscirne immettendomi sullo Chemin de Saint.Jacques come scritto su cartelli esplicativi a lato della D267, ed in una verde aiuola, una bella statua in pietra raffigurante un pellegrino con bastone e cappello lo rammenta perfettamente. Anche il sole, visto che non mi sono volatilizzato nella nebbia, esce dal grigiore offrendomi un cielo azzurro che fa risaltare i verdi prati e gli splendidi boschi di pini ancora gocciolanti per l’umido abbraccio della nebbia. Piccoli tratti di sentieri scivolosi si alternano all’asfalto mentre mi avvicino a L’Hôpital d’Orion, esplicativo sinonimo di un antico Ospitale per i pellegrini, e sede di una Commanderia di Sainte-Madeleine de l’Espitàu risalente al 1114. Il Béarn, è una regione intrisa di cammini jacopei; in questa regione, tre dei quattro grandi Cammini di pellegrinaggio in terra di Francia, scorrono quasi paralleli per poi incontrarsi a Ostabat, dove ora è posta una stele a ricordo; le associazioni sono attive nella segnalazione dei sentieri, ed essere pellegrino qui, è particolarmente appagante e agevole, vedendo con quanto amore vengono segnalati i sentieri. Dopo L’Hôpital d’Orion, passato il ponte sulla Saleys, proseguo per 2 Km sulla D266, lasciandola per infilarmi in sentieri di terra o erbosi ancora umidi per la nebbia; un grosso trattore davanti a me sta rasando l’erba, particolarmente alta del sentiero dove devo passare; il meno che posso fare, è ringraziarlo di cuore, altrimenti, dato che è infossato tra due alte siepi, mi sarei bagnato fino alle ginocchia. Vengo condotto per prati dove pascolano mucche “Charolais” che hanno preso il posto delle “Limosine”, o piccole greggi di pecore seguendo fedelmente i piastrini in pietra con inciso stavolta un trifoglio con due stelline. Devo porre attenzione allo stato del fondo in terra poiché diventa scivoloso, specialmente quando è nel sottobosco, e le foglie coprono le radici sporgenti, ma anche per evitare le enormi “mine”che, mucche poco educate hanno scaricato. Passo su un vecchio ponte in pietra (sembra una miniatura), il ruscello di Lasgouberes costeggiando un intricato boschetto, poi due ampie radure, passando accanto alla “Chêne de Saint-Jacques d’Orion” (quercia), in mezzo al cammino. Incrociando la D23, il sentiero fila a sinistra verso il villaggio di Andrein posto sul bordo della Gave d’Oloron, dove mi fermo accanto alla sua chiesa di origini romaniche sul bordo del ruscello. Manca poco a Sauveterre, circa 4 Km, il cielo è limpido solcato solo da bianche nuvole, cosi decido di fermarmi mettendo i piedi a mollo nel ruscello mentre do fondo al camembert divenuto eccessivamente olezzante, seppur ancora più gustoso, su una dura crosta di baguette. Essendo i villaggi in cui sono passato troppo piccoli per avere una boulangerie, e per di più oggi è lunedì, non ho avuto la possibilità di acquistare nulla di nulla, quindi ecco che viene buona questa specie di razione K che tenevo da parte come “estrema ratio”! Riprendo il cammino nel fondo di questa piana che, lasciata la Gave a sinistra, si immette sulla piccola compartimentale tagliando attraverso un grande appezzamento coltivato a granoturco per avvicinarmi a Sauveterre-de-Béarn, scorgendo da lontano la cittadina issata in alto alla collina e la chiesa con il poderoso campanile abbracciato da impalcature. Risalgo la collina prendendo “les escaliers”, sbucando proprio davanti alla chiesa ed ammirando con un colpo d’occhio magnifico la vallata della Gave d’Oloron dalla quale sono giunto. La chiesa di Saint-André, naturalmente è chiusa essendo in corso di restauro, ma posso fotografare il bel portale sormontato da una splendida lunetta riccamente istoriata ed in ottimo stato di conservazione. Mi indirizzo poi all’O.T. posto posteriormente alla chiesa, per cercare un alloggio, ed anche qui, l’accoglienza per i pellegrini oggi è chiusa; una Chambre d’hôtes, apre alle 17 (mentre ora sono le 14), ed un’altra è fuori 4 Km con la proprietaria che si offre di venire a prendermi. Approfittando della gentilissima signorina, le chiedo di telefonare all’Auberge du Saumon, fuori città di circa 1 Km, ma sul percorso di domani, che mi assicura di avere una camera a disposizione. Mi attardo un poco sulla bastionata per ammirare ancora una volta la grande ansa della Gave giù nella vallata, poi mi incammino per uscire dalla città passando davanti ad una farmacia, dove il proprietario, vedendomi, mi fa cenno di fermarmi uscendo subito dopo per parlarmi della Via di Vézelay sulla quale ha pellegrinato due anni fa per 15 giorni. Mi chiede come è ora, se ho trovato difficoltà e se gli alloggiamenti sono migliorati. Mostrandogli la mia cartina, gli dico che probabilmente essa è uguale alla sua, sia per gli alloggiamenti sia per il tracciato che in certi tratti ho trovato senza segnaletica, oppure spostato, facendogli presente che ora vi è una nuova edizione della guida dove sono segnalati molto bene, sia i nuovi tratti di percorso, che i nuovi alloggiamenti localizzati perfino sulla cartina con opportune indicazioni grafiche. Vedo che è piu sollevato e mi comunica che forse il prossimo anno lo farà di nuovo assieme al figlio, così gli consiglio di acquistare la nuova e più aggiornata edizione della guida (quella che aveva François), veramente valida sotto parecchi punti di vista. Mi saluta chiedendomi se mi può essere utile in qualche maniera; ringraziandolo, lo saluto anch’io avviandomi di nuovo verso l’Auberge posto a fianco della D933 che raggiungo dopo 20 minuti. Poiché nessuno risponde alle scampanellate, attendo pazientemente seduto all’ombra nel giardino, finché la proprietaria discende le scale da una dépendance a fianco dell’Auberge; stava preparando la camera destinata a me, e non aveva udito il suono del campanello, invero abbastanza discreto. Gentilissima e cortese, mi offre una birra ed una tranche di torta di mele tenendomi a chiacchierare una buona mezzora in giardino circa l’Italia, il lago di Como, Milano, e sul cammino che ho intrapreso. Mi accompagna poi alla cameretta, ben arredata, dandomi appuntamento alle 19,30 per la cena; una buona doccia calda mi rimette in forma scacciando la stanchezza dovuta più che altro al caldo di questo giorno ed al territorio parecchio collinoso, mentre nei giorni precedenti, quando ero nelle Lande, avevo camminato perlopiù su sentieri sabbiosi e pianeggianti. Decido di non ritornare in città, avendo trovata la chiesa chiusa, così mi infilo sotto le coperte fino alle 18,30 scendendo poi in giardino per scrivere il diario. Alle 19,30 seduto in una bella sala da pranzo arredata sobriamente, mi viene servita un’ottima cena riprendendo a conversare amabilmente con la proprietaria, ottima cuoca ed ospite estremamente gradevole. Sono le 21,30 quando terminata la cena con un bicchierino di sherry preso in compagnia della mia ospite, apprendo da lei che il meteo di domani sarà molto variabile, ma che il percorso verso Ostabat, cittadina che già conosco, è perfettamente segnalato e gradevolissimo dal punto di vista paesaggistico.

Martedì 30-09-03. 39° tappa. Sauveterre de Béarn – Ostabat. 26 Km. Gîte Maison Ospitalia. M. Etchepareborde. Tel: 05 59 37 83 17.

Durante la notte ha piovuto, ed ho dovuto anche coprirmi con un’altra coperta poiché faceva freddo; mi ero scordato che siamo molto vicini ai Pirenei, ed in caso di pioggia, durante la notte, la temperatura può scendere di parecchi gradi. Ai mattino,alle 7,30 il tempo è ancora brutto con il cielo popolato da nuvole grigio/blu, ma per ora non piove. Una sostanziosa colazione mi predispone al meglio per la tappa di oggi che mi vedrà arrivare alla Maison Ospitalia di Ostabat; luogo mitico, dove si riunivano i pellegrini provenienti da tre cammini di Francia. Salutata la gentilissima signora proprietaria dell’Auberge du Saumon, già pronto per la pioggia, mi incammino sulla D933 raggiungendo il villaggio di Osserain Rivareyte, ai piedi della zona collinosa. Da lontano, una lama di cielo azzurro sopra le alture dei Pirenei schiarisce il paesaggio altrimenti plumbeo mentre lasciata la D140 al crocevia di Saint-Elix, prendo decisamente il sentiero entrando nei boschi e risalendo il bordo di un ruscello, risalgo la prima collina arrivando davanti ad una pietra che determina la frontiera tra le province del Béarn, Navarra e Soule. Il sentiero corre sulla cresta tra appezzamenti di terreno dove il granoturco è già stato raccolto, con un bel panorama sulla lontana linea delle montagne pirenaiche. Il tempo sembra che non voglia scaricare pioggia, anzi una brezza sostenuta contribuisce a sospingere alle mie spalle la coltre di nubi. Il paesaggio, è oltremodo vario essendo un continuo su e giù per colli e piccole valli con notevoli contrasti di colore dovuti ai terreni lasciati a prato di un colore verde brillante, il marrone scuro di quelli già arati, ed il verde cupo delle macchie di bosco; non vedo per ora mandrie di mucche o greggi di pecore, se non udendo i muggiti od i belati, quando passo accanto a qualche fattoria. Nel piccolo “hameau” (frazione), di Sussaute, faccio una deviazione per vedere la chiesa di Saint-Jacques, per poi riprendere la via lungo il sentiero che si attorciglia come un serpente seguendo i confini dei campi o le creste confinali arrivando al crocicchio di Suhast dove è eretta una bella croce di Via al centro della aiuola. Poi il sentiero sempre ben segnalato dalle pietre di Via, lascia a sinistra il villaggio di Aïcirits per dirigersi direttamente a Saint-Palais, un altro luogo mitico e di accoglienza per i pellegrini, il Couvent des Franciscains “Zabalik”; mi rammarico di non poter fare tappa qui, ma la tappa sarebbe stata estremamente corta, rinviando il piacere di essere ospitato qui ad una prossima occasione, magari arrivando dal Cammino di Tours…. A Saint-Palais, il sole ha scacciato tutte le nuvole, e splende come non mai; mi dirigo rapidamente alla chiesa per visitarla, poi affrontando una ripida salita, passo davanti ad una bella casetta, vedendo che sul suo cancello, spicca il cartello dell’Associazione de Centre d’Études Compostellanes, circondato da conchiglie e da una indicazione riguardante la distanza che manca a Saint-Jacques; ”849 Km”! Riprendo il cammino giungendo sul colle di Hiriburia, dove è edificata la famosa “Stele di Gibraltar”; il nuovo manufatto è stato eretto nel 1964, ma anche sapendolo, il sito non perde l’incanto della prodigiosa epopea che ha generato la sua fama tra i pellegrini. Qui la Voie de Vézelay, La “Via Lemovicensis”, si unisce al cammino della “Via Podensis”, proveniente la Le-Puy-en-Velay, ed alla “Via Turonensis”, proveniente da Tours, fondendosi in un unico cammino verso Ostabat dapprima, ed a Saint-Jean-Pied-de-Port poi, verso il celebrato Port de Cize. Già i ricordi mi assalgono, ma evidentemente,sono più che sbiaditi, poiché non mi ricordo che per arrivare alla Chapelle de Soyarza vi è un bel colle da scalare su un largo sentiero di rocce frastagliate. Un nuovo entusiasmo mi riempie il cuore, quando scorgo ancora lontani e già in cima al colle, delle figure rosse e gialle che indossano senza ombra di dubbio degli zaini. Pellegrini!, ho davanti a me altri pellegrini! Chissà mai che stasera si fermeranno anche loro ad Ostabat, alla Maison Ospitalia, oppure nell’altro rifugio vicino alla chiesa…. La brezza che aveva contribuito a scacciare le nuvole sopra Saint-Palais, ha cambiato direzione, ed ora sospinge velocemente una nuvolaglia frastagliata davanti a me che oscurando il sole, raffredda l’aria. Quando giungo alla bella Chapelle in alto al colle, trovo un gruppetto di inglesi, evidentemente in gita poiché non indossano alcuno zaino, con i quali scambio qualche chiacchiera prima di entrare nella Chapelle a pregare, ringraziando chi di dovere per avermi aiutato a giungere fino a qui; ad uno sguardo al “Livre d’Or” che vi è sull’altare, vedo che vi è il nome di un Italiano di Verona passato di qui oggi, ma nulla dice se sia un pellegrino o meno, così come i proprietari degli zaini che avevo scorto da lontano che ora non vi sono più. Mi trattengo solo per quindici minuti nella Chapelle, poi vedendo che il vento rafforza, riprendo la marcia discendendo verso il Bois d’Ostabat nel fondo della valle, passando dal villaggio di Harambeltz, dove sorge la Chapelle di un Hôspital Saint-Nicolas risalente al XII sec. Sempre seguendo le “Bornes Jacquaires”, tra sentieri, siepi di felci, ginestre e ponticelli gettati su limpidi ruscelli, rivedo, poco prima di arrivare in Ostabat, quattro pellegrini, poiché su ognuno dei loro zaini, vi è il classico distintivo dei pellegrini di Santiago di Compostella; una bianca conchiglia. Ad una stele posta sulla strada, scelgo di avviarmi alla Gîte camminando sul sentiero che la guida dice sia in cattivo stato, fangoso e pietroso, che io non ricordo assolutamente; ha perfettamente ragione! É proprio in cattivo stato, ma accorcia parecchio la strada per arrivare davanti alla Maison Ospitalia, dove, quando vi arrivo, gli altri pellegrini da poco giunti, stanno togliendo gli zaini. Sono tre francesi e l’italiano di Verona del quale avevo visto la firma in alto nella Chapelle de Soyarza. Finalmente, un rifugio che ci accoglie come figliuoli prodighi, senza alcun bisogno di prenotazione; così semplicemente, a braccia (porta) aperte. Mentre ognuno si prepara il suo letto, ed andando su e giù per le scale verso il locale delle docce, ci scambiamo tutte le novità e le informazioni inerenti al cammino di ognuno, la provenienza e lo stato dei sentieri su cui si è camminato, nonché la meta finale. Tutti loro, una volta giunti a Saint-Jean-Pied-de-Port, prenderanno il treno per ritornare alle proprie case, salvo uno che, assieme al figlio che lo raggiungerà domani, ha deciso di arrivare a Roncisvalle, per rientrare a casa subito dopo. Terminata la fase dedicata alla doccia, un francese di nome Henry, che ci tiene a far sapere che viene dall’Alsazia, avendo saputo che sono un hospitalero a San Nicolás, sul Cammino di Santiago in Spagna, mi mostra i piedi; mi chiede se posso medicarlo come si conviene alle ferite che ha. É conciato parecchio male avendo delle estese abrasioni al tendine di Achille e delle vesciche non curate che lo hanno obbligato ad assumere degli antibiotici, prescritti da un medico, durante le tappe precedenti. Al termine della medicazione che ha occupato circa mezzora, si sente molto più sollevato potendo posare meglio il piede per terra; mi spiega che probabilmente la colpa è del lavoro che svolge. Essendo insegnante di nuoto, quindi immerso per parecchie ore al giorno nell’acqua clorata della piscina, probabilmente la pelle del piede diviene troppo delicata per affrontare, senza avere conseguenze, le terribili frizioni che si sviluppano in una calzatura da montagna che si tiene al piede per 6~7 ore di marcia con uno zaino da 11 Kg sulle spalle! Giunge ancora una coppia di pellegrini, anch’essi francesi, ed altre 4 pellegrine francesi le incontriamo quando, alle 19,30, dopo aver visitato la chiesa, andiamo a cenare al ristorante presso la boulangerie/epicerie. Al rientro, alle 21,30, troviamo M. Etchepareborde che si intrattiene con noi, sia per timbrarci le credenziali, ma anche per gustare tutti in compagnia una buona bottiglia di vino della sua vigna terminando in allegria una giornata bellissima.

Mercoledì 01-10-03. 40° tappa. Ostabat – Saint-Jean-Pied-de-Port. 21 Km. Accueil Saint-Jacques. Association des Amis des chemins de St-Jacques des Pyrénées Atlantiques. 39 rue de la Cittadelle. Tel: 05 59 37 05 09.

Si è dormito abbastanza bene nel rifugio, poiché i russatori, rei confessi, erano stati “esiliati” nella stanza al piano inferiore munita di porta; mi dovrò riabituare a questo scotto che il Cammino di Santiago comporta, avendo usufruito finora di un silenzio notturno veramente profondo. Già alle 06 vi è movimento tra i numerosi pellegrini che dovendo usufruire di un solo servizio e poi prepararsi la colazione, si adeguano prendendo le faccende per tempo. Non ho problemi di orario oggi; la tappa è corta e ricordo un poco il tracciato, perdipiù, questa notte mi ero alzato alle 02 per uscire ad ammirare la Via Lattea, approfittando della quasi totale oscurità che offriva il villaggio e dell’assenza della Luna. Formidabile! Da quanto tempo non avevo avuto occasione di poterla guardare, è un vero fiume di stelle, basta seguirlo semplicemente per arrivare diritti a Santiago…. Mentre i francesi fanno colazione bevendo le loro tisane ed altri originali intrugli, preparo anch’io lo zaino per uscire dal rifugio alle 08 dirigendomi al bar per la colazione, trovandovi i francesi fermi a sistemare gli zaini. Notando che mi vengono servite due grandi tazze di cafè con leche mi copiano lestamente, poi nella epicerie accanto, compro un poco di viveri per lo spuntino meridiano, ma è solo per dare un poco di commercio a questo villaggio che sento quasi fosse casa mia. Il giorno si preannuncia splendidamente con il cielo terso (sono le 8,45), ed il sole limpido che illumina le colline, ma vi è anche una forte brezza che spero non porti nuvole. Il gruppetto di pellegrini è sparso lungo il sentiero, ed ognuno cammina secondo le sue possibilità, ed anche Henry, al quale stamattina avevo rifatto le medicazioni, è là davanti che cammina bene dall’alto del suo metro e novanta di altezza…. Il sentiero corre seguendo la base delle alte colline, entrando a volte in proprietà private che permettono il passo ai pellegrini, i quali si premurano di aprire e richiudere le cancellate poste sul sentiero; Greggi di ovini dal muso nero o completamente bianche, occupano a volte la strada per un centinaio di metri, arrampicandosi sopra le une alle altre quando decidi di passare in mezzo a loro, con i cani che non si scompongono più di tanto, essendo abituati al fatto che i pellegrini non mangiano le pecore a loro affidate. Poco prima del villaggio di Larcevau, il sentiero si innesta sulla D933 per 500 m, trafficata e rumorosa, per poi riguadagnare la base delle colline arrivando alla Croce di Galzetaburu ancora sulla D933. Il gruppetto di francesi e Aldo (è il nome del pellegrino di Verona), si è fermato all’ombra dei pini poco prima del villaggio di Utxiat, e qui alla base della croce di Galzetaburu, seduti sul prato, ecco che vi sono le pellegrine francesi, ieri alloggiate nell’altro rifugio di Ostabat. Le saluto, poi riprendo il sentiero che attraversando la D933, si porta verso la linea di colline a sinistra della valle. So che seguendo il sentiero esso mi farà fare più fatica, poiché è disegnato dalla Gran Randonnée 65, continuazione del cammino che viene da Le-Puy-en-Velay, quindi più escursionistico, ma ritenendo che ho sia il tempo sia le gambe, lo prendo risalendo i primi dislivelli che costeggiano prati tagliati e boschetti di castagni. All’altezza del villaggio di Lacarre, vedo giù in basso, lo Château de Harispe, risalente al XII sec. dovuto a Bernard de Lacarre, che nel Moyen Age, era l’ammiraglio della Crociata di Riccardo Cuor di Leone. Il suo nome attuale deriva dal Maréchal d’Harispe, come recita la storia, soldato della Rivoluzione, creatore del battaglione Cacciatori Baschi, Generale con Napoleone I°, e Maresciallo con Napoleone III°. I segnali portano il cammino verso la D933, ma giunti ad un centinaio di metri, riprendono la via del colli allontanandosene decisamente; la guida dice di ignorarli e di proseguire sulla D933, ma io vorrei vedere dove mi porta, e quanta fatica mi farà fare, cosa non molto decifrabile dalla cartina. Effettivamente è un continuo salire e scendere passando tra piccoli villaggi e costeggiando boschi di castagni che già hanno lasciato cadere i ricci dai quali occhieggiano i gustosi frutti. Quando finalmente raggiungo Saint-Jean-le-Vieux, sono in grado di dire che la guida aveva ragione, è faticoso, ma è fuori dalla D933 che è decisamente troppo trafficata e pericolosa anche se ha un buon tratto destinato ai pedoni o alle biciclette. Entro in Saint-Jean-Pied-de-Port alle13 indirizzandomi subito all’Accueil per avere l’accoglienza al rifugio ed il timbro sulla credenziale. Il rifugio è ancora come lo ricordavo dal ’99, bello spazioso ed accogliente; ho un letto accanto ad una coppia di francesi, una simpaticissima brasiliana, un americano, un inglese e due giapponesi; ovvero il mondo in una stanza…

Velocemente, faccio la doccia, poi esco per risalire alle mura della Cittadelle gremita di turisti; visito la chiesa de l’Assomption, detta anche di Notre-Dame-du-Pont, risalente al XIV sec. É a pochi metri dal ponte che supera la Nive e conduce alla Port d’Espagne, verso la Route Napoléon che risale i Pirenei verso Roncisvalle. Una rapida puntata all’Ufficio Poste per spedire a casa cartine e rullini fotografici, poi gironzolo per la cittadina invasa dai turisti. Non sono più abituato a tutta questa folla, così, dopo aver adocchiato una Brasserie per la cena, ritorno al rifugio a chiacchierare con i pellegrini e per ritirare il bucato che nel frattempo, complice il vento che si è levato, si è perfettamente asciugato. Alla sera, ho una buona cena alla Brasserie, dove rincontro di nuovo gli amici francesi e Aldo che domani prenderanno il treno per ritornare a casa, quindi risalgo di nuovo la rue de la Cittadelle arrivando al rifugio che nel frattempo ha avuto tutti i letti occupati dai pellegrini sopraggiunti. Domani ci sarà una bella processione di pellegrini che salirà la Route Napoléon verso Roncevaux…

Giovedì 02-10-03. 41° tappa. Saint-Jean-Pied-de-Port – Roncesvalles. 23 Km. Rifugio della Collegiata di Roncisvalle. Tel: 948 76 00 00.

Questo anno, era mia intenzione arrivare a Roncisvalle seguendo il tracciato della Valcarlos, ma ieri chiacchierando con gli hospitaleros, mi fanno presente che si segue sempre la strada asfaltata, salvo un ultimo pezzo per salire al Col d’Ibaneta, tanto vale rifare ancora una volta la Route Napoléon passando dalla Vierge de Biakorre, percorso molto più bello anche se di notevole dislivello. Alle 6,30 il rifugio già si anima con le luci delle pile che lampeggiano; i pellegrini sono impazienti di partire, ed anche se stanotte ha piovuto e prima delle 08 è ancora buio, alcuni già si mettono in marcia. In cucina riscaldo un poco di latte con Nescafè, accompagnato da due corpose fette di baguette con della marmellata che costituisce la colazione per oggi, poi scendo verso la chiesa di Notre-Dame-du-Pont, verso la Port d’Espagne; iniziando a risalire la strada che è subito ripida. Rapidamente, la luce del giorno schiarisce ed illumina la vallata alle mie spalle, ma si leva anche un forte vento che dapprima ti permette di non sudare troppo, ma poi, superato il piccolo borgo di Huntto, diventa violento con fortissime raffiche alla quali ti devi opporre con forza per non essere spostato. Naturalmente soffia contrario al senso di marcia o trasversalmente, quasi che la montagna non desiderasse essere risalita; più volte le raffiche mi sospingono verso il centro della strada, costringendomi a fermarmi facendo forza sul bordone per non essere urtato, quando sento che sopraggiunge una macchina che trasporta pellegrini od escursionisti alla cima. È esattamente come nel ’99, quando ero in cammino da Le-Puy; anche allora salivo con un forte vento contrario, la sola differenza, era che la temperatura era più gradevole. Quando giungo alla grande sella ed alla piccola cresta di roccette dove si eleva la statua delle Vierge de Biakorre, per poterla toccare mi devo aggrappare alle rocce strisciando su di esse per non essere strappato via!! Due pellegrini tedeschi, un passo dopo l’altro, procedono con grande fatica; manca ancora parecchia strada per arrivare al punto (segnato da una croce di pietra), da cui si devia a destra per risalire il grande prato verso la cresta di rocce che scavalca il monte discendendo verso la frontiera ed entrando in Navarra, in Spagna. Quando vi arrivo, qualche pellegrino si sta riposando al riparo di rocce, mentre un folto gruppo di persone, già alla cresta, è fermo, costituendo una macchia rossa, gialla e blu al grigio delle rocce del valico. Il cielo è gremito da grosse ed immobili nubi grigio-blu sospese poco sopra la testa, ma non sembra abbia voglia di piovere, almeno per il momento. Scavalcato il valico, raggiungo il folto gruppo di persone che erano ferme; sono degli escursionisti svizzeri, diretti al Col d’Ibaneta e poi a Roncisvalle, portati quassù dai pulmini che mi avevano superato durante la salita. Il pensiero va a mia figlia Alice, che nel ’98 era con me su questo stesso percorso; a differenza di oggi, allora il tempo fu veramente pessimo, con freddo e nebbia fittissima che ci impedì di ammirare il panorama splendido delle vallate ai nostri piedi, ma anche alla fatica che dovette fare subito il primo giorno di cammino! Per un buon tratto di sentiero mi accompagno ad una escursionista svizzera che parla italiano, mentre il vento sebbene sia schermato dalla costa del monte Txangoa e dalla fitta querceta che ricopre le sue pendici, aumenta ancora, facendomi decidere di allungare il passo verso Roncisvalle, temendo l’incombente apertura delle cateratte da parte di Giove Pluvio, assolutamente non gradita in questi frangenti. Giunto al punto di intersezione del sentiero che, a destra, porta al Col d’Ibaneta, la maggior parte degli svizzeri lo segue, mentre io mi infilo nel grande bosco sul sentiero che porta alla Collegiata, ingombro di foglie e di rami spezzati che il forte vento accumula. Qualche inatteso raggio di sole si fa strada tra le nubi e le fronde degli alberi mentre discendo ora senza fretta; la memoria non mi soccorre in questi momenti, e sebbene lo abbia già percorso due volte,nel ’98 e ’99, non riconosco la maggior parte dei luoghi. Incontro parecchie persone che lo risalgono intenti a raccogliere funghi, inducendomi a supporre di essere quasi giunto alla meta, ma devo camminare ancora parecchio, fermandomi qualche volta per scattare delle foto ai bei funghi che scorgo ai piedi di querce o addirittura cresciuti nelle spaccature delle stesse. Quando giungo alla Collegiata sono le 14 e purtroppo, non è cambiato nulla all’accoglienza; bisogna comunque attendere le 16 prima che l’ufficio venga aperto. Alle 15, a conferma dell’estrema variabilità del tempo odierno, si scatena il furioso temporale che aleggiava da questa mattina su tutta la zona, e mano a mano che i pellegrini arrivano bagnati fradici, mi rallegro della mia decisione di aver forzato la marcia. Quando viene aperto l’ufficio, ad ognuno viene dato un modulo da compilare ed un foglio con il numero della branda posta nel rifugio, che ora, a causa dei lavori di ristrutturazione in corso nel complesso della Collegiata, è situato aldilà della strada, dove anni fa era il museo e la libreria, di fronte alla Collegiata stessa. Esso è molto ben disposto, con circa 200 brande disposte in letti a castello, ed i locali per i servizi,al piano inferiore; vi sono telefoni, una zona cucina ed una lavasciugatrice. Veramente encomiabile!! Il forte acquazzone dura fino alle 19, poi il cielo si apre di nuovo permettendo al sole di far risplendere questo sito carico di suggestione e di leggenda. Alle 20 vi è la S.Messa nella chiesa della Collegiata, concelebrata da tre sacerdoti, ed al termine, vi è la Benedizione per i pellegrini in partenza sul Cammino alla volta di Santiago. Sebbene sia la terza volta che vi assisto, non posso fare a meno di sentire una forte emozione che mi da i brividi, facendomi capire, che è questo il vero cammino di Santiago, il Cammino che tutti questi pellegrini presenti, sospinti da una necessità a volte non chiaramente razionale, hanno sognato o temuto di dovere percorrere, ed i perché e le conseguenti risposte, li scopriranno cammino facendo, passo dopo passo, giorno dopo giorno. Dopo una buona cena al Restaurant, ritorno al rifugio trovandolo parecchio affollato; ed alle 21,30, vi sono ancora pellegrini che arrivano…..! Mai avrei pensato che così tanti pellegrini avrebbero avuto l’idea di mettersi in cammino ai primi di Ottobre, ma evidentemente, il grande caldo estivo ha condizionato anche le loro scelte, e non soltanto le mie…. Alle 22, il grande rifugio spegne le luci, e poco dopo, comincia la notte dei russatori, vero flagello per non pochi, che, dopo qualche fievole e sfiduciato richiamo, infilano anche la testa nei sacchi a pelo, adattandosi ad accettare una delle tante e non ancora conosciute “fatiche” del Cammino…

Venerdì 03-10-03. 42° tappa. Roncesvalles – Larrasoaña. 27 Km. Refugio para peregrinos. Señor Alcalde. Tel: 948 30 42 42.

Nei Restaurant di Roncisvalle, prenotando il menù del pellegrino, dopo i gustosi “macarrones”, non vi è modo di sottrarsi al menù che prevede solo la trota, la quale sebbene cucinata a dovere con contorno di patatas fritas, non viene in soccorso delle forze di cui il pellegrino, avrà bisogno, ma forse oggi è venerdì….; la prossima volta che ci ritorno, farò in modo di capitarvi in altri giorni, chissà mai….! Nonostante la folla, nel rifugio si è dormito abbastanza bene, ed alle 6,30 inizia il classico rituale delle luci saettanti di chi è già intento alla preparazione dello zaino. Ha piovuto fino a notte inoltrata, ed alle 07, ancora buio pesto, il rifugio accende le luci dando il via al frenetico andirivieni verso i servizi. I pellegrini di primo pelo si intuiscono dalle facce stralunate e stupite, sia per l’ora della sveglia ma anche per lo sguardo perso, tipico di chi si domanda se arriverà alla fine della tappa… ora è veramente giunto il tempo di incamminarsi contando solo sulle proprie forze…. Il sentiero non sarà rischiarato dalla luce del giorno prima delle 08, e sicuramente inzuppato dalla pioggia di questa notte, quindi stanco di attendere oltre in questa folla che si aggira per il rifugio, decido di percorrere la carretera fino ad Esquinal e da lì, proseguire sul sentiero. Alle 7,15 mi incammino discendendo la carretera, passando davanti alla “Cruz Vieja”; il tempo è molto brutto e la temperatura bassa, ma la pioggia per il momento non cade. Non ho nessuno davanti a me, ma altri pellegrini mi stanno seguendo camminando sulla carretera oscura come la pece, percorsa da vetture e da camion che rispondono al lampeggiare della pila del pellegrino abbassando i loro potentissimi fari abbaglianti. Dopo un’ora di cammino, si apre il sipario sullo splendido paesaggio della Navarra, ad anche le nubi si diradano dando una luce violacea, irreale e fantasmagorica ai profili delle colline. Risalendo e discendendo il sentiero a volte fangoso nel sottobosco, raggiungo Espinal, entrando nel bar posto a sinistra nella piazzetta, quasi nascosto alla vista; vi sono due gendarmi della Guardia Civil intenti alla colazione, cosa che faccio anch’io chiedendo due grandi tazze di caffèlatte e due ciambelle zuccherate; alla signora chiedo di prepararmi anche due bocadillos al formaggio da portare via. E’ è la medesima che nel ’98 e ’99 mi preparò due enormi panini, e mi fa piacere rivederla ancora in ottima forma e cortese come solito. Riprendo il sentiero salendo verso Viscarret quindi Linzoain da dove si inizia la salita verso l’Alto de Herro tra pini e quercete raggiungendo il passo di Roldan, iniziando la discesa verso il villaggio di Zubiri che si raggiunge attraversando il fiume Arga sul bel “Puente de la Rabia” di architettura gotica. Anticamente secondo la leggenda, gli abitanti al fine di proteggere gli animali dalla rabbia, li facevano girare tre volte attorno al pilone centrale; potere taumaturgico attribuito alle spoglie di Sainte-Quitterie sotterrate sotto il ponte…. Il cammino non lo attraversa, ma io sì per andare ad acquistare i viveri presso il piccolo negozio posto a qualche decina di metri dopo il ponte. Riattraversato il ponte, riprendo il sentiero, ora illuminato dal sole, che sale a mezza costa sulla collina costeggiando il percorso del fiume Arga. Seguendo le amate frecce gialle, raggiungo Larrasoaña attraversando il “Puente de los Bandidos” sul fiume Arga, anch’esso di architettura gotica risalente al XIV sec. Il suo nome fa chiaramente intendere che essendo questo il luogo dove i pellegrini erano obbligati a transitare, i banditi li attendevano spogliandoli da ogni bene che avevano con sé. La bella chiesa dedicata a San Nicola di Bari sin dal XIII sec. attende i pellegrini che si dirigono al rifugio attraversando la Calle Mayor. Vi arrivo alle 13, è ancora chiuso, ma poco dopo, giunge il Sindaco, Santiago Zubiri, figura mitica di questo pueblo che incarna il vero innamorato del Cammino di Santiago al quale dedica tutto il suo tempo libero gestendo con amore e dedizione il rifugio. Sono il primo pellegrino giunto oggi, così ho il tempo di sistemarmi con calma e di lavare gli indumenti che complice il maltempo a Roncisvalle, ora necessitano di una insaponata. La forte brezza che nel frattempo si è levata ed il sole che ancora resiste si incaricheranno di asciugarli, mentre giungono le avanguardie del folto gruppo di pellegrini che non hanno fatto tappa a Zubiri. In breve il rifugio ha i letti tutti occupati da francesi, spagnoli e due americani. Seduto con l’americano sotto la tettoia del cortiletto cerchiamo di conversare nella sua lingua, ed il potere del Cammino, è anche questo; riuscire a comprendersi sforzandosi in mille modi di superare la difficoltà della lingua. Egli è un architetto che vive e lavora nel Massachussets, ed è venuto sul Cammino perché ama queste architetture cariche di storia che il cammino propone. Le grandi Cattedrali, il nucleo più antico delle città con le sue case gravate da secoli di storia, i ponti ed i villaggi sperduti ma carichi di gloria e di splendori passati. Scrollando il capo mi spiega che la sua Nazione da questo punto di vista è poverissima, non ha una sua Storia, niente che rassomigli in qualche modo all’Europa, da lui eletta a fonte di cultura architettonica; come dargli torto? In questo momento il Cammino per lui è questo; riscoprire i gioielli architettonici che folle di pellegrini portatori di cultura, oltre che di fede, hanno permesso di far sorgere lungo il suo tracciato attraverso i secoli. A cena nel Restaurant-Bar posto al termine della Calle Mayor bisogna darsi il turno; tanti sono i pellegrini e le molte lingue che si odono, e la quasi totalità di essi, tende ad accompagnarsi con i propri connazionali formando delle piccole comunità allegre che si raccontano l’un l’altro le vicissitudini della prima tappa. Quando rientriamo al rifugio, trovo che è al completo con circa 60 pellegrini disposti anche al piano superiore, mentre gli ultimi arrivati stendono i loro materassini sul pavimento, con Santiago che, instancabile, si preoccupa di far trovare posto ad ognuno di loro.

Sabato 04-10-03. 43° tappa. Larrasoaña – Puente la Reina. 40 Km. Refugio P.P. Reparadores. Tel: 948 34 00 50.

Anche questa notte, al momento di spegnere le luci, qualcuno già russava; cosa che faceva sbellicare dalle risa due ragazzine tedesche, le quali non comprendevano che erano loro con le loro risatine soffocate ad impedire agli altri di dormire, e non gli ignari e serafici russatori…. Pioggia anche questa notte, ed al mattino alle 6,30 guardando fuori verso il monte Miravalle, dei deboli lampi guizzavano nell’oscurità del cielo. Alle 07 decido di proseguire sulla carretera fino a Zabaldica ed aspettando che il cielo schiarisca mi dirigo al bar per la colazione trovandovi già dei pellegrini. Una grande tazza di bollente cafè con leche e delle ciambelle con cioccolato serviti con allegria del dueño mi permettono, già coperto con gli impermeabili, di partire sveltamente infilandomi sul nero nastro di asfalto. È sabato, e la carretera è poco trafficata a quest’ora. Vorrei fermarmi a Cizur Menor, un bel rifugio dove non mi sono mai fermato, ma Santiago Zubiri, l’Alcalde di Larrasoaña, ieri mi aveva detto che il rifugio tenuto dei Cavalieri dell’Ordine di Malta, nostri confratelli, è già chiuso. Così passo dopo passo, visto che il tempo è brutto e permette di viaggiare veloci senza sudare, maturo la decisione di proseguire fino a Puente la Reina, anche per staccarmi dal troppo numeroso gruppo di giovani pellegrini tedeschi che, ospitati ieri al piano superiore del rifugio di Larrasoaña, hanno fatto baccano fino a ora tarda. Cammino così nell’oscurità della carretera avvolto dagli impermeabili per ripararmi dalla fredda nebbia che, carica di umidità mi lava il viso e gocciola dai baffi. All’entrata di Zabaldica, faccio una piccola sosta dove è la zona picnic e i servizi, poi seguo il sentiero basso che, tagliando la costa del monte Narval, si ricongiunge, poco dopo il villaggio di Atleta, a quello che corre in alto, più faticoso e ripido. Arrivo alla cittadina di Trinidad de Arre, al bordo del Rio Ulzama che supero sull’antico ponte a sei arcate davanti alla famosa Basilica, anticamente conosciuta per la sua tradizione ospitaliera (oggigiorno completamente dimenticata). La cittadina di Burlada, mi vede passare nella bella Calle Mayor, dove sorgono gli edifici riccamente decorati della “Escuela de Peritos Agricolas de Navarra”, con il tempo che sta cambiando in meglio ed una forte brezza che apre ampi spazi di cielo azzurro. Eccomi di nuovo davanti al mitico “Puente della Magdalena” che scavalca il fiume Arga, indirizzandomi sotto gli imponenti muraglioni della città di Pamplona; sono in fase di restauro, ed una buona parte di essi sono cintati da reti e transenne che proteggono alte impalcature. È sabato oggi, e vi è una moltitudine di persone nelle sue vie; mi dirigo verso il rifugio che è ospitato accanto alla Cattedrale di San Sernin, notando che apre alle 13,30, ma ancora non vi sono pellegrini in attesa. Attraverso tutta la città, incontrando tre ragazze, pellegrine tedesche, che hanno dei problemi di orientamento alla zona universitaria, interessata da imponenti opere di urbanizzazione, indirizzandole verso il cammino che conosco bene. In fondo davanti a me, scorgo la fuga di colline della Sierra del Alto del Perdon, dove, bianche e spettrali, spicca una lunga teoria di alte torri eoliche. Quando arrivo a Cizur Menor, vedo con rammarico che il rifugio è veramente chiuso; è un vero peccato, avrei voluto fermarmi qui volentieri, anche per avere il loro “Sello”(timbro), sulla mia credenziale! Il sentiero per arrivare alla Sierra del Perdon, lo percorro chiacchierando in compagnia di una turista austriaca, in vacanza in città, che parla spagnolo; era stanca di stare in città con troppa folla, allora eccola qui a scarpinare su questo sentiero, infido per il fango, estremamente sdrucciolevole ed accarezzato da robuste folate di vento che fanno girare vorticosamente le poderose pale delle torri. Finalmente sulla sommità, prendo un caffè lunghissimo che un camperista, astuto ed un poco esoso, offre ai pellegrini infreddoliti ma estasiati davanti al panorama che si ammira verso la lontanissima Puente la Reina. Scendendo il sentiero pietroso verso il piccolo pueblo di Uterga, incontro dei gruppi di cacciatori che, sparsi sulla costa della Sierra, si tengono in contatto con delle ricetrasmittenti. Poco prima di giungere al pueblo di Obanos, un acquazzone maligno mi costringe sveltamente a ricoprirmi ed a rifugiarmi poi sotto il suo Arco. Giungo finalmente sotto il sole caldo a Puente la Reina, dove con mia grande sorpresa, trovo che il rifugio dei P:P. Reparadores, è stato completamente rifatto, bellissimo e funzionale come pochi altri!! Vi sono già numerosi pellegrini, ma non vi sono problemi di alloggiamento, cosi trovo una bella cameretta in compagnia di altri tre spagnoli e di due bikers, anch’essi spagnoli. Rapidamente faccio anche il bucato, approfittando del sole e del vento affinché asciughi, quindi passeggio per le calles del pueblo che conosco abbastanza bene, attardandomi nella chiesa del Crucifijo davanti al Cristo sulla croce di origini Renane. La lunga Calle Mayor, ha avuto la pavimentazione completamente rifatta fino al famoso ponte “de los Peregrinos” che scavalca il fiume Arga, fatto costruire all’inizio del secondo millennio dalla regina Doña Mayor sposa di Re Sancio III°, al fine di facilitare il passaggio del fiume al grande numero di pellegrini diretti a Santiago. Alla sera, una buona cena presso il bar Valdizarbe mi da nuove energie necessarie per la tappa di domani verso Los Arcos, anch’essa di 40 Km, poiché, visto che il tempo è il più delle volte brutto, e le giornate si accorciano sensibilmente, ho deciso di fare tappe abbastanza lunghe, al fine di arrivare a Santiago entro la fine di Ottobre, sperando che d’ora in avanti i giorni di bel tempo mi siano amici e compagni di viaggio.

Domenica 05-10-03 44° tappa. Puente la Reina – Los Arcos. 40 Km. Refugio Municipal. Tel: 948 64 02 30.

Che differenza con il vecchio rifugio! Allora vi erano delle dure assi per materasso e la camerata stretta con i letti disposti a quattro per castello; ora invece una bella cameretta dove vi sono sei letti con dei buoni materassi…. Anche il Cammino cambia, e va incontro alle esigenze di pellegrini meno disposti a soffrire quando giunge il momento di riposare…. Anche questa notte, rombi di tuono e vento forte hanno disturbato i pellegrini; forse è un anno climaticamente anomalo, ma devo confessare che anch’io, sebbene disposto a sopportare il clima avverso, ne sono un poco stufo, non permettendoti di apprezzare i luoghi ed i monumenti, unici al mondo, che qui vi sono. Alle 07 in cucina vi è un discreto via vai di pellegrini intenti ai fornelli ed alla consultazione delle cartine tra panini e tazze di fumanti tisane; Una tazza di Nescafè caldo e due tarte zuccherose sono la mia colazione assistendo un poco esterrefatto a delle colazioni estemporanee e copiosissime, tipo ultimo desiderio del condannato, da parte di un gruppo di pellegrini francesi già in là con le primavere. Albeggia appena quando metto piede e zaino fuori dal rifugio; il cielo è ancora indeciso sul da farsi per oggi e, beffardo, sicuramente aspetta la truppa di pellegrini in un posto senza riparo per metterli a mollo, incurante delle preghiere che elevo per me e per tutti gli altri a questo riguardo. Il sentiero è ripido e scivoloso; anche qui vi sono dei cantieri aperti per rimetterli in sesto in vista dell’Anno Santo 2004, ma nel frattempo bisogna assolutamente fare in modo di non scivolare, visto che gli scarponi hanno già un Kg di fango argilloso appiccicato alle suole. Passo da Mañeru, per arrivare al bel pueblo di Cirauqui (significa “nido di vipere in lingua basca), e discendere sui resti della “Calzada” e del ponte di origini Romane recentemente restaurato. Incontro pellegrini giapponesi che camminano sulla carretera, mentre altri più avanti sono indecisi sul da farsi. Il tempo peggiora repentinamente con folate di vento che portano pioggia e subitaneamente sprazzi di sole, mentre un magnifico arcobaleno si leva dalle alture di Arandigoyen, facendo da contrasto alla scura nuvolaglia. Penso a questo sentiero che percorsi nel ’99, e che ora ricordo a malapena; molto largo e pietroso, cavalca le colline che discendono a Estella ricoperte da filari di bassi vigneti ancora provvisti da grappoli di uva dagli acini rossastri. Colpi di fucile di cacciatori celati nelle basse boscaglie, rimbombano tra le terra e le basse nubi, ed a volte qualche cane ansimante con la coda preda della frenesia, sbuca di botto dai cespugli facendomi sussultare. Quando entro in Estella, discendendo su una strada asfaltata, parecchie persone si stanno dirigendo alla chiesa di San Miguel per la Messa, mentre due pellegrini che camminano davanti a me, padre e figlia, mi chiedono che pueblo sia questo. «Estella, naturalmente» rispondo loro, poi guardandoli meglio quando passo accanto, vedo che sono in precarie condizioni di salute; gli suggerisco di fermarsi almeno un giorno in più in questa bella cittadina, e di riposarsi approfittando delle bellezze artistiche che essa offre. Annuendo con il capo, mi ringraziano con una stanco sorriso dicendomi che forse prenderanno l’autobus per Logroño e fermarsi là. Bella cittadina Estella, con un bel rifugio e molte cose da ammirare, tra le altre, il Ponte dei pellegrini che scavalca il Rio Ega. Passo davanti al rifugio salutando tre pellegrini seduti sul marciapiedi che attendono l’apertura, poi risalendo la calle de la Rúa mi dirigo verso il cammino che a sinistra passa dal Monastero di Irache, tralasciando quello che a destra passa da Ayegui; la ragione è semplice; vorrei attingere alla famosa “Fuente del vino”, dove una casa vitivinicola, offre ai pellegrini di passaggio la possibilità di sorseggiare il suo ottimo prodotto in un piccolo sito costruito alla bisogna, fornito da due rubinetti dai quali sgorga l’acqua ed il vino. Naturalmente, non vi sono solo pellegrini che approfittano con molta allegria del nettare, ma anche abitanti del luogo che al termine della passeggiata, si ristorano senza eccedere, decantando le virtù (taumaturgiche, per i pellegrini, a loro dire) del vino. Il bellissimo Monastero, l’avevo già visitato nel ’99, così dopo aver assaggiato il robusto vino, riparto risalendo la collina diretto a Villamayor de Monjardin, attraversando una vasta querceta. Una coppia di ragazzi giapponesi che mi precede, si arresta di botto per prendere delle foto quando, lontana ed illuminata dal sole, spicca la sommità della collina sulla quale sorgono le rovine di quello che era il Castello di Monjardin. L’appezzamento di terreno sul quale in luglio fiorivano i filari di profumata lavanda, ospitanti battaglioni di api ronzanti, ora è completamente spoglio e ciò che resta degli splendidi filari è sparso sul terreno in malo modo. Mi rendo improvvisamente conto che avendo visto il cammino in estate, poi all’inizio dell’estate, in questo anticipo di autunno non lo riconosco come quello che amo; la terra dissodata mi appare squarciata, troppi alberi hanno i rami spogli, le vaste pianure orfane del grano ondeggiante al vento, e nessun profumo durante il cammino. Vi è un senso di malinconia, un qualcosa di già compiuto, di già dato, che mi porta a percorrerlo più in fretta di quello che sarebbe giusto, è come se, sgomento, fossi seduto al fianco di una persona che soffre, in paziente attesa che giungano le medicine per riprendere nuovamente linfa e vigore. Risalendo la collina, raggiungo la “Fuente de los Moros”, una originale costruzione di stile gotico adibita a risorgiva d’acqua provvista di una scalinata che, scendendo, porta fino al prezioso liquido. Raggiungo Villamayor de Monjardin passando accanto alla chiesa di San Andrés, un bell’esempio di Romanico con il campanile barocco che mi ricorda quello di Villafranca Montes de Oca. Il sole sembra che si sia messo di buzzo buono a scaldare, mentre discendo la collina infilandomi in un sentiero che più avanti, diventa estremamente fangoso per via di lavori di rifacimento del cammino in vista dell’Anno Santo 2004; quando ne esco, ho le pedule inzaccherate fino alle caviglie da una massa rossastra di fango che non si stacca. Dei trattori stanno arando degli appezzamenti di terreno alla base delle colline, e le zolle rivoltate dai vomeri, brillano come enormi cristalli; la terra ha dato, ed ora viene messa a riposo in attesa della primavera quando di nuovo rinascerà la vita ed i semi che tra poco accoglierà gelosamente, daranno frutto. Arrivo a Los Arcos di nuovo sotto una tormenta di pioggia e vento che ha preso corpo giusto qualche kilometro prima di entrare nel villaggio, e che termina così come è giunta. Al rifugio vi sono già molti pellegrini, ma trovo posto con facilità assieme ad un pellegrino spagnolo proveniente da Pamplona, che ha dei problemi di vesciche al piede sinistro, poca cosa dice lui, ma vedendo come cammina, credo che debba porre parecchia attenzione alle tappe seguenti. Poco dopo. Arriva anche una pellegrina francese che avevo incontrato sdraiata in un prato poco prima della Fuente de los Moros. È molto stanca e si mette sotto le coperte così come è vestita addormentandosi di botto. Faccio un bella visita al chiostro della chiesa di Santa Maria che non avevo mai visto; se la chiesa è bella, il chiostro che cinge un vasto roseto, non è da meno con le sue colonne collegate da un grandioso e filigranato esempio di gotico fiammeggiante. Alla sera ceno ottimamente al bar di fronte alla stazione di servizio che ha un andirivieni pazzesco di persone di ogni età e di abitanti del pueblo che prendono tapas y tapitas a tutto spiano con generosi boccali di cerveza. Va dato onore ai ragazzi che lo gestiscono, in quanto si sono fatti in quattro per servire gli avventori e tutti i pellegrini molto velocemente e ad un costo più che accettabile.

Lunedì 06-10-03. 45° tappa. Los Arcos – Logroño. 28 Km. Refugio Municipal Calle Rúa Vieja. Tel: 941 26 02 34.

Ieri dopo cena quando sono rientrato al rifugio, un gruppo di spagnoli, aveva giusto terminato di cucinare macarrones con tomato e arrostire un metro di chorrizo, lasciando un intenso profumo che, nonostante avessi appena terminato di cenare, avrei potuto ricominciare di nuovo a maneggiare coltello e forchetta!! Nella cameretta, ritrovo la pellegrina francese che si è destata a causa del notevole brusio in cucina; gli domando perché mai ieri, sentendosi cosi tanto stanca, non si fosse fermata a Villamayor de Monjardin. Mi risponde candidamente che non sapeva che ci fosse un rifugio, e nel pueblo non ha incontrato nessuno al quale domandare, così anche se sapeva che mancavano ancora 12 Km si era rimessa in marcia, rischiando parecchio, poiché tra Villamayor e Los Arcos, non vi sono pueblos, e neppure una strada dove qualche anima gentile possa darti un passaggio in macchina! Al mattino, la sveglia per tutti è alle 07, ma già parecchi pellegrini delle altre camerate si erano messi in marcia anzitempo, a dire il vero con poco chiasso. Oggi la tappa per me è abbastanza corta poiché vorrei fermarmi domani ad Azofra, così, invece di fermarmi a Viana, che non avevo mai visitato, oggi proseguirò ancora per 9 Km fino a Logroño, avendo così due tappe di lunghezza accettabile. Dopo aver fatto una ottima colazione al medesimo bar di ieri sera, riprendo la via indossando anche il pile perché fa parecchio freddo, guardando il cielo magnificamente sereno che fa sperare in un giorno finalmente caldo e senza pioggia. Si esce da Los Arcos, passando davanti al cimitero, dove, come viatico di viaggio e meditazione per il cammino, sulla porta vi è questa frase sibillina e profetica « Io fui ciò che tu sei, tu sarai ciò che io sono ». Mi incammino tranquillamente verso il villaggio di Sansol ammirando il cielo dai colori che variano dal blu profondo al lilla, disteso come una coperta sull’ampio orizzonte. Giungo a Sansol salendo o scendendo in qualche “barranco” ripido e pietroso arrivando poi al bel villaggio di Torres del Rio, davanti alla splendida Iglesia del Santo Sepulcro. A poca distanza, vi è il rifugio della consorella Carmen, ma è chiuso per restauri. Mi reco alla chiesa per vedere se sia aperta, trovando un cartello posto sulla porta che dice, se si vuole visitarla, di suonare il campanello di una signora che abita poco distante; sono solo le 9,30, così guardando i vari nominativi posti sui cancelli e non trovando il nome della signora, penso bene di non disturbare nessuno e di ripartire, anche se mi dispiace, rimandando la visita ad un altro anno. Il sentiero prosegue tra macchie di brughiera aggrappate alle pendici delle colline terminando davanti alla Capilla de la Virgen del Poyo; si attraversa la carretera, risalendo faticosamente un’altra erta collina sbucando in alto sulla piana coltivata a vigna ed olivi. Un canto si leva lungo il sentiero davanti a me; sono due ragazze tedesche che fanno parte di un gruppetto di giovani pellegrini provenienti da Düsseldorf sparsi lungo il sentiero; hanno iniziato il cammino a Pau in Francia, ed una volta arrivate a Léon ritorneranno a casa per terminarlo l’anno seguente. Entro in Viana fermandomi al bar per due tazze di café con leche e postres zuccherosi che formano il pranzo, ripartendo poi per visitare la chiesa di Santa Maria. Esco da questa bella cittadina lasciando la Navarra ed entrando nella Rioja con il sole caldo e brillante che mi accompagna mentre saluto diversi pellegrini in bicicletta di indefinita nazionalità; sicuramente sono diretti, con poche difficoltà di percorso, a Santo Domingo de la Calzada a circa una cinquantina di Km. Entro in Logroño alle 13,30, calcando il “Puente de Piedra”, che scavalca il fiume Ebro dirigendomi subito al rifugio posto nel “Casco Antiguo”( la parte più vecchia della città), trovando già parecchi pellegrini che attendono l’apertura. Gli ospitalieri, senza attendere l’orario ufficiale di apertura delle 14, aprono la porta laterale permettendoci di accedere e di sistemarci nelle camerate, fornendo ad ognuno un numero che indica il letto a lui destinato; un buon metodo che evita talvolta discussioni tra pellegrini di dubbia pazienza e poca tolleranza. Il pomeriggio è giovane, quindi approfitto per fare il bucato, poi girovago per la città notando parecchi figuri dall’aria e dal comportamento poco raccomandabile che ciondolano nei pressi del rifugio; ve ne sono anche nella grande Plaza del Mercado sulla quale si affaccia la Cattedrale di Santa Maria de la Redonda, dalla facciata coperta da impalcature. Avevo avuto notizia che a Burgos nel rifugio di El Parral, posto nel Parco presso l’Hospital de Rey, vi erano stati episodi di teppismo nei confronti di pellegrini, ed ora vedendo queste persone nullafacenti ciondolanti nei dintorni del rifugio dei pellegrini, le domande sorgono spontanee. Rientro alle 16 per una pennichella, assistendo ad un episodio increscioso; due pellegrini, sicuramente segnalati alla Policia da qualche rifugio prima di Logroño, stanno dando in escandescenze contrastati sia da due gendarmi che dai responsabili del rifugio; la ragazza ad un certo punto si getta per terra gridando che lei è Gesù Cristo, inveendo contro tutto e tutti, mentre il ragazzo se la prende con i poliziotti che evidentemente hanno avuto delle informazioni precise al suo riguardo. Quando, passata la buriana ed allontanati definitivamente i due, chiedo all’hospitalero quale era il problema, egli mi dice che hanno dato parecchi problemi nei rifugi precedenti, e con tutta probabilità sono delle persone che fanno uso di eccitanti, sul cammino per gironzolare a sbafo senza porsi alcun tipo di controllo di sé durante la permanenza nei rifugi. Esco di nuovo per acquistare i viveri per domani dirigendomi verso la Avenida de la Paz dove è l’Ayuntamento, e poi al Paseo del Espolon, uno dei più frequentati polmoni verdi della città. Aiuto!, troppa folla!! E’ una fiumana di persone e di automezzi che affollano i marciapiedi e la larghe Avenidas, per cui mi affretto nei miei acquisti per rientrare al rifugio, riacquistando il senso della pace. Alla sera, in cucina, ceno con pane e formaggio innaffiato da una buona birra e da un caffè offerto da un pellegrino belga, mentre gli spagnoli, bontà loro, occupano per intero tutti i fornelli senza darsi conto di altri, costretti ad attendere parecchio per cucinarsi un pezzetto di bistecca o scaldarsi una zuppa…. Anche questo è Cammino…

Martedì 07-10-03 46° tappa. Logroño – Azofra. 32 Km. Refugio Parroquial. Tel: 941 37 90 63.

I russatori stanotte hanno fatto parecchio chiasso a sentire ciò che dicono i pellegrini alle 6,45 quando il rifugio viene inopinatamente illuminato; bisogna dire che un pellegrino francese che dormiva in alto nella branda accanto alla mia, era già dalle 5,05 che stava preparando lo zaino, cose da pazzi!! Chiedo poi al suo compagno di via se è sempre così ricevendo per tutta risposta una sconsolante scrollata di capo. Nella spaziosa cucina del rifugio vi sono anche i distributori automatici di bevande calde, per cui ne approfitto per prendere due cappuccini che assieme ad un pacchetto di biscotti alla vaniglia formeranno la mia colazione. Sono le 7,15 quando prendo il cammino per uscire dalla città; altri si sono già incamminati ed ora passati accanto alla “Fuentes de los Peregrinos”, posta di fianco alla chiesa di Santiago el Real ci si ritrova a cercare i segnali nella grande Plaza Alférez gremita di automobili parcheggiate in ogni dove; cortesi netturbini ci facilitano il compito indicandoci la via, cosi imbocchiamo la lunga Calle Marqués de Murieta per uscire dalla infinita zona industriale raggiungendo il luccicante Pantano de la Grajera ed ammirando il sole che, sorgendo, incendia la città alle mie spalle ancora illuminata dai lampioni. Il sentiero qui è pietroso ed i piedi ne soffrono quando si inizia a risalire la collina che permette di vedere la città sotto una gigantesca coltre di nubi con il Pantano che assomiglia ad un enorme specchio scintillante. Dall’Alto de la Grajera, guardo il sentiero alle mie spalle che, sinuoso nella pianura, assomiglia ad un serpente bianco tra bassi cespugli e macchie di ginestre rinsecchite, mentre guardando avanti, esso scende rapidamente tra estesi vigneti (che mi vedono cogliere gustosissimi e nerissimi grappoli di uva), verso il sito dove anticamente sorgeva l’Antiguo Hospital de Peregrinos de San Juan de Acre, potendo vedere le fondamenta delle sue mura; alla fine del secolo scorso, il suo Portale ed alcune finestre furono portate al cimitero di Navarrete dove fanno bella mostra di sé. La salita per entrare in Navarrete mi fa sudare, approfittando così del bar posto in posizione strategica per una freschissima CocaCola, incontrando di nuovo il pellegrino super mattiniero alla prese con una bionda birra. Anche qui, trovo aperta la Iglesia de la Asunción, entrando a visitarla. All’uscita di Navarrete, un terzetto di pellegrini spagnoli, seduti sul bordo di un muricciolo all’inizio di una ripida discesa, con i quali avevo chiacchierato seduto nel chiostro di Logroño, mi offrono dei biscotti al cioccolato sollecitandomi a fermarmi “descansando por un ratito”. Sono simpaticissimi e ciarlieri, mi dicono che hanno un amico che li attende in un punto prestabilito delle tappe con la macchina, perché ognuno di essi ha dei problemini; chi alle ginocchia, chi alla schiena ed un altro amico, aggiuntosi ieri con loro, ha un solo braccio, così lo aiutano quando si tratta di fare la doccia e nelle incombenze più disparate. Vedendoli così allegri e veri amici sul Cammino, mi si allarga il cuore, ed anche se non lo do a vedere, mi sento commosso ed emozionato come poche volte…. Anche questo è Cammino….

È lungo e solitario il sentiero che porta a Najera ed il pensiero corre a casa ed ai tanti amici che hanno compiuto e terminato il pellegrinaggio di Confraternita a Lucca; anche se il telefono supplisce alla immensa distanza, non posso fare a meno di sentire l’intenso desiderio di giungere a Santiago per poter ritornare velocemente a riabbracciare i miei cari. Forse il cammino conduce a questo; partire per cercare di trovare un qualcosa indefinibile al momento, una necessità avvertibile ma non chiaramente spiegabile e che in altre occasioni si è quasi giunti a cogliere, ma ora, l’acutezza dello struggimento che provo per il senso di separazione temporale, mi fanno cogliere un lato importante del Cammino; il senso di felicità quando penso al momento del ritorno da dove sono partito, di nuovo a casa, che comprendo essere la vera meta, il “Campus Stellae” quotidiano che il Cammino mi rivela; il partire per apprezzare profondamente ciò che si è lasciato…. Gli occhi ora cercano la vallata dove scorre il Rio Najerilla e le bellissime colline di roccia rossa che danno un’aria cosi unica alla cittadina. Finalmente passo il ponte sul fiume dirigendomi verso il Monasterio de Santa Maria la Real dove è il rifugio, non per fermarmi, ma per dargli un saluto, essendo Najera una cittadina che amo profondamente. Molta folla vi è per le vie, e parecchi sono in coda davanti al Monastero al fine di visitarlo. Risalgo la collina che ripara dal vento la cittadina scorgendo più avanti alcuni pellegrini seduti su un grosso tronco di pino. Sono le 13, così decido di giungere ad Azofra distante 6 Km e di pranzare nel rifugio. Saluto i pellegrini intenti allo spuntino e proseguo arrivando in cima al colle con il vento che alza piccoli turbini di polvere. Nel ’98 percorsi questo sentiero di notte con il naso per aria ammirando la Via Lattea sospesa a pochi metri dalla testa, incurante delle pietre che mi rotolavano sotto le scarpe; uno spettacolo grandioso che rimarrà per sempre legato nella mia mente al Cammino di Compostella. Ora il sole splende e quando raggiungo Azofra risalendo la scalinata della chiesa per giungere al rifugio, mi sento parecchio accaldato. Il rifugio è aperto, vi sono due ragazze bikers, un ragazzo che dorme in una branda ed una pellegrina tedesca intenta a bollire dell’acqua per una tisana. Non è in buono stato questo rifugio, ed i servizi sono ridotti male e poco puliti, ma trovo posto e tanto mi basta, così mi preparo per una buona doccia, quando il ragazzo mi avvisa che non vi sarà acqua nei servizi fino alle 17; ora sono le 14,30, e sono tentato di rifare lo zaino per prendere posto nell’altro rifugio (privato). Sento che non sarebbe giusto, così rimango in attesa che tutto ritorni alla normalità, mentre altri pellegrini arrivano ed anche loro si adeguano all’inconveniente. Alle 17 ecco che arriva l’hospitalera e con lei anche l’acqua alle docce che mancava a causa di lavori nel pueblo. Arriva anche il Cura, fermandomi a parlare con lui riguardo ad un amico comune. Durante la conversazione, egli tocca il problema del rifugio e del perché è così malandato; non vi sono soldi per ristrutturarlo, così i pellegrini potendo scegliere, prendono alloggio in quello privato sottraendo alla Parrocchia i pochi soldi che servirebbero per le prime opere di risanamento… Assisto S.Messa alle 19 ed alle 20 sono al Restaurant per un’ottima cena. Al termine, mi siedo fuori dal rifugio a parlare con il ragazzo francese che mi esprime la sua ansia per gli avvenimenti che avvengono in Medioriente, specialmente per le contrapposizioni che esistono in Francia tra islamici e lo Stato, ed il loro rifiuto, anzi il loro deciso “essere contro” ad una minima forma di integrazione. È rimasto molto costernato da questa situazione, perché, mi dice, lo ha constatata di persona avendo avuto una fidanzata di religione islamica, così, quando si era trovato a parlare di queste cose con lei, ha potuto rendersi conto di quanto aspro fosse l’astio, tanto che anche l’amore tra loro dovette soccombere. Era sul Cammino per stemperare il suo dolore, ma ancora non sapeva darsi pace per l’estremistico senso di appartenenza religiosa della ex fidanzata, che propugnava la sottomissione fisica e teologica degli appartenenti di tutte le altre fedi con qualsiasi mezzo, giustificando persino l’episodio dell’11 Settembre… Anche questo è un lato del Cammino…

Mercoledì 08-10-03. 47° tappa. Azofra – Belorado. 37 Km. Refugio Parroquial. Iglesia Santa Maria. Tel: 947 58 00 85.

La sveglia è data alle 6,30 da due pellegrini francesi e da una tedesca che già si arrabattano in cucina per scaldare l’acqua delle tisane; fosse solo quello, non ci sarebbe niente di anormale, ma loro pensano bene di chiacchierare a voce alta come fossero seduti fuori sulla piazza con conseguente sveglia per tutti gli altri. È questo un lato del comportamento sussiegoso ed egoistico che parte dei pellegrini francesi (specialmente quando sono in gruppo), tengono sul Cammino; non si rendono conto della molestia che arrecano agli altri, oppure, ancora peggio, la cosa gli è completamente indifferente. Alle 7,40 esco dal rifugio discendendo la piazzetta diretto al bar per la colazione, trovandoli ambedue chiusi; è curioso, ma con tutti i pellegrini che vi sono, avrebbero potuto benissimo aprire a turni alterni, dopotutto sono quasi le otto!! È ancora buio, e devo mettere mano alla pila per seguire le frecce gialle, incamminandomi verso Santo Domingo de la Calzada; il tempo è brutto, ma contrariamente al solito fa caldo e, poco dopo, mi devo mettere in pantaloncini corti e maglietta. Memore della sgradita deviazione che a sinistra mi portò a Cirueña nel ‘98, prendo a destra i malagevoli, ed a volte non segnalati, sentieri costeggiando la carretera che corre alta sulla mia destra, ma che portano comunque ad incrociare la ferrovia ed il sentiero proveniente da Cirueña, prima di entrare in Santo Domingo sotto la pioggia inattesa ma di breve durata. Una doverosa visita alla Cattedrale, dove i due volatili, protagonisti della più famosa leggenda del Cammino, godono tuttora di buona salute, poi esco per entrare nell’ottimo bar, posto al termine della via dirimpetto alla Cattedrale, di cui mi sento ormai affezionato cliente. Due fumanti tazze di cafè con leche mi carburano ben bene, poi acquisto anche tre bocadillos appena sfornati, rimettendomi in marcia ancora sotto la pioggia che, beffarda, si alterna al sole. Attraverso il lungo ponte sul Rio Oja, che la leggenda attribuisce allo stesso Santo Domingo, raggiungendo il villaggio di Grañon, entrando ad acquistare dei biscotti in una piccola tienda; non è che ne avessi bisogno, ma volevo scambiare quattro chiacchiere con la proprietaria, riguardo al rifugio ed al Cura che lo gestisce, a quanto riferito dai pellegrini, in modo aderente allo spirito del Cammino. Evidentemente, è tutto rispondente al vero, ma la signora, mi informa che è meglio se mi fermo al rifugio del villaggio di Tosantos, sempre gestito dal Cura, più ampio e confortevole, tessendone le lodi. Sfortunatamente, i miei progetti per oggi sono altri, ma ho immenso piacere che, da quanto ho inteso, qui lo spirito del Cammino è rispettato e tenuto in gran conto, a differenza di quanto succede nei numerosi rifugi comunali o privati che stanno sorgendo come funghi sul percorso, la cui priorità, il più delle volte, è il farsi sfacciatamente concorrenza per il proprio tornaconto. Riparto da Grañon vedendo una decina di pellegrini che si dirigono verso il rifugio, posto al lato della strada, con il vento che tende a rinforzare intento ad ammassare nubi per il temporale incombente. Entro in Redecilla del Camino passando davanti alla chiesa che all’interno, custodisce il più bel fonte battesimale (di origine Romanica), che io abbia visto durante i miei pellegrinaggi. Dopo Casteldigado, mi incammino sulla carretera per non entrare in Viloria de Rioja, poi passata Villamayor, entro in Belorado calcando un bel sentiero che arriva direttamente davanti alla chiesa di Santa Maria dove a fianco vi è il rifugio. Sono le 15; vi sono già parecchi pellegrini, ma trovo posto con facilità accanto a dei giovani spagnoli che hanno dei problemi di vesciche ai piedi. Una doccia calda ed il bucato mi occupano un’ora di tempo, poi quando esco per visitare la cittadina, ricomincia a piovere. Ombrello alla mano, mi aggiro per la grande piazza e le viuzze adiacenti, entrando in una tienda per acquistare i viveri per domani. Poi non resta altro da fare che rientrare umidicci al rifugio in attesa della S.Messa delle ore 19,30, alla quale gli ospitaleri raccomandano di partecipare. È quello che faccio dopo aver cenato alle 19 in un Restaurant affacciato sulla piazza. Il Cura, giovane e moderno, accogliendoci sull’altare dopo la S.Messa, impartisce la benedizione ai pellegrini presenti, intrattenendosi poi per alcuni minuti parlandoci nelle varie lingue. Al termine ci chiede di pregare per lui, quando il nostro cammino terminerà a Santiago. Rientrando al rifugio, sempre sotto una pioggerellina fastidiosa, ritiro il bucato per appenderlo sotto il letto, così che, durante la notte, asciughi sufficientemente da poterlo riporlo nello zaino. Chiedo agli ospitaleri se ad Atapuerca, vi siano rifugi, poiché ho notizie, non certe, della loro apertura, ma essi non sono in grado di assicurarmi nulla, così decidendo di determinare la tappa ad Atapuerca (salvo forzati ripensamenti), alle 22 mi chiudo nel gradito e caldo abbraccio del sacco a pelo.

Giovedì 09-10-03. 48° tappa. Belorado – Atapuerca. 31 Km. Albergue de Peregrinos “La Hutte”, ai piedi della Chiesa di San Martin.

Nel rifugio di Belorado vi erano anche giovani pellegrini giapponesi e statunitensi pieni di entusiasmo ed anche un italiano che oggi farà ritorno a casa con il fiero proposito di ritornare l’anno prossimo. Si è dormito bene nel rifugio, anche se stamattina, ben prima delle 07, quando le luci vengono accese, i soliti francesi, egocentrici e vanesi riuniti in cucina avevano già cominciato a vociare raccontandosi l’un l’altro, i sogni che forse avevano avuto stanotte, in questo spalleggiati stolidamente da un giovane cowboy statunitense che anche ieri sera non avrebbe mai smesso di blaterare e ridere come un grullo con una ragazza, fino a quando gli hospitaleros lo hanno caldamente invitato a tacere. Ecco uno degli aspetti peggiori dei rifugi, anche se qui, gli hospitaleros,si sono dimostrati validi ed hanno agito con fermezza facendo osservare la regola del rispetto vicendevole. Alle 7,30 mi reco in un bar della piazza antistante la chiesa di San Nicolás, che apre proprio nel momento che vi arrivo, prendendo la necessaria colazione. Il tempo sembra buono ed il cielo chiaro mi permette di camminare scorgendo i segnali. Passato il ponte sul Rio Tirón mi avvicino a Tosantos senza entrare nel pueblo che lascio alla destra proseguendo verso Villambistia sull’antico tracciato della calzada; Alcuni pellegrini camminano davanti a me, mentre un altro mi segue a circa 200m, è un bel sentiero che quando entra nel pueblo di Espinosa del Cammino scende attraversando un ruscello accanto alla chiesa parrocchiale de la Asunción dove è una bella e grande fontana con quattro getti che in estate ristorano i pellegrini che sostano volentieri sul suo bordo. Quando arrivo a Villafranca Montes de Oca, il caldo è avvertibile, così mi infilo nel bar per una CocaCola ristoratrice prima di intraprendere la faticosa risalita verso il Monumento a los Caídos, il punto più alto dei Montes. Anche qui, mi ricordo solo alcuni tratti del cammino, ed il percorso mi sembra più lungo e faticoso del previsto; si attraversano folti boschi di querce che anticamente erano il terrore dei pellegrini costretti a valicarli, popolati da banditi e da lupi, cosa che spinse il buon San Juan a costruire lo splendido monastero che ha poi preso il suo nome, e che a lui strenuo difensore dei pellegrini, valse la santità. Ancora adesso è estremamente selvaggio, seppur mitigato da larghe strade tagliafuoco che fanno scorgere larghe fette di cielo, ma se si attraversasse questo paesaggio in una giornata di tormenta o con la nebbia, sono sicuro che sarebbe ancora capace di dare i brividi…. Mio Dio quanto fede avevano allora i pellegrini…. La fuente del Mojapan è secca, e le panchine hanno il brutto corollario di rifiuti lasciati da falsi e maleducati pellegrini; incontro dei cacciatori a spasso con il cane, poi supero una ragazza con uno zainetto modestissimo; la saluto rivolgendole la parola in spagnolo, ricevendo in cambio un accenno di sorriso. In alto al Monumento a los Caídos mi riposo seduto su una grossa pietra guardando dei pellegrini che risalgono faticosamente dal profondo barranco in cui il cammino li ha precipitati; a mio volta li seguo prendendola con calma, ricordandomi di quanto sia ancora lunga la via. Finalmente dopo delle ore di cammino, i larghi sentieri tagliafuoco sembrano discendere facendomi scorgere la vasta piana, mentre un solitario bikers risale sbuffando all’inseguimento del proprio cane, e finalmente, ecco il biancore della chiesa di San Juan che si intravede al termine della discesa che attraversa una prateria di erba secca. Una piccola truppa di persone elegantemente vestite proviene verso di me sul sentiero che porta al monte; sono un gruppo di maturi turisti francesi che si dirigono alla Ermita di Valdelafuente, ma da come sono vestiti e dalle scarpe che portano, non credo che ci arriveranno essendo questa a circa 6 Km….Il Monastero è ancora chiuso, non così il bar in cui faccio volentieri una gradita sosta; già un pellegrino, seduto sotto un ombrellone, attende l’apertura del rifugio, mentre due disgraziati zaini sono gettati in malo modo contro il muro…. Riprendo il sentiero che più avanti, ricordo, si addentra stretto in un bosco di noccioli e querce; quale è la mia sorpresa, quando vedo che è divenuto largo come una carretera per tutta la sua lunghezza! Dalla grande spianata dell’acrocoro, scorgo il villaggio di Agen depositato sul fondo della valle, raggiungendolo senza fretta intanto che, discendendo il colle, apprezzo la fresca brezza che si è levata. Raggiungo il pueblo di Atapuerca dopo una sosta forzata dovuta all’attraversamento della strada da parte di una grossa mandria di mucche strettamente sorvegliate da alcuni cani maremmano-abruzzesi ed altri, grossi e neri, che penso bene di non disturbare nello svolgimento del loro lavoro. Entro in Atapuerca con la brezza che si è tramutata in un forte vento che soffia alle spalle, raggiungendo il rifugio accanto al Restaurant ai piedi della collina sulla quale sorge la chiesa; il rifugio è aperto è vi è un solo pellegrino sotto la doccia. Vi sono parecchi letti a castello, ma il soffitto è fatto di rami intrecciati completamente a vista, un ambiente propriamente rustico adatto ai pellegrini; un biglietto posto sul tavolino all’ingresso, dice di accomodarsi nell’attesa dell’apertura del Restaurant di cui evidentemente fa parte. Dopo aver fatto la doccia ed il bucato, che stendo con cura all’esterno assicurandomi che non venga strappato dal vento, gironzolo per il villaggio intanto che arrivano altri pellegrini. Vi è un altro rifugio, evidentemente più confortevole, poiché alcuni ad un certo punto riprendono gli zaini dirigendosi al centro del pueblo. Dopo una puntata alla chiesa (chiusa), rientro al rifugio, e grande è la mia sorpresa, quando entrano i due pellegrini Olandesi che avevo aiutato ad avere una camera a Vézelay!! Hanno avuto qualche problema lungo il percorso, ma ora il loro cammino procede normalmente; piuttosto sono piacevolmente sorpresi di trovarmi qui, e mi fanno i complimenti per il mio cammino che a loro giudizio è stato molto rapido. A sera il rifugio è al completo, e dopo aver cenato al Restaurant, quasi tutti si ritirano nelle brande, al riparo dal vento che non ha mai smesso di soffiare sin dal primo pomeriggio. Una tappa questa che ho apprezzato molto per il paesaggio, ma che mi ha riservato la graditissima sorpresa di rincontrare i due pellegrini Olandesi incontrati un mese e mezzo addietro a Vézelay… Avvenimenti gioiosi elargiti dal Cammino…

Venerdì 10-10-03. 49° tappa. Atapuerca – Hornillos del Camino. 35 Km. Refugio de Peregrinos. Centro Cultural San Roman. Accanto alla Chiesa.

Ieri sera, al restaurant, avevo cenato con Paco, un pellegrino madrileno di circa 60anni, simpatico e socievole che non gli è parso vero di raccontarmi, rivivendoli, gli avvenimenti incredibili e sfortunati avuti tre anni fa, lungo il cammino Aragonese proveniente dal Passo del Somport. Accaduti lungo le sponde dell’Embalse di Yesa, in quanto per dei lavori di sbancamento, il sentiero che gli era stato indicato, sul lato opposto a quello reale, era finito nel nulla; naturalmente, è una regione desertica, aveva poca acqua y “tambien tenia una cabeza muy dura”, per cui aveva enormemente sottovalutato il pericolo di perdersi tra i barrancos e le colline che non gli consentivano di valutare la direzione. Aveva scelto allora di scendere sulla costa del lago, rischiando parecchie volte di scivolare in acqua, pur di seguire le sue rive arrivando alla fine dove era sicuro di ritrovare il sentiero ufficiale. Senza acqua e con la paura che gli prendeva lo stomaco, quando le rive divenivano troppo ripide e si doveva aggrappare agli arbusti per evitare la fanghiglia traditrice, passò un pomeriggio di cui ancora oggi, dice, ne porta le conseguenze fisiche e psichiche. Solo nel tardi pomeriggio, quando incontrò delle persone che non avrebbero dovuto essere là in quel momento, capì che da quell’incubo ad occhi aperti ne sarebbe uscito senza danni irreparabili. Per evitarlo, sarebbe bastato non proseguire testardamente, e ritornare indietro di cinque Km…. ma già, dice, ero un “cabezon”, per cui…. Ho dormito bene in questo rifugio dal soffitto con i “rami” a vista, ma mi sembra un poco tardi poiché i pellegrini sono già in attività, ed anche Paco è già partito; la spiegazione è che tenevo l’orologio al polso ed ero ben rintanato nel sacco a pelo, per cui non ho udito il trillo. Nulla di male, sono solo le 7,20, ed alle 08 salutati gli amici Olandesi ed altri pellegrini con cui ieri sera si era chiacchierato, parto risalendo il sentiero pietroso della Sierra de Atapuerca, dove nel 1992 in alcune delle sue numerose grotte preistoriche, vennero ritrovati i resti umani di colui che è oggi indicato, come “L’Uomo di Atapuerca”, “l’Homo Sapiens” più antico d’Europa. Quando raggiungo la piana sommitale, la città di Burgos è illuminata da un cerchio di luce, dovuto al sole, insinuatosi in uno squarcio delle nubi, apparendo come un gigantesco riflettore acceso. Sembra che sia a portata di piedi, ma la distanza che mi ancora mi separa dalla prima periferia, so, per esperienza diretta, che è molta, circa 16 Km…. Le frecce mi conducono al pueblo di Villaval; so che è errato, ma anche qui, vi sono all’opera i proprietari dei bar dei piccoli villaggi al lato del vero tracciato, i quali dipingono altre frecce segnaletiche, contando sulla non conoscenza del percorso dei pellegrini, per farli passare davanti o verso i loro negozi, altrimenti esclusi dal flusso di pellegrini e, cosa più importante, dai loro Euro. Cosi è in effetti; volevo sincerarmi di persona di questo avendone avuto notizia nel mese di Giugno, quando ero a San Nicolas come hospitaleros. Le segnalazioni, conducono al pueblo di Villaval, poi in Cardenuela, passando davanti a dei bar ben segnalati; spero che il percorso sia stato rifatto di concerto ed in accordo con le Associazioni locali del Cammino…. Il piccolo pueblo di Orbaneja Rio Pico, lo ricordo ancora bene, cosi come la lunga e terrificante (per i piedi) periferia di Burgos; è straordinariamente lunga, e quando arrivo davanti alla Cattedrale di Santa Maria, è con un certo sollievo che mi siedo in basso alla scalinata ammirando la splendida facciata finalmente liberata dalle impalcature che la celavano alla vista nel ’99. Folle di Giapponesi, migrano verso il portale di entrata, regolamentati dalle loro guide ma anche da numerosi agenti della “Policia” che, a piedi o a cavallo, pattugliano tutta la zona bene attenti a farsi notare. Dopo le varie foto di rito, esco dalla bellissima Porta di Santa Maria incamminandomi sulla Avenida del Generalissimo costeggiando il Rio Arlanzon diretto verso il rifugio di El Parral per rivederlo e salutarlo prima di incamminarmi per uscire dalla città. Fa molto caldo, e quando giungo al rifugio, mi faccio una mezza doccia alla fuente; ancora non vi sono pellegrini in attesa, sicuramente in città per visitare i numerosissimi monumenti che essa offre, poiché, credo che per poterla visitare ci vogliano almeno un paio di giorni provvisti di una buona bicicletta! Riparto diretto a Villalbilla de Burgos, piccolo pueblo ormai periferia della città camminando sul bianco sentiero ombreggiato da un rado pioppeto, quindi entro in Tardajos sotto il sole che scotta implacabilmente in un cielo blu cobalto senza alcuna nuvola. Quando entro in Rabé de las Calzadas, ritrovo Paco seduto su una panchina all’entrata del pueblo con in mano una bottiglia di acqua di fonte; lui si ferma qui oggi, in un nuovo rifugio che la mia guida non riporta, così dopo i saluti, tiro diritto per arrivare alla Fuente del Praotorre, dove sgorga una freschissima acqua che mi rimette in sesto. Una doverosa sosta per uno spuntino seduto all’ombra di radi alberi, poi di nuovo in cammino sul sentiero che si addentra nel paesaggio desertico e collinoso che risale la “Cuesta de Matamulos”, appellativo che trovo perfettamente calzante e adeguato. Una furba pernice, mi precede sul sentiero di una decina di metri; è sbucata da alcuni radi cespugli a lato del sentiero, ed ogni venti metri si ferma per vedere se io la seguo, allontanandomi così dal suo nido. Quando ci siamo allontanati di circa 200m, con un rapido frullo d’ali si invola a pochi metri di altezza dai campi, ritornando al nido, facendo un largo giro. Anche la discesa dalla “Cuesta” è faticosa sopratutto per via delle pietre che rotolano sotto i piedi, ma alla fine, ecco che entro nella Calle Real di Hornillos del Camino, incontrando una coppia di pellegrini francesi, già ben lavati e stirati seduti sul muricciolo del Rio Hornazuela; chiedo loro se il rifugio è aperto e se vi sia posto, ricevendo un allegro e gradito assenso. È una coppia di circa 50 anni di età, sul Cammino per il loro 25° anniversario di matrimonio, abitanti in un villaggio dalle parti di Clermont-Ferrand. Prendo posto nel rifugio dove già ci sono delle coppie di pellegrini tedeschi ed altri francesi; rifugio che è situato a fianco della chiesa e tenuto dall’Alcalde che lo gestisce. È molto bello ed è grande, dotato di molti letti e di una zona pranzo-cucina da far invidia a numerosi rifugi di città. Una buona doccia, poi il bucato, quindi entro, per mangiare una “raciones” di formaggi e chorrizo, nell’unico bar-restaurant del caratteristico pueblo, dalle case costruite unicamente ai lati della Calle Real. Dopo il breve tour turistico del pueblito, attendo che aprano la chiesa per visitarla, ma evidentemente, la persona incaricata oggi non c’è, così alle 19,30 mi ritrovo con tutti i pellegrini al restaurante per una ottima cena, scambiandoci notizie ed avvenimenti sui rispettivi percorsi, mentre la signora, accendendo la televisione, ci permette di vedere che domani avremo un meteo bellissimo, cosa che rallegra tutti i commensali-pellegrini, un po’ meno gli avventori-agricoltori seduti al bancone del bar…

Sabato 11-10-03. 50° tappa. Hornillos del Camino – San Nicolás de Puente Fitero 38 Km. Hospital San Nicolás de Puente Fitero. Confraternita San Jacopo di Perugia

Alle 07 il rifugio è in agitazione, ed alle 7,20 sono il primo a metter il naso fuori dal rifugio, mentre le tedesche si attardano di nuovo sotto la doccia; il bar è chiuso, così fino al Pueblo di Hontanas non incontrerò anima viva, solo terreno e coltivazioni, colline e valloncelli da cui risalire o discendere. Mi incammino quando il buio cede appena il passo all’alba che illumina di blu e lilla il cielo perfettamente sgombro da nuvole. Risalendo il sentiero, passo accanto a innumerevoli montagnole di pietre che i pellegrini posano le une sulle altre formando delle spettacolari ed artistiche piramidi che nella luce cangiante dell’alba, paiono dei fantasmi a guardia del sentiero. Vi è il fenomeno dell’inversione termica, ed ho le braccia quasi ghiacciate per cui mi devo fermare per indossare il pile, e guardando il termometro che ho al polso, vedo che vi sono circa 13 gradi di temperatura; che differenza tra il pomeriggio di ieri, quando mi ero rifugiato all’ombra degli alberi alla Fuente del Praotorre!! Un silenzio sepolcrale mi accompagna mentre attraverso queste lande desertiche che si alternano ai campi già arati e ad altri che ancora innalzano i miseri monconi delle loro coltivazioni. Passo accanto alla Fuente Sambol, a circa 150m dal sentiero, dove un grande cartello pubblicizza il suo rifugio e la sua fuente con una piscina; posta a mezza strada tra Hornillos e Hontanas; più volte ha dato rifugio a pellegrini stremati dal torrido caldo agostano che affrontavano questo tratto senza una adeguata provvista di acqua. Di nuovo risalgo la collina per camminare verso dei piccoli boschi di querce nane o dei monticelli di pietre che nascondono piccoli greggi di pecore, che senza l’abbaiare dei cani, non si riuscirebbe ad indovinare. Dopo l’attraversamento della piccola carretera che proviene da Olmillos de Sasamón, unico segno di civiltà in questa vasta landa, il cammino si avvia in discesa verso Hontanas, senza scorgerlo finché gli si arriva sopra, essendo nascosto al fondo di un vallone. Il rifugio è ancora chiuso, solamente Vittorino, un tipo originale, notissimo a molti pellegrini, che conduce una specie di rifugio-bar, si sente quando passo per la calle; sta altercando con qualcuno in casa, così rimando di salutarlo se lo incontrerò nel corso del giorno, lasciandolo aggiustare con calma i differenti punti di vista con l’altra persona… All’uscita da Hontanas, prendo il sentiero che, completamente al sole e correndo a mezza costa sulla collina di destra, conduce verso Castrojeriz; mi accorgo che non è un buon affare (il sentiero), quando il caldo ed il calore che si alza dall’erba secca, mi fanno guardare con invidia la carretera bordata da alberi che mi avrebbero dato volentieri la loro rada ombra. Finalmente, transito sotto il grande portale che fa parte delle rovine del Convento di San Antón; un grande convento di architettura gotica, dove un mio amico pellegrino, Ovidio Campos, ha da poco installato uno spartano rifugio, coadiuvato dalla Associazione degli amici del Cammino di Madrid, al fine di provvedere ad una prima ristrutturazione che ne impedisca la totale rovina. Entro in Castrojeriz seguendo il percorso che le frecce mi impongono, arrivando infine alla piazza dove sotto il bel porticato vi è il negozio dell’amico Amancio; è stupito di rivedermi dopo appena tre mesi, ma quando gli dico che sono qui in cammino, e non come hospitalero, mi abbraccia forte forte. Vado poi a salutare Josè e Santiago, gli hospitaleri che a pochi metri da qui, gestiscono il rifugio di San Esteban; Santiago è andato a Burgos per prelevare degli studiosi che stasera, illustreranno ai pellegrini la vita di Madre Teresa di Calcutta, così Josè, si incarica di trasmettergli i miei saluti, e se avranno un poco di tempo, promette che mi raggiungeranno questa sera a San Nicolás. Lascio Castrojeriz, dirigendomi verso l’Alto de Mosterales, una dura ascensione al colle, che porta poi verso la Fuente del Piojo, una fuente che si apprezza tantissimo sia per l’acqua, che per gli alberi e le panchine che permettono il riposo necessario dopo la traversata dell’altopiano desertico completamente esposto al sole. Raggiungo la Fuente del Piojo salutando un gruppo di pellegrini che si riposano e che riconosco; sono un gruppetto di tedeschi che ogni tanto, prendono l’autobus per evitare i tratti di percorso troppo faticosi, ed alcuni di essi, ieri l’altro, erano con me al rifugio di Atapuerca. Quando infine arrivo alla Ermita di San Nicolás, il rifugio per pellegrini dove presto la mia opera di hospitaleros, è ancora chiuso, sono solo le 14, ed un cartello esposto sul battente del portone, dice che si apre alle 16. Mentre attendo, penso bene di fare il bucato alla fuente, così che tutto asciughi perfettamente, ed alle 16, ecco puntuali gli amici Fernando e Luis, due ragazzi di Madrid. Grandi abbracci con immensa sorpresa da parte loro vedendomi pellegrino; vi è anche una pellegrina francese che si è fermata qui un giorno per recuperare le forze, ed alla sera, quando è il momento del rito delle lavanda dei piedi ai pellegrini presenti nel rifugio, sono io il solo ed ultimo pellegrino dell’anno, poiché domani il rifugio verrà chiuso, essendo oggi l’ultimo giorno di apertura. È come se fossi arrivato a casa, tutto mi è perfettamente familiare, e mi aggiro felice guardando in ogni dove assaporando il tempo che mi rimane fino a domattina quando ripartirò. Arriva anche Miguel Rodriguez, l’amico e confratello, proprietario del bar di Itero del Castillo, il pueblo ad un Km da qui; anche per lui la sorpresa è troppo grande, e dopo il brindisi di augurio al proseguimento del mio pellegrinaggio, ancora non è pienamente convinto che io sia pellegrino sul Cammino, pensando sia uno scherzo innocente che gli ho preparato. Dopo la cerimonia della lavanda dei piedi, ceniamo con una superba zuppa di verdure e del profumatissimo chorrizo fritto che Fernando e Luis hanno splendidamente cucinato. Poi complice il fatto che nell’Ermita la luce è data solo dalle candele, restiamo a chiacchierare in una penombra bellissima fino alle 23, ponendo termine ad una giornata che attendevo sin dal primo giorno di cammino a Vézelay… Volti amici che il Cammino ti fa ritrovare…

Domenica 12-10-03. 51° tappa. San Nicolás de Puente Fitero – Carrión de los Condes. 34 Km. Refugio Parroquial de Santa Maria del Camino.

Ho dormito bene nelle brande dei pellegrini, e questa mattina alle 7,30 dopo un buon riposo, sono pronto per la nuova tappa; prendo la colazione con Fernando e Luis e la pellegrina francese che partirà al pomeriggio con loro per Carrion, poi salutati (con molta emozione da parte mia), gli amici Hospitaleros e l’Ermita che oggi chiuderà, parto sotto il cielo molto nuvoloso. Aveva piovuto questa notte, e grosse pozzanghere segnano il percorso che lasciata la Provincia di Burgos al passaggio del Ponte Medioevale sul Rio Pisuerga, entra in Palencia conducendomi verso il pueblo di Itero de la Vega. Tre grossi cani dobermann sbucano dalla case abbaiando ed azzuffandosi tra loro; si bloccano quando mi vedono, ma evidentemente decidono che non sono capace di giocare con loro, poiché riprendono la gazzarra infilandosi tra le viuzze. Va detto che ho tirato un sospiro di sollievo, poiché tre erano troppi, e non è facile accontentarli tutti con due sole caviglie… Esco dal pueblo notando un altro giovane pellegrino che mi segue, probabilmente ospite del rifugio locale; mentre risalgo l’Alto del Paso Largo, il cielo che si copre di nuvole scure, mi persuade a sveltire la marcia affrettandomi verso il pueblo di Boadilla del Camino, dove nella bella piazza accanto alla chiesa parrocchiale de la Asunción sorge lo splendido “Rollo de Justicia”, ma soprattutto, per salutare la Señora Begonia, suo marito ed il figlio Edoardo, nostri amici e confratelli, che gestiscono lo splendido rifugio per pellegrini con annesso Restaurante-Bar. Grande è la loro sorpresa vedendomi arrivare con lo zaino ed il bordone da pellegrino; mi offrono prontamente un caffè, chiedendomi come vanno le cose lungo il cammino, e se San Nicolás sia ancora aperto. Rispondo a tutte le loro domande, ed anche loro mi informano che tra poco chiuderanno il rifugio, in quanto vi sono pochi pellegrini sul cammino (tra l’altro, è stato aperto un altro rifugio all’entrata del pueblo), così salutati queste cortesissimi amici, riprendo il largo sentiero accanto al Canal de Castilla, scavalcandolo poi sulla spettacolare chiusa alle porte di Frómista, coprendomi con gli impermeabili giusto in tempo per non venire sommerso da un furioso e breve acquazzone. In Frómista, passo accanto allo splendido gioiello che è Chiesa di San Martín di chiarissima architettura Romanica, celebre per i superbi capitelli che ornano i suoi colonnati. Lascio Frómista camminando sul largo sentiero tracciato a fianco della carretera che conduce passando da Villalcázar de Sirga, a Carrión de los Condes. Incontro alcuni pellegrini anche loro diretti a Carrión, mentre un altro, sta ritornando da Santiago, diretto a casa a piedi! La pioggia ogni tanto mi costringe a ricoprirmi, fino a quando arrivato a pochi Km da Villalcázar diviene un furioso temporale che continua per due ore fino alla entrata di Carrión. Sono dibattuto se fermarmi presso il rifugio per pellegrini nel Monastero delle Clarisse, oppure se offrire il mio contributo al rifugio parrocchiale che ultimamente, non se la passa tanto bene ed avrebbe bisogno di una discreta somma per le necessarie opere di sistemazione. Così è in effetti; è messo proprio male il rifugio, ma prendo alloggio qui, cercando un letto che non sia troppo cedevole tra i tanti ancora liberi. Dopo la difficoltosa doccia, gironzolo per la cittadina con l’ombrello pronto alla bisogna, ma fino a sera non piove più, permettendomi di rientrare alle 21 dopo il lungo girovagare e la cena in un ottimo bar, sotto il cielo stellato preludio dell’indomani soleggiato.

Lunedì 13-10-03. 52° tappa. Carrión de los Condes – Sahagún. 37 Km. Albergue Municipal La Trinidad. Ex Chiesa della Trinità.

Ieri sera al rientro al rifugio, inaspettatamente trovo che è quasi al completo; vi sono parecchi ragazzi, alcuni dall’aspetto un poco “fricchettone” tipo anni ’70, ma dallo sguardo limpido e trasparente, mentre altre persone, più in là con le primavere, sono vestite in modo eccessivamente trasandato, cosa che non fa bene alla reputazione del Cammino; anche se si è pellegrini, quindi sulla strada e con la propria casa sulle spalle, un grande senso della dignità e dell’amor proprio deve essere esplicato indossando indumenti decorosi, soprattutto nei riguardi di coloro che vedendoci passare, abbiano a rivolgerci un cordiale sorriso di solidarietà. Ieri assistendo alla S. Messa nella chiesa di Santa Maria, di pellegrini ve ne erano pochi, quindi la conclusione che ragionevolmente posso trarre, è che la maggior parte di coloro che erano al rifugio, forse erano solo persone alle quali la parte prettamente spirituale del Cammino viene in secondo o terzo piano… Nonostante il letto-amaca, ho riposato discretamente questa notte, ed alle 05, qualcuno è già alzato cominciando l’andirivieni con lo zaino; incredibile come a quell’ora si possa pensare di cominciare a disturbare il prossimo. Alle 07, anch’io mi preparo con calma ed alle 7,30 esco nella piazza indossando gli impermeabili, poiché vi è una fittissima nebbia che non permette di vedere a 50m. Conosco il tracciato, così, seppur lentamente, mi avvio per la calle deserta, intravedendo alcuni pellegrini che mi precedono; la maggior parte credo sia già partita poiché la cucina è vuota e nell’atrio vi erano solo tre ragazze che, credo, facevano la radiocronaca differita di tutte le tappe precedenti, naturalmente parlando in modo che tutti le udissero ben bene. Quando dopo il primo tratto di asfalto che termina alle rovine della Abbadia de Benevivere, mi innesto sulla antica Calzada Romana “Via Aquitana Burdeos-Astorga” di 12 Km, il sentiero diviene pietroso e fangoso, con la nebbia che testardamente permane, impedendomi di vedere alcunché, tanto che a volte camminavo ad occhi chiusi per riposare gli occhi fissi sulla barriera grigia; un tratto di percorso quasi da allucinazioni!! Raggiungo Calzadilla de la Cueza dopo avere superato il gruppetto di ragazzi e ragazze che erano con me al rifugio, fermi al bordo del sentiero per consumare una nebbiosa colazione.. Incamminandomi a fianco della carretera verso Ledigos, finalmente il sole fa la sua neghittosa apparizione, permettendo al paesaggio della meseta di mostrarsi. Nel bar di Ledigos faccio una doverosa sosta per la colazione che mi riscalda dopo tanta umidità, ritrovando il compagno del pellegrino super mattiniero di Logroño; sono le 11,30 quando riprendo il cammino elevando le preghiere in ringraziamento del caldo sole che ha occupato la scena della “pre meseta”, fatta di campi coltivati, ma già dagli orizzonti sconfinati e piatti che incutono rispetto. Il piccolo pueblo di Terradillos de los Templarios, mi vede attraversare la sua Calle Real, almanaccando se, come fa presumere il suo nome, anticamente i famosi monaci guerrieri abbiano qui avuto una loro Commanderia, o più semplicemente, una presenza…. A pochi Km da Sahagún, devio per raggiungere la bella Ermita di Nuestra Señora del Puente, che ricordo circondata da un ombroso pioppeto. Che amara sorpresa, quando vedo che tutti i pioppi sono stati sciaguratamente tagliati alla base ed i loro cippi, sono ricoperti da un desolante lavoro in lamiere di una scuola artigiana di fabbri; lascio erompere l’ira che mi si accumula dentro al vedere come l’imbecillità sia la dote preponderante di colui che ha permesso simile scempio a detrimento di un luogo che ispirava pace e serenità. Arrivo, abbastanza abbacchiato e demoralizzato da questo avvenimento, al rifugio de la Trinidad, ospitato nella ex chiesa, adibita anche ad auditorium; sono le 15,30 e pochi pellegrini sono già alloggiati, così dopo la doccia ed il bucato mi dirigo al centro della cittadina per ricevere un fax da Alice ed acquistare i viveri per domani. Scendo verso la bella chiesa gotica di San Lorenzo e l’Arco di San Benito, ora attraversato dalla strada, rientrando per farmi timbrare la credenziale prima che le ragazze della recepcion chiudano l’ufficio. Un francese mi chiede se ho visto il suo orologio che aveva dimenticato per pochi minuti sul lavabo; non può credere che glielo abbiano rubato, non era un gran orologio, ma la faccenda mi deprime ancora di più fino a quando, poco prima di uscire per la cena, mi dice sorridente che lo ha ritrovato nel fondo del suo zaino…. Stranamente vi sono pochi pellegrini al rifugio; forse ho lasciato alle spalle il grosso del gruppo che vi era a Carrión, ma anche così, se non fossero arrivati 4 bikers alle 19, saremmo stati si e no una decina di pellegrini ad occupare le numerose brande. Che giornata stramba è stata quella di oggi; forse ho bisogno di qualche giorno di sole splendente e caldo, visto che la nebbia, uggiosa e deprimente, mi intristisce non facendomi apprezzare questo lato buono del Cammino…!

Martedì 14-10-03. 53° tappa. Sahagún – León. 53 Km. Hostelling International (Base), Campos Góticos. Antiguo Colegio Huérfanos Ferroviarios.

Il rifugio di Sahagún, è uno dei più spaziosi che il Cammino offra al pellegrino, forse è il reparto cucina che è misero, essendo fornito solo da un fornello a tre fuochi e poche stoviglie che sono di uso comune, e cucinarsi la cena o la colazione qui, vuol dire fare le calende greche…. Ad ogni modo, le brande sono ottime, così come i pellegrini presenti ieri, affatto rumorosi; è al mattino che qualcuno, già se ne andava con lo zaino sulle spalle alle 4,30; boh, che abbia fatto voto di camminare solo al buio? Alle 7,10 anche i bikers, miei vicini di branda, si animano accendendo le luci, ed il rifugio prende vita per una nuova tappa. Quando metto piede fuori il portone, mi accorgo che pioviggina, rientrando subito per mettermi gli impermeabili ripartendo subito dopo. Già quando arrivo all’Arco di San Benito, la pioggerella smette, restando solo una umidità che nasconde il Rio Cela mentre passo il Puente de Canto, così come il terreno più noto come “Prado de las lanzas de Carlomagno”, inerente alle gesta epiche del famoso condottiero che è estremamente legato alle fortune del Cammino di Santiago. Il cammino, scorre completamente sul sentiero pietroso bordato da giovani platani dalle foglie tendenti al giallo ricavato a lato della carretera detta “Real Camino Francés”; essa è adibita al solo traffico locale o agricolo, per cui il silenzio e la solitudine, sono garantiti, specialmente in questa stagione che vede i campi accanto, già arati. Davanti e dietro di me vi sono dei pellegrini e si procede quasi di pari passo sotto il cielo ancora plumbeo che mortifica il paesaggio austero e solitario. Attraverso Bercianos del Real Camino non incontrando anima viva; così come le aree di riposo per i pellegrini, composte da panche e tavoli in pietra, gremite da pellegrini ciarlieri nella bella stagione, sono ora quasi soffocate dall’erba alta e malinconicamente deserte. Nel grosso pueblo di El Burgo Raneros, il campanile della chiesa, ospita sempre il nido di cicogne che domina la Calle Real, che lascio per andare a rivedere il rifugio dedicato al famoso pellegrino italiano Domenico Laffi autore del Diario che egli scrisse dopo il pellegrinaggio a Santiago nel 1673 partendo da Bologna, dal titolo di “Viaggio in Ponente di Galitia e Finisterrae”, che servì da guida per i moltissimi pellegrini italici che si avventurarono verso Santiago sul suo esempio. E’ ancora in ottimo stato e dotato di ogni comfort per il riposo dei pellegrini che attraversano questa parte di cammino, dura ed interminabile quando il sole arde come una fornace. Riprendo il cammino verso Reliegos notando dei convogli ferroviari che a differenza dei giorni caldissimi, quando paiono sospesi nell’aria tremolante per il calore, ora assomigliano ad un vermicello scuro che avanza senza alcun rumore nell’aria umida, raggiungo poi il punto di intersezione con le rotaie non sorvegliate da sbarre, per cui è sempre bene dare una occhiata al sopraggiungere dei convogli. In Reliegos, mi fermo al bar per una colazione doppia, con la mente che è occupata da un pensiero fisso alquanto balzano, che continua a punzecchiarmi; proseguire fino alla città di León! Ormai, il più della tappa di oggi è percorso, il tratto solitario e duro già alle spalle, così cedendo all’impulso, accetto il lungo giorno di cammino verso la grande città. Passando da Mansilla de las Mulas, rivedo il rifugio, e le conchiglie disseminate lungo la calle che porta al Ponte medioevale che scavalca il Rio Esla, ammirando ancora una volta la splendida fuga delle sue Mura Romane che la cingono. Paesaggi più verdi e meno monotoni, mi rendono il cammino leggero e accettabile sentendomi in forma perfetta, cosicché, quando arrivo sulla altura di Valdelafuente e scorgo la grande città di León e le guglie della Cattedrale, sono le 16.30, in perfetta media. Raggiungere León, e trovare l’Hostelling International attraversando la lunghissima periferia, mi prende ancora due ore di tempo, cosicché quando entro nel bellissimo Auberge che già conosco, sono le 18,30, avendo il tempo di fare una bollente doccia ed il bucato, prima di uscire per la cena in un bar nei pressi. Divido la bella camera con una coppia di bikers inglesi, turisti-pellegrini in viaggio di nozze da due mesi seguendo l’itinerario Inghilterra, Francia, Santiago di Compostella, Fatima, Gibilterra, Marocco, quindi ritorno a casa! James e Maria, questi i loro nomi, sono cordialissimi e cortesi, cosi riusciamo a conversare anche se il mio inglese lascia parecchio a desiderare. Provengono da un piccolo villaggio del Kent, ed hanno sempre desiderato percorrere il Cammino di Santiago, così, hanno preso tutte le ferie arretrate e quelle dei prossimi due anni più la licenza matrimoniale di 15 giorni, contando di rientrare “just in time” come dice ridendo Maria. Oggi sono contento di aver fatto quello che sentivo di poter fare; sono a circa 250 Km da Santiago, e sento che mi cantano i piedi come quando stavo per partire da Vézelay…. La “magia” del Cammino, è anche questo. Ti permette di entrare in sintonia con il tuo animo…

Mercoledì 15-10-03. 54° tappa. León – Hospital de Órbigo. 32 Km. Refugio Parroquial (Casa de la Vega) Tel: 987 38 82 50.

Mi sono addormentato con la musica trasmessa in sottofondo dagli altoparlanti dell’Auberge, sognando una carrellata di amici e di situazioni bizzarre che mi permettono di svegliarmi con un senso di allegria inusuale, ma frizzante; ideale per la tappa di oggi. Ai distributori di bevande calde, prendo dei bollenti cappuccini, assieme ad altri pellegrini e ragazzi che si recheranno in Università più tardi; hanno ancora gli occhi a fessura, segno che la notte è stata brava, ma i visi sono allegri, e tenendo i libri sottobraccio, mi dicono che studieranno per un paio d’ore per recuperare il tempo di ieri sera… Esco alle 7,40 dirigendomi verso la Plaza de Toros, per poi prendere la lunga Avenida Facultad de Veterinaria che costeggia il Rio Bernesca diretto al Puente de San Marcos; è ancora buio, ma conosco il tracciato, e per parecchi Km, so che camminerò attraversando la lunghissima periferia. Vi è tutta l’umanità del mondo che cammina oggi su questo lunghissimo Paseo, persone di tutte le età, che affollano le varie fermate dei bus o in attesa ai passaggi pedonali semaforici. Delle lontane figure con zaini sulle spalle mi precedono in direzione di Trobajo del Camino, trovando grandi cantieri e nuove strade che impongono la ricerca dei segnali a volte spariti. Raggiungiamo insieme il pueblo de la Virgen del Camino tra desolanti aree periferiche ingombre di discariche e costruzioni fatiscenti. Il cammino ci vede passare accanto al Santuario de la Virgen del Camino, un grande cubo moderno, anticipato da lontano da una altissima Croce, mentre la facciata superiore è ornata dalle grandi statue bronzee dei dodici Apostoli, che attorniano la Vergine. Il tracciato, ora scorre quasi sempre accosto alla N.120, arteria di grande traffico, ed a volte il sentiero interrompendosi, ci costringe a camminare nella ampia corsia riservata a pedoni e bikers. Dopo il ponte che scavalca l’Autopista che porta ad Oviedo, si attraversa il territorio che appare secco ed arido con grandi macchie di pioppi che hanno le foglie di un bellissimo colore giallo autunnale; è il territorio detto “Páramo” che è inteso come una parte di territorio entro la “Tierra de Campos”, e la famosa “Maragatería”verso Astorga. E’ comunque un bel paesaggio che permette di giungere a Villadangos del Páramo godendo dei suoi colori; un gruppetto di quattro pellegrini, tre francesi ed uno spagnolo è seduto di fronte al rifugio ancora chiuso, ma riprendono il cammino quando li raggiungo, poiché anche loro sono diretti ad Hospital de Órbigo. Camminiamo assieme per un breve tratto, poi vedendo che tengono un passo eccessivo, li lascio proseguire. Li ritrovo fermi più tardi, poiché lo spagnolo ha dei problemi ad un ginocchio, così, giunti a San Martín del Camino, si arrestano per applicargli una leggera fasciatura, ma a mio giudizio, avendoli visti da lontano, camminano troppo veloci per lui… Dall’altopiano secco e arido che percorro, vedo spuntare la punta del campanile del pueblo di Puente de Órbigo, che domina il Rio Órbigo scavalcato dal bellissimo Puente detto “Passo Honroso”, teatro di battaglie tra Svevi e Visigoti nel 452, tra i Mori e le armate di AlfonsoIII° il Grande nel 900, ma la più celebre, è la sfida che il Cavaliere Leonese, Suero de Quiñones con altri suoi nove compagni lanciarono a 300 Cavalieri, al fine di rendersi degno dell’amore per la sua Dama; va da sé che essi vinsero, e come recita la leggenda, si recarono tutti in pellegrinaggio a Compostella, dove il fiero Suero de Quiñones per ringraziare l’Apostolo, pose sulla statua un braccialetto in oro appartenente alla sua Dama. Nel rifugio parrocchiale non vi è nessuno, così prendo posto tranquillamente prendendomi la doccia ed approfittando del sole e del vento che nel frattempo si è levato, faccio anche per il bucato che stendo nel giardino. Non è migliorato dal ‘99 questo rifugio, anzi avrebbe bisogno di una buona ristrutturazione, poiché le camere che sono state aggiunte dove prima vi erano i ripostigli, sono in cattivo stato. Più tardi parlando con una simpatica coppia di brasiliani, mi confermano la mia impressione, ma l’altro rifugio municipale, è troppo lontano dal centro, essendo posto sulle rive del fiume a 500m dal ponte. Arrivano anche i francesi con il pellegrino spagnolo che avendo alcune linee di febbre si mette subito a letto prendendo delle compresse di Aspirina. Al tardo pomeriggio dopo aver girovagato per la cittadina per acquistare i viveri per domani, rientro giusto in tempo per ritirare il bucato prima che la pioggia lo rilavi. Prima di sera, il rifugio si riempie di pellegrini di parecchie nazionalità, tra i quali una ragazza inglese messa abbastanza male con parecchie vesciche ai piedi, e vi è anche il cambio dell’Hospitalero, un tipo di belga simpatico e cicciotello che promettendoci pioggia a volontà per domani, verso i verdi Monti del Bierzo, ci augura la buona notte…. Deus adyuva nos…!

Giovedì 16-10-03. 55° tappa. Hospital de Órbigo – Rabanal del Camino. 35 Km. Refugio Gaucelmo. Confraternity of Saint James. Tel: 987 63 94 92.

Nel rifugio “lleno a reventar”(pieno da scoppiare), si è dormito abbastanza bene, ed il sacco a pelo, in questo stanzone ancora freddo sebbene affollato, si fa apprezzare per il tepore che mi dispensa, così, è un grande dispiacere quando è ora di uscirne. Alle 04 di stanotte, sono stato svegliato da rotolanti tuoni e da vividi lampi che illuminavano la stanza, con la pioggia soffiata dal vento che veniva a battere sui vetri, sebbene la finestra fosse sotto una tettoia; cosa mai starà preparando per domattina questa Tierra de Campos? Mai preso così tanta pioggia in tutti i miei pellegrinaggi; se ben ricordo, su un totale di sette mesi trascorsi sui Cammini Europei, i giorni di pioggia li posso tranquillamente contare sulle dita delle due mani, ed in questo pellegrinaggio invece!? E non credo che la faccenda sia finita…! Alle 07, i francesi sono i primi a mettere mano agli zaini, ma anche perché ieri hanno prenotato la colazione qui al rifugio, che l’hospitalero ha già preparato su un tavolato sotto l’ampio porticato. Il tempo sembra che abbia terminato di stillare pioggia, e solamente le tegole del tetto lasciano cadere qualche fredda goccia maliziosa dietro la nuca; anche il pellegrino spagnolo è quasi pronto a partire, attardandosi nell’infierire a spellare vive alcune rubiconde “naranjas” (arance) con una grossa navaja, dal che deduco che le Aspirine hanno forse sortito l’effetto sperato. Anche loro hanno deciso di seguirmi a Rabanal del Camino, attirati dalla mia maliziosa soffiata sul fatto che i bravissimi hospitaleros, figli di Albione, al mattino preparano ai pellegrini una sostanziosa e perfetta colazione all’inglese… Lasciamo il rifugio alle 7,30 incamminandoci sulle pietre della Calle Mayor per uscire dalla cittadina, diretti, attraverso una larga strada di campagna, alla carretera alla nostra sinistra che non si vede, occultata dalla nebbia; il sentiero storico, andrebbe a destra verso il pueblo di Villares de Orbigo, ma sicuramente sarà pieno di pozzanghere, e col buio non voglio correre alcun rischio, perciò anche per quest’anno scelgo la carretera. Solamente dopo le poche case di Estebánez de la Calzada la nebbia si dirada, permettendoci di proseguire sul sentiero che è stato approntato a fianco della carretera fino alla deviazione che porta sull’arido altopiano dove, solitario, sorge il bel “Crucero” di San Toribio. Da lassù si scorgono le guglie della Cattedrale di Astorga, la Romana “Asturica Augusta” che spiccano sulla collina di fronte; bisogna discendere nello scosceso vallone per un largo e pietroso sentiero che affatica oltremodo le ginocchia, per poi incamminarsi a fianco della carretera. Quando infine raggiungiamo la base della collina dove sorge Astorga, il pellegrino spagnolo non riesce più a proseguire; con un fischio richiamo i suoi amici che sono parecchio più avanti, per vedere se è possibile dargli un aiuto, ma egli piangendo ci dice che il suo cammino termina qui, sedendosi affranto sul ciglio della strada. E’ un uomo che avrà si e no tre anni più di me, e vederlo piangere, mi spacca il cuore… Quanto può essere duro e crudele il Cammino quando sopravvengono seri acciacchi e sai che mancano solo pochi giorni di cammino dalla tua tanto agognata meta. I suoi amici decidono di accompagnarlo al rifugio che dista solo 500m, dopo aver avvisato suo figlio che verrà a recuperarlo in serata, riportandolo a Burgos. Lo saluto con un forte abbraccio, dando l’arrivederci ai francesi, che si fermeranno per le foto in Astorga, al rifugio di Rabanal del Camino. Sul comignolo dello splendido Palacio Arzobispal di Astorga, superba opera neogotica del celeberrimo Antón Gaudí, vi è ancora il grande nido di una cicogna, mentre la Cattedrale, tolte le impalcature per la ripulitura della sua facciata, splende come mai l’avevo vista; bisognerà che mi decida qualche volta a fare tappa in questa splendida città che finora ho sempre attraversato… Scendo diretto a Valdeviejas verso la bella Ermita del Ecce-Homo, fermandomi a chiacchierare con alcune coppie di anziani che seduti sulle panchine hanno risposto con simpatia al mio saluto, mentre vi sono delle coppie di pellegrini che mi precedono. Mi fermo alla Ermita per ricordare a chi di dovere di vigilare sui pellegrini, specialmente a colui che ha dovuto fermare oggi i suoi passi, affinché la cosa si risolva al meglio e l’anno prossimo concluda il pellegrinaggio mantenendo fede al voto. Riparto cominciando a risalire le colline che portano alla desertica “meseta” del Monte Irago; ora le condizioni climatiche sono favorevoli per incamminarsi in queste lande, vi sono le nubi, il sole è velato e la temperatura è decisamente fresca, ma essere qui nei mesi estivi, è veramente terribile, ed il pellegrino paga duramente il dover mantenere fede al suo proposito. A Santa Catalina ed a El Ganso, le strade che attraversavano i pueblos, sono state lastricate, e vi sono degli utilissimi refugios e bar. Il territorio estremamente desertico che si estende a perdita d’occhio, è ravvivato solo da bassi arbusti fino alla lontana linea di querce nane che indica l’inizio della faticosa salita verso Rabanal, subito dopo l’incrocio della strada delle Miniere di La Fucarona, che dà il colpo di grazia al morale del pellegrino. Un trillo di campanello e delle voci allegre che forano il silenzio palpabile di questi boschi, mi fanno sobbalzare; sono James e Maria che a bordo di fiammanti e ben equipaggiate mountain-bike spingono sui pedali. Provengono da Astorga e sono diretti a Ponferrada dove faranno tappa, dicendomi che sosteranno a Rabanal attendendomi per una birra. Li ringrazio di cuore ma gli spiego che dovrei avere le ali per poter fare loro compagnia, così ci salutiamo, temo, per l’ultima volta. Quando abbastanza sudato raggiungo Rabanal ed il rifugio sono le 14,30 ed esso apre alle 15, così devo indossare una maglia asciutta perché si è levata una fresca brezza che a 1200m restando fermi, sembra gelida. Alle 15 precise, ecco gli hospitaleri che aprono, e dopo le registrazioni, assegnano le brande che lentamente vengono occupate da un nutrito gruppo di francesi, uscito dal restaurant del pueblo. Il sole che splende, permette di fare il bucato, e dopo aver usufruito di una centrifuga per strizzare gli indumenti (anche quelli ritirati umidi a Hospital de Órbigo), li stendo nel grande giardino per poi uscire a gustare una bella birra alla salute di James e Maria, ovviamente già ripartiti. Sopraggiungono più tardi anche i francesi lasciati ad Astorga, assicurandomi che l’amico spagnolo è stato visitato da un medico che ha diagnosticato la lesione di un menisco da operare chirurgicamente. Una ottima cena alla sera mi prepara per la dura tappa di domani che mi vedrà ascendere ai 1505m della celebre “Cruz de Hierro” e poi la lunga “bajada” verso Molinaseca e quindi Ponferrada:.. Dislivello in discesa = 1000m…!!!

Venerdì 17-10-03. 56° tappa. Rabanal del Camino – Ponferrada. 32 Km. Albergue San Nicolas de Flüe. “El Carmen”. Ponferrada.

La grande camera del rifugio ha i tutti i letti occupati, cosi al mattino,alle 6,40, il folto battaglione di pseudo pellegrini francesi sono già intenti a blaterare, non è malanimo il sentimento che provo per questo tipo di persone, ma il non rispettare le altre persone che sono costrette a svegliarsi sentendo le scempiaggini che si scambiano ad alta voce, ha il potere di irritarmi, e se si lascia spazio al malumore già di primo mattino… Ignorando il bécero gruppone, preparo sveltamente lo zaino scendendo in cucina per la colazione che i lodevoli hospitaleri hanno già approntato. Lascio a loro i saluti della nostra Confraternita, con l’invito di farci visita al nostro hospital di San Nicolás, quindi esco, immergendomi nella fittissima nebbia che grava sulla montagna; rapido cambio di programma del cammino, in quanto il sentiero con questa nebbia è impercorribile, così prendo la carretera che con qualche tornante in più mi porterà intatto alla Cruz de Hierro. Piacevolmente, noto che non fa assolutamente freddo, e dopo 3 Km devo togliere i pantaloni lunghi ed il pile; l’abitato di Foncebadón in cui avevo notizia che vi era previsto un rifugio, è deserto, non vi sono neanche i cani che in estate accudiscono le greggi; un palpabile silenzio avvolge la montagna, mentre la nebbia tende a sollevare le sue grigie quinte. Da qui in avanti proseguo sul sentiero erboso che le goccioline d’acqua fanno assomigliare ad un tappeto di microscopici diamanti, giungendo infine alla Cruz de Hierro. Fluttuante nella nebbia, mi appare l’immagine spettrale dell’enorme monticolo di pietre sovrastato dalla mitica croce che milioni di pellegrini, durante i secoli, hanno atteso di vedere con malcelata ansia, ponendo, con mano tremante per la gioia, la pietra portata con sé fin dai primi passi del cammino, sul grande cono di pietre provenienti da ogni parte del mondo. Abitudine consacrata nel corso dei secoli, ma ancora oggi dal significato sfuggente, perdendosi esso nella notte dei tempi. Da parte mia, sento che questo semplice atto può significare il posare qui il fardello delle colpe di questa umanità in cammino, per giungere infine in Santiago, alla Tomba dell’Apostolo, per l’emozionante abbraccio che suggella il definitivo cambiamento del pellegrino, poiché per quanto egli non se ne renda conto, non sarà più come quando era partito. In discesa giungo a Manjarin, lanciando un allegro saluto all’hospitalero che, vedendomi, suona con vigore la campana augurandomi buon cammino; faccio fatica a controllare la commozione che mi sta travolgendo, così cerco di dominarmi cantando qualsiasi canzone riesca a ricordarmi, contando che nessuno sia nei dintorni ad ascoltarmi… Il pueblo di El Acebo che non si scorge fino a quando arrivi quasi sopra i tetti delle sue case; sorge aggrappato alla cresta del monte e secondo la leggenda, gli abitanti in cambio dell’esenzione delle tasse, ebbero da parte del Re l’obbligo di piantare sul cammino 800 pali al fine di indicare la giusta direzione ai pellegrini. La discesa verso Riego de Ambrós e Molinaseca, è particolarmente lunga e dura, specialmente quando in certi tratti il sentiero diviene ripido e pietroso; il paesaggio, sebbene velato da alte nubi stratificate, è grandioso, potendo l’occhio spaziare su valli e monti fino a confondere l’orizzonte con il cielo. Quando entro in Molinaseca scendendo l’ultimo tratto di sentiero roccioso, il cielo è sgombro di nuvole ed il caldo, dopo la lunga discesa di oltre mille metri è soffocante. Passo accanto alla chiesa de la Virgen de las Angustias per passare il Rio Meruelo sul ponte di origine romana, entrando nella Calle Real che taglia in due l’abitato. Una doverosa sosta in un bar per prendere del caffè con leche, anche se sono le 12,30 e sarebbe ora di pranzare, poi riprendo la via per Ponferrada camminando a lato della carretera che lascio per seguire il cammino verso il pueblo di Campo; decisione giusta, se non che il nuovo rifugio è posto all’inizio della città, e sarebbe stato molto meglio continuare sulla carretera, risparmiando alcuni Km e dei notevoli dislivelli. Distante dal centro città un Km circa, il nuovo rifugio è bellissimo e dotato di tutti i comfort; già vi sono dei pellegrini, ma non ho alcuna difficoltà a trovare posto, così come per la doccia ed il bucato. Mi pongo poi alla ricerca di uno “zapatero” (calzolaio) per riparare il cappello, quindi vado in città per la visita d’obbligo, dirigendomi in centro al vecchio rifugio che ha le serrande bloccate; aveva proprio bisogno di una bella ristrutturazione…! Il Castillo de los Templarios è sempre bellissimo e le bandiere garriscono allegramente al vento; una splendida e poderosa costruzione (a parere mio, il più bel castello che io abbia mai visto), che fu costruita nel XII sec. dai Templari, stabilendovi una delle loro basi più importanti in terra di Spagna. Una visita alla Basilica de Nuestra Señora de la Encina conclude il tour turistico entrando alle 19,30 in un piccolo restaurant presso la Torre del Reloj. Quando rientro al rifugio, trovo gli amici francesi di Astorga che occupano la mia stessa camera, così per festeggiare, usciamo di nuovo per una fresca “cerveza” (birra), in un vicino bar, concludendo una bella e magnifica tappa del mio Cammino che volge al suo termine… L’oceano è vicino…

Sabato 18-10-03. 57° tappa. Ponferrada – O’Cebreiro. 53 Km. Refugio Municipal.

Ieri sera quando sono rientrato al rifugio con gli amici francesi, vi era una parola che non voleva svanire dalla mia mente: « O’Cebreiro, O’Cebreiro » ; testardamente, continuava a sovrapporsi a tutti gli altri normali pensieri di uno che deve solo ficcarsi nel sacco a pelo per dormire. Ma come un richiamo ineluttabile, al mattino quando mi sveglio alle 6,30, esso è ancora lì, chiarissimo e lampante; vi è una parte di me, non tanto razionale, che oggi vuole che io arrivi a O’Cebreiro, nonostante siano ben 53 Km con un dislivello in salita di più di 800m. Mi conosco abbastanza per capire subito che la decisione è presa, così salutati gli amici, alle 07 esco dal rifugio verso la città avvolta dalla nebbia che i lampioni fanno fatica a rischiarare. Conosco il percorso, e sospetto che questa conoscenza sia uno dei motivi che mi spingono a queste kilometriche intemperanze, ma altre volte ho avuto delle bellissime sorprese dando retta a queste voci interiori. In periferia di Ponferrada, passo accanto alla bella Capilla de Compostilla, nel quartiere industrializzato, poi uscito da questa zona anonima, il sentiero si snoda tra ampi appezzamenti agricoli o ortofrutticoli. Risalendo le dolci colline che portano a Cacabelos, ecco i famosi vigneti del Bierzo adagiati sulle basse colline che mi accompagnano per parecchi Km avvicinandomi a Pieros, ultimo villaggio prima di entrare in Villafranca del Bierzo. Passando accanto al Refugio Municipal, posto poco prima della chiesa dedicata a Santiago, vedo la coppia di pellegrini brasiliani che erano a Hospital de Órbigo; provenienti con un autobus da Astorga stanno attendendo l’apertura del rifugio restando sorpresi quando, salutandoli, dico loro che mi incammino verso O’Cebreiro, distante 28 Km ancora. Qui a Villafranca, i pellegrini che non fossero più in grado di proseguire, essendo ammalati o per gravi impedimenti, entrando nella chiesa di Santiago, potevano lucrare l’intera indulgenza per il loro pellegrinaggio, come fossero ugualmente giunti davanti alla Tomba dell’Apostolo a Santiago di Compostella, privilegio questo accordato da Papa Callisto III° nel 1455. Da questo città, passò anche San Francesco d’Assisi, quando si recò in pellegrinaggio a Compostella, e la tradizione, veritiera o meno, vuole che egli soggiornò in questa città ricca di tante belle chiese e conventi. Rivedere dopo parecchi anni questa città mi rende lo spirito leggero e felice; non mi interessa assolutamente nulla dei Km che mancano alla fine della tappa; forse lo spirito ultimo del Cammino è questo; qui vi è la Storia, milioni di genti sono transitate da qui, Re e mendicanti, luminari delle scienze e mentecatti, avventurieri e uomini pii che hanno reso grande la cristianità, atei e Papi, Santi e cristiani per il battesimo avuto, in cerca della vera appartenenza religiosa. La figura dell’architetto statunitense che avevo incontrato a Larrasoaña, venuto sul cammino per ammirare l’architettura che “sente” assente nella sua cultura di abitante “moderno”, è emblematica; la sua sete di conoscenza culturale, fa il paio con la mia, di totale immersione, fisica e spirituale, nel Cammino, ed il solo fatto di camminare su queste Rotte senza tener conto dei Km che trascorrono, ma pensando ai luoghi storici ricchi fuor misura di religiosità di cui mi sento una miliardesima parte, mi esalta facendomi “volare” in tutti i sensi. La lunga Calle del Agua vuota di pellegrini non mi sembra la stessa, ma mi conduce al ponte che scavalca il Rio Burba verso il sinuoso percorso della Valcarce, poiché quello che con una impennata del sentiero porta a salire il Cerro del Real, più faticoso ed impegnativo, ma superbamente panoramico, è sbarrato per colpa di una frana; è destino che questo sentiero non possa seguirlo, essendo già la terza volta che devo prendere la Valcarce, ora invasa dal sole. Un pellegrino che mi precede, un canadese baffuto e robusto, si ferma al rifugio di Pereje; a fianco della carretera altre volte pericolosa e stretta, è stato ricavato un corridoio delimitato da barriere “Jersey” verniciato di giallo che conduce il pellegrino come in un toboga fino quasi ad Herrerias. Di tanto in tanto, in alto al corso del Rio Valcarcel, ed a portata di mano, degli alberi di fico mi offrono i loro zuccherosi frutti dei quali faccio man bassa, ricordandomi che non ho mangiato nulla fin dalla partenza da Ponferrada, ma la fame è lontanissima dai miei sensi in questi momenti. Pellegrini bikers mi superano sbuffando sui pedali; questo profondo intaglio della valle, è forato da numerosi viadotti di cui uno arditissimo ed altissimo, è una vera opera di alta ingegneria, sebbene la valle che ricordavo, selvaggia e dirupata, ne esca stravolta e “addomesticata”, ma il progresso come dicono i numerosi e miopi violentatori dei Santuari naturalistici,” non-si-può-fermare…”. Una ragazza giapponese, pellegrina con un micidiale zaino sulle spalle, si arresta al rifugio di Herrerias, dove inizia la dura salita sul sentiero che porta a O’Cebreiro tra boschi di castagni che hanno sparso al suolo i loro spinosi ricci da dove occhieggiano grosse castagne che gli abitanti sono intenti a raccogliere; qualcuno, più scherzoso di altri, dopo la chiacchierata di saluto, mi invita a dare una mano nel raccogliere i marroni sparsi dappertutto; me la cavo con un «Santiago mi aspetta!», a cui loro rispondono divertiti “Hombre!!”, persone simpatiche e cordiali che il Cammino ti permette di incontrare…. La Faba, pueblito a pochi km da O’Cebreiro, mi vede arrivare coperto dagli impermeabili per via di improvvisi acquazzoni che il vento si incarica di distribuire qua e là, per poi divenire a 2 Km dalla meta, un vero e proprio violento fortunale che mi costringe a camminare ricurvo e di traverso sul sentiero fino ad entrare nel rifugio di O’Cebreiro, inondando di acqua il portico. Sono le 17,30 ed il rifugio è quasi al completo, ma trovo un letto che ha accanto un termoconvettore, sopra il quale appendo gli scarponi fradici ed il piccolo bucato; accanto a me, vi è un pellegrino brasiliano che mi riconosce come il Mauro dell’Hospital di San Nicolas de Puente Fitero! Grande stupore da parte mia; non sapevo che qualcuno mi potesse riconoscere solo dal nome o dalla fisionomia, ma evidentemente la caritatevole opera di accoglienza che svolgiamo nel nostro rifugio, circola tra il vasto mondo dei pellegrini. La pioggia furiosa accompagnata della fitta nebbia, non demorde nemmeno quando sono costretto ad usare la pila per recarmi alla famosissima Chiesetta del Milagro. Dal semplice impianto preromanico, tipico di questa zona, essa è dedicata a Santa María la Real; all’interno, custodisce il Calice e la Patena che, secondo la tradizione, nel XII sec. ebbero il pane ed il vino che contenevano, tramutati nel corpo e sangue di Cristo, quando il prete che stava celebrando la S.Messa, rise in cuor suo della fede di un devoto uomo, che nonostante la terribile tempesta di neve si era messo in viaggio dal suo pueblo per venire ad assistere alla funzione Eucaristica. Entrambi questi testimoni del miracolo sono sepolti nella Capilla del Milagro. La pioggia e la fitta nebbia, opprimono ancora il caratteristico pueblito quando, più tardi, esco dal ristorante, posto accanto alla chiesetta, per ritornare al rifugio, dovendo porre estrema attenzione per evitare le pozzanghere ed i rivoli d’acqua tra le sconnesse pietre che la pioggia alimenta… Per fortuna la tappa di domani si può compiere completamente sull’asfalto…!!!

Domenica 19-10-03. 58° tappa. O’Cebreiro – Sarria. 40 Km. Refugio Municipal. Calle Mayor. Tel: 982 53 08 50.

Nonostante l’affollamento del rifugio, ho dormito bene, con il termoconvettore che ha funzionato tutta la notte, riscaldando l’ambiente ed asciugandomi per bene tutte le mie cose. Anche per oggi, decido di fare una tappa lunga per evitare la sosta a Triacastela ed avvicinarmi a Santiago il più velocemente possibile, in quanto ho l’assoluta convinzione che ormai per i prossimi giorni il tempo si sia guastato, e qui in Galizia l’autunno è portatore di piogge quasi quotidiane. Alle 7,30 nel buio ancora assoluto, esco dal rifugio già pronto per la pioggia che scende seppur fine e leggera, ma la nebbia è una cappa oscura in più che impedisce la vista dei panorami mozzafiato che da qui si possono godere sulle vallate circostanti. Cammino facilmente sulla carretera, ed ogni tanto, qualche autovettura, sbuca dalle tenebre con i fari che disegnano le curve della strada. Il sentiero che dopo Linares entra ed esce dalla carretera, è costellato di pozzanghere e scivoloso, per cui dopo qualche tentativo di seguirlo, rinuncio, procedendo velocemente sul bordo della carretera. Quando giungo a Fonfria, proveniente dal fondo del vallone, sul sentiero che mi fa sbuffare, vedo che il bar viene aperto proprio mentre spunto davanti. Appendo gli impermeabili all’esterno del bar, appoggiando lo zaino accanto al camino dove un grosso ceppo brucia scoppiettando, prendendo posto al tavolo per la colazione con due fumanti tazze di caffelatte, mai così apprezzate, ed alcune zuccherose ciambelle. La ragazza che lo gestisce, mi informa che per oggi il tempo sarà così, e che per i prossimi giorni il meteo è previsto variabile. Giunge un altro pellegrino, anche lui bardato come un palombaro, che bofonchiando contro il tempaccio, allaga il locale togliendo il poncho davanti al bancone con la ragazza che aggrotta le sopracciglia, ma non lo rimprovera; chissà quante volte avrà dovuto ospitare i pellegrini sorpresi dai temporali… Poco dopo essere ripartito, quasi in contrasto con ciò che aveva detto la ragazza, esce il sole, ed in poco tempo la nuvolaglia scompare quasi del tutto! Non mi par vero di camminare assaporando il calore del sole ed i superbi paesaggi che le vallate ed i monti offrono; ma evidentemente, era il classico “occhio del ciclone”, e nel giro di un’ora tutto cambia, con una violenta tormenta di vento e pioggia che mi costringe, a volte, a dover camminare di traverso, arrancando contro il fortissimo vento fino quasi all’entrata di Triacastela, costringendomi sulla carretera ed allungando il percorso di un paio di Km. Il sentiero che porta in Triacastela, incassato tra alte sponde di terra ed alberi le cui radici sporgono dai rivi, è bellissimo ed a volte orrido, anche se occorre porre attenzione a non sdrucciolare sulle grosse pietre che lo pavimentano. Nei miei ricordi, era un tunnel di frescura arborea e di flash che i raggi del sole, penetrando tra il fogliame, illuminavano la penombra nella quale camminavi…. Da Triacastela, vi sono due percorsi che è possibile seguire: quello che porta al Monastero di Samos, che è quasi tutto sulla carretera, salvo un tratto boschivo poco prima di giungere al Monastero che si scopre all’ultimo momento, infossato nella valle, mentre l’altro, che prende la direzione di San Xil , percorso cinque anni fa, nei miei ricordi è quasi sempre nei boschi, così, quasi cessata la bufera, mi avvio verso San Xil fidando nel ravvedimento del tempo. Mi accorgo subito che non ricordo quasi nulla del bellissimo sentiero; tutto sembra diverso, anche se immerso nei boschi, vi sono ripide salite e tratti di asfalto malridotto cancellati dai miei ricordi. Anche dove sorge la bellissima vasca con una grande conchiglia addossata al monte, luogo di gioiosa sosta per i numerosi ed accaldati pellegrini estivi, ora vi è un largo tratto di asfalto al posto dell’ombroso sentiero che ricordavo… La pioggia torna a tormentarmi, rendendo penoso il cammino già di per sé faticoso tra salite e discese che mi conducono all’Alto de Riocabo. Richiami di cacciatori ed abbaiare di cani, destano echi che si ripetono tra le vallate dalle quali folate di nebbia fredda ed umida risale. Incontro sul sentiero di cresta il gruppetto di cacciatori che udivo senza poterlo vedere, ed alle mie domande su cosa stessero cacciando, rispondono “Perdiz, Perdiz” (pernici), mostrandomi i carnieri desolatamente vuoti, offrendomi un corroborante e potente sorso di “Orruco”(grappa) al ginepro. Hay amigos, muchas gracias…..! Tra sprazzi di sole e rannuvolamenti improvvisi, entro in Sarria seguendo le conchiglie che l’Ayuntamiento ha disseminato nella pavimentazione della città fino a raggiungere il rifugio dopo aver passato il Rio Ouribio e salito la faticosa Scalinata Mayor che porta verso il Convento della Magdalena per arrivare al rifugio nella Calle Mayor. Sono le 16 quando vi entro e mi viene assegnato una delle ultime brande disponibili; è la prima volta che faccio tappa qui, e mi sembra che abbia bisogno di parecchio più spazio, così come di un bollitore più potente per le docce, tanto che riesco a malapena ad usufruire di acqua tiepida, mentre avrei bisogno di acqua calda a 1000 gradi per riscaldarmi!! Il bocadillo al chorrizo acquistato a Ponferrada, sebbene raffermo, compone il mio tardivo pranzo, prima di recarmi, per la S.Messa, alla Iglesia a pochi metri dal rifugio, dove intensamente prego San Giacomo di bastonare Giove Pluvio se per caso lo incontra. Anche qui, mentre assisto alla funzione religiosa, pochissimi pellegrini sono presenti, ed il rammarico per la china escursionistica e di moda verso cui il Cammino sembra sia trascinato, mi immalinconisce ulteriormente. Ma che posso fare se non auspicare una fioritura di rifugi, in cui la parte di accoglienza sia rivolta più allo spirito che non alla fredda e formale registrazione di presenza? Al bar dove attendo l’apertura del ”Comedor”(sala da pranzo), un giovane pellegrino spagnolo dallo sguardo mite, mi spiega la fatica di essere giunto qui oggi proveniente da Samos; ha un ginocchio che gli duole per una botta dovuta ad una caduta su una pietra, ed il timore maggiore, è che ha solo una settimana di tempo per giungere a Santiago; cartine alla mano, gli faccio notare che mancano poco più di 110 Km, in una zona dove vi sono moltissimi pueblos con tanti refugios, per cui camminando solo per 20 Km al giorno, sette giorni gli basterebbero, constatazione che gli risolleva un poco il morale e ritornare il sorriso. Dentro di me lo ringrazio, perché permettendomi di alleviare il suo cruccio, ha ridonato anche a me quella serenità che proviene dall’aver visto i suoi occhi di pellegrino angustiato, rasserenarsi, riprendendo luminosità e brio.

Lunedì 20-10-03. 59° tappa. Sarria – Eirexe. 39 Km. Refugio Municipal.

Anche se il rifugio era al completo, nella camerata nessuno ha disturbato oltre l’orario canonico delle 22,30, ed alle 23, giovani e meno giovani dormivano il sonno dei giusti. Mi sveglio ai primi movimenti di qualche pellegrino che si reca ai servizi; sono le 6,40, non ho più sonno, così dopo le abluzioni (con l’acqua fredda), preparo lo zaino, uscendo dal rifugio alle 7,20 attendendo che apra il bar per la colazione, poiché il “dueño”(padrone), ieri mi aveva detto che avrebbe aperto alle 7,30. L’attesa si prolunga, ma è troppo buio per mettermi in cammino, perciò attendo, e quando apre, si scusa per avermi fatto attendere sotto la pioggia; due tazze di bollente cafè con leche ed un pane al cioccolato valgono bene l’attesa, così mentre altri pellegrini entrano, parto vestito da sommozzatore sotto la pioggia. Il buio mi gioca un brutto scherzo, poiché non vedo un segnale che indica una deviazione a destra, proseguendo diritto per circa un Km, finché sicuro di essere fuori strada, chiedo ad una ragazza in attesa alla fermata dell’autobus. Ritorno velocemente sui miei passi, ed in un crocicchio vedo la freccia nascosta da un camion fermo accanto alla fontana; il sentiero mi è familiare, ma non ricordo che fosse così ripido, solamente quando costeggio i binari della ferrovia i ricordi concordano. Piove a tratti, ed il paesaggio boschivo profuma di funghi e di erba bagnata; passo attraverso piccoli pueblitos con le mucche che fanno sentire i loro possenti muggiti, mentre enormi chiazze, di chiara provenienza bovina, vengono liquefatte dalla pioggia, rendendo così il sentiero un acquitrino verdognolo, che riporta il sussiegoso pellegrino, alla vera essenza dell’essere…. E’ un cammino bellissimo (tolte le chiazze..), che si snoda tra valli e colline boschive su sentieri di terra o stradine asfaltate su cui non passa nessuno, ed i gruppi di case si succedono senza soluzione di continuità; querce e lecci, così come noccioli e rade betulle si alternano ai lati del cammino, dove i grandi alberi di castagno si riconoscono da lontano per il giallo tappeto di ricci che ricopre la Via. Quando passo dal pueblo di Brea, un sorriso mi affiora spontaneo, facendomi ricordare un famoso villaggio della saga del Signore degli Anelli. A lato del sentiero, dei cartelli avvertono il pellegrino che il rifugio di Ferreiros, è chiuso per ristrutturazioni e che il prossimo è in Portomarin, a 10 Km; non poco per chi aveva programmato la sosta a Ferreiros. Poco prima di arrivare a vedere le bianche case di Portomarin, la pioggia cessa, permettendomi di camminare finalmente in calzoncini corti riscaldandomi al sole. Il bellissimo e grande lago frequentato da piccole e colorate barche a vela, ora è quasi disseccato, ed il vecchio ponte, così come i ruderi della case, sono esposti alla luce del sole emergendo dalle acque bassissime; credo che il suo livello sia sceso di almeno 40m!!. Le folli temperature estive, hanno colpito anche questa verde regione, immaginando di quanto il povero Rio Miño, che ho davanti agli occhi, abbia dovuto subire il terribile salasso di acqua per dover alimentare l’Embalse de Belesar. Alle 12,30 riparto dalla scalinata della Capilla de Santa María de las Nieves a Portomarin, verso la passerella metallica che attraversa un braccio del lago, risalendo sul sentiero alla base del Monte San Antonio; il primo pueblo è Toxibó, poi Gonzar dove è un rifugio delle Xunta de Galicia a cui sono diretti alcuni pellegrini che vedo avanti a me. Altri due, proseguono sul sentiero ricavato a destra o a sinistra a fianco della carretera, fino a Hospital de la Cruz. Da qui, si prosegue su una strada asfaltata seguendo i numerosi pilar su cui è la conchiglia dei pellegrini; il tempo si mantiene bigio, ma non piove per il momento, sebbene una brezza tesa e fredda spira contraria al senso di marcia. Gli occhi spaziano sulla valle a destra, salendo lentamente ma inesorabilmente sul monte; non mi ricordo questo paesaggio, ed il desiderio di arrivare al rifugio, ingigantisce il senso della distanza, arrivando a chiedermi se per caso abbia sbagliato qualche deviazione, ma non può essere, poiché dopo 500m dall’ultimo, ecco di nuovo il pilar che segnala la Via. Ma allora dove è Ligonde, in cui la guida pone il rifugio? Il cartello segnaletico e già passato, ed il cielo si fa ancora più cupo con le nuvole dai contorni biancastri e sfrangiati, segnalando la probabile bufera: Ecco che entro nel pueblito di Eirexe; ormai Ligonde è alle spalle, e credo che dovrò accettare il fatto di camminare fino a Palas de Rei, quando chiedendo ad una signora che conduce una piccola mandria di mucche, lei mi indica il rifugio100m avanti da dove mi trovo. Grosso sospiro di sollievo, così le chiedo se vi è qualche famiglia che può cucinare la cena ai pellegrini, venendo indirizzato verso il portone di una casa colonica dalla quale esce un ragazzo che mi assicura che sua madre è la persona che gestisce il rifugio e si occupa della cena dei pellegrini. Sollevato per le incombenze più prosaiche, entro nel rifugio dove è già presente una giovane coppia di pellegrini spagnoli, prendendo posto nella ampia camerata; la doccia è quasi fredda, ma sono contentissimo lo stesso, quando, 20 minuti dopo essere entrato, si scatena la bufera di vento e pioggia che strapazza i grossi alberi di castagno accanto al rifugio, riempiendo la strada di ricci. Dopo la sfuriata di Giove Pluvio, giungono altri pellegrini; due spagnoli ed una coppia di francesi che avevo visto dirigersi al rifugio di Gonzar e poco prima di recarmi a cena presso la famiglia che mi ha assicurato la cena, giunge un altro spagnolo, mentre un pellegrino giapponese carico di un grosso zaino che gli arriva quasi ai polpacci, prosegue per la strada. La temperatura è notevolmente fredda, e devo indossare tutte le restanti maglie asciutte, chiudendomi nel Kway per evitare la dispersione del calore corporeo. Una sostanziosa cena con due grandi e fumanti scodelle di zuppa, omelette e vari tipi di formaggio irrorati da due bicchieri di vino rosso, mi riscaldano ben bene, cosicché, quando alle 21 rientro sotto la pioggia al rifugio, mi richiudo infagottandomi nel sacco a pelo, testa compresa, addormentandomi quasi subito con la pioggia che ticchetta maligna sul vetro della finestra.

Martedì 21-10-03. 60° tappa. Eirexe – Arzúa. 36 Km. Refugio Municipal. (accanto alla Chiesa della Magdalena). Tel: 981 50 04 55.

Ho dormito abbastanza bene nell’ottimo letto, ma l’umidità che vi era all’interno della camerata nonostante le porte chiuse, era consistente, ed il freddo che ho preso nel lavarmi i denti e rasarmi, era quasi uguale a quello all’esterno, facendomi ritenere che questi rifugi Municipali siano perfetti ed asciutti solo nei mesi estivi… Non vedo altra soluzione che intabarrarmi con tutto quello che ho scendendo in cucina per mangiare uno dei grossi bocadillos al formaggio che la signora mi aveva preparato ieri sera; accendendo un paio di piastre elettriche per riscaldare l’ambiente; sono le 07, ma la nebbia che grava mi consiglia di tergiversare fino alle 08 quando arriva anche l’autobus che raccoglie i lavoratori e gli studenti diretti a Palas de Rei, Arzúa o Santiago. Con l’autobus, arriva la brezza che in poco tempo scaccia la nebbia, potendomi incamminare sotto il cielo stellato sulla strada asfaltata che dapprima in leggera salita e poi in costante discesa, attraversa piccoli pueblos, tra cui un altro con il nome di Brea. Entro in Palas de Rei, discendendo una strada sterrata che costeggia degli impianti sportivi, sbucando accanto alla chiesa di San Tirso, illuminata da un caldo sole che mi fa ben sperare per il prosieguo della tappa. Scendo al rifugio, dove alcuni pellegrini francesi attendono l’apertura del bar che vi è accanto, fermandomi a chiacchierare con loro qualche minuto, poi via di nuovo velocemente con il cuore leggero come una piuma; sono a pochi Km da Santiago, e l’emozione che sento in me, potrebbe traboccare se si potesse materializzare! Ecco i primi boschi di altissimi Eucalipti baciati dal sole; passando accanto ad una casa, una signora mi offre ad un modico prezzo un cestello di “frambuesas”(lamponi); con un vivido flashback, ricordo che è la medesima signora che nel ’98, scendendo di corsa le scale del cascinale, offrì ad Alice ed a me un cestello di “fresas” (fragole) di cui Alice si ricorda con grande allegria ancora oggi. Ah, caro Cammino, sei capace di tormentarmi fisicamente con la pioggia e con il freddo, ma poi, ecco che mi fai volare tra le nuvole della felicità con questi piccoli episodi che mi ricordano il primo Cammino, splendido ed indimenticabile, in cui Alice mi accompagnava… Ecco di nuovo il superbo “Horreo”(silos), di Casanova dove è anche un rifugio, giungendo infine al bellissimo Ponte di Leboreiro, celebrato in migliaia di foto ed ora anche siti Internet. E’ la Galizia, la magnifica Galizia che ricordavo e che sto attraversando di nuovo, è così anche al ponte di Furelos, lo stupendo Ponte Velha a quattro archi di origine medioevale, dove con la amata vernice gialla, una mano amica ha scritto sul parapetto “Animo, falta poco!!”, dando la carica anche al più stanco dei pellegrini. Mi fermo in una piccolissima “Tienda” (drogheria), per farmi confezionare un bocadillos con del chorrizo, ed il proprietario, contento come una pasqua, lo riempie in maniera esagerata, infilandomi nello zaino, dopo averne bevuto un bicchiere, anche una mezza bottiglia di eccezionale vino bianco ambrato. Strizzandomi l’occhio argutamente, mi dice che bevendo questo vino, oggi potrei arrivare anche a Santiago, stappando un’altra bottiglia di nascosto dalla moglie intenta ai fornelli… Attraverso la città di Melide, in cui non ho mai sostato, infilandomi nuovamente in sentieri che attraversano boschetti di eucalipti ed altri più radi di querce in cui crescono felci altissime. Sentieri bellissimi che però non sono mai in piano, e le salite brevi ma ripide si sprecano, incontrando parecchi pellegrini diretti anche loro ad Arzúa. Poco prima di Ribadixo de Baixo, un signore scendendo rapido da una casa posta su una collinetta, mi raggiunge; pregandomi di accettare due mele, mi chiede in cambio di pregare per lui una volta giunto a Santiago. Sorpreso dalla rapidità dell’avvenimento inconsueto, lo ringrazio accettando i suoi frutti e la sua stretta di mano, poi veloce come era disceso, risale la collinetta, rientrando in casa. Appena sono fuori vista mi fermo per scrivere il suo nome, Ignacio, sul mio libriccino, accanto agli altri nomi di persone che mi avevano fatto la stessa richiesta. Risalgo la sponda del Rio Iso, dove sorge lo spartano rifugio di Ribadixo de Baixo, avvistando la città di Arzúa nella quale entro alle 14,30 dirigendomi al rifugio che trovo aperto, con numerosi pellegrini già acquartierati. E’ uno dei migliori rifugi del Cammino, ed è la prima volta che vi sosto; vi è anche una bella cucina ed una zona-giardino dove è possibile lavare gli indumenti e stenderli. In cucina, dove mi reco per mangiare il megabocadillo, incontro una famigliola di spagnoli intenti a rosolare del chorrizo; la madre mi racconta la loro devozione per San Giacomo, e l’episodio in cui un loro figliolo vittima di un terribile incidente, risorse dal coma dopo tre anni di ospedale, in cui lei ebbe l’opportunità di assisterlo assieme ad una equipe di medici che non persero mai la fiducia nel suo ritorno alla vita. Incontro di nuovo il pellegrino spagnolo dagli occhi miti e dal ginocchio malandato di Sarria; mi racconta, raggiante, che è tutto passato, e oggi assieme ad un altro spagnolo che parla italiano, hanno percorso più di 40 Km senza alcun disturbo. Assisto alla S.Messa nella vicina chiesa de la Magdalena, poi ceno in un bar-pizzeria, internet-cafè frequentato e gestito da giovani a pochi passi dal rifugio, rientrando giusto in tempo per assistere all’invasione allegra di un gruppo di giovani pellegrini spagnoli, che mitizzano la bontà e la squisitezza del pulpo che hanno mangiato in un ristorante all’entrata della città. Coricandomi dentro il sacco a pelo, ringrazio San Giacomo per la splendida giornata che mi ha concesso, ricca di episodi emozionanti e commoventi, che quando meno te lo aspetti, il suo Cammino ti fa partecipe…. Ultreya!!!

Mercoledì 22-10-03. 61° tappa. Arzúa – Santiago de Compostella. 39 Km. Seminario Menor. Avenida de Quiroga Palacios. Tel: 981 58 92 00.

Mi sveglio al rumore di altri pellegrini che anticipano di poco il mio orologio, sono le 07 del giorno in cui arriverò a Santiago; da quando partii, il 19 di Agosto, sono 63 giorni che l’attendo, ed ora mi sento pronto ed anche un poco ansioso. Uscendo dal rifugio alle 7,30, vedo che il tempo mi terrà sulla corda, essendovi un nebbione “padano”che mi costringerà a camminare per qualche Km sulla carretera; faccio sosta al bar, che in piazza è già aperto, vedendo che vi sono parecchi pellegrini spagnoli intenti alla colazione che salutano allegramente l’ultimo arrivato. Scambio di eventuali notizie sul tempo di oggi, ma è il barista che ci gela tutti; «Hoy, tiempo malo hasta la tarde», così sentenzia allargando le braccia ed allungandoci bollenti tazze di caffèlatte. Non mi disturba più di tanto, ma avrei preferito che la pioggia, al momento assente, almeno per oggi mi risparmiasse; mi preparo comunque mettendomi i pantaloni impermeabili, che, avendo le cerniere ai lati, posso tenere aperti per non sudare e la mantella stretta allo zaino. Salutata la numerosa combriccola che si attarda, riprendo il cammino nell’oscurità camminando sulla Carretera 547 fino dopo il pueblo di Raido con la nebbia che lentamente si alza, permettendomi di prendere la larga pista in terra che tortuosa, mi fa passare attraverso minuscoli pueblos, di cui non conservo memoria. Per un sentiero che mi conduce attraverso boschi di pini e di eucalipti giungo a Salceda sotto la pioggia che ha iniziato a cadere intermittente, trasportata da grandi nuvole che viaggiano veloci alternandosi al sole. Il cammino, ora attraversa svariate volte la carretera, ma quando entra nei boschi di eucalipti, è una spettacolo, ed il sottile profumo che le foglie sprigionano, è un toccasana per lo sforzo che si fa durante le frequenti salite; larghe piste forestali, sulle quali di tanto in tanto passa una camionetta della forestale, sono segnalate ogni 500m dai pilar che scandiscono i Km che mancano a Santiago, e il dover contarli uno ad uno, rende il cammino ancora più interminabile. Vi è ancora un altro pueblo denominato Brea, poco prima di giungere a Santa Irene, dove, accanto alla carretera, sorge il rifugio ora chiuso. Vi sono parecchi pellegrini che mi precedono lungo il sentiero, ma quando arrivano, ancora sotto la pioggia, al rifugio di Arca O’Pino, parecchi si fermano preferendo rimandare a domani l’arrivo a Santiago. Il sentiero, è un continuo dentro e fuori dagli estesi boschi di eucalipti, ed a volte, quando si arriva in cima ad un colle, apprezzo gli ampi spazi di pascoli su cui l’occhio può cambiare paesaggio. Quando raggiungo la zona dell’aeroporto di Lavacolla, il sentiero diviene stretto tra arbusti e cespugli di ginestre che mi scaricano addosso altra acqua, iniziando il tortuoso giro che porta a risalire il duro Monte de San Marcos, alle prime propaggini del Monte do Gozo, con il tempo che impazzisce ogni 15 minuti cambiando la pioggia con il sole che ti cuoce se sei chiuso negli impermeabili, tanto che alla fine, stufo ed accaldato, proseguo solo con l’ombrello aperto per ripararmi sia dall’una che dall’altro. Operai e ruspe stanno posando delle tubature lungo la strada di Vilamayor che assomiglia di più ad un pantano marrone che ad una strada asfaltata, costringendomi a camminare nei larghi solchi che gli enormi pneumatici delle scavatrici lasciano al loro passaggio. Ma cos’è mai oggi? E’ un giorno di penitenza e di fatica come mai me lo sarei immaginato, ma quando finalmente raggiungo il camping, e poi il grande centro di Monte do Gozo, vedendo da lassù le guglie della Cattedrale di Santiago, la fatica lascia il posto al senso di grande meraviglia e di soddisfazione che inumidisce gli occhi, seppur non nuovi a questo spettacolo, da tanto tempo atteso ed ostinatamente perseguito per migliaia di Km! Raddrizzando la schiena e rimettendo in bell’ordine lo zaino, scendo verso la città, attraversando la lunga e dimenticata periferia; solo quando arrivando dalla Rúa das Fontiñas raggiungo il crocevia dell’Avenida de Lugo vedendo la Rúa dos Concheiros, riconosco i luoghi, poi, arrivare alla Porta do Camiño è un percorso familiare che è stampato nella memoria. Quando raggiungo la Praza de Obradoiro, entro subito nella vastità della Cattedrale, ringraziando San Giacomo per l’aiuto datomi lungo il cammino, e pregando per le persone che mi avevano affidato le loro suppliche. Non vorrei ripartire e resto seduto centellinando il senso di casa che la Cattedrale mi infonde, forse perché raggiunta a prezzo di tanti sacrifici e di innumerevoli giorni di cammino. Uscendo nel sole attraversando il magnifico Portico della Gloria, dico arrivederci tra 4 giorni, alla Cattedrale ed a San Giacomo che mi attende per l’abbraccio, dirigendomi alla Oficina del Peregrino per il timbro definitivo sulla Credenziale e per ritirare la Compostella, simbolo e suggello del compimento della Peregrinatio “Ad Limina Sancti Jacobi”. Sono le 16,30, e per terminare il mio programma di viaggio, devo assolutamente trovare una cartina che mi indichi il percorso da qui fino a Finisterra, un tratto di 90 Km; altri tre giorni di cammino per arrivare a piedi, ai confini della “Tierra Conocida”del mondo antico. Dopo aver atteso l’apertura dei vari Uffici di Turismo, e poi corso come un pazzo per la città affollata, con lo zaino ed il bordone in mano ai vari uffici che mi avevano indicato, finalmente trovo quello giusto; è l’Oficina del Xacobeo, sito in Avenida da Coruña al N° 6, discretamente nascosto ad occhi estranei!! Cortesissimi ed efficienti, i ragazzi mi informano ben bene, e mi consegnano delle esplicative cartine con il tracciato per uscire da Santiago partendo dalla Cattedrale. Efficienti e con estrema attenzione al pellegrino a piedi, mi informano anche che l’ufficio meteorologico, ha allertato la protezione civile per una forte perturbazione in arrivo a cominciare da domani mattino e per i prossimi 4 giorni!! Resto di sasso, ed anche loro mi dimostrano il loro dispiacere, ma hanno avuto disposizione di avvisare i pellegrini transitanti nei loro uffici. Ritornando verso la Cattedrale per dirigermi poi al Seminario Menor per l’alloggio, rimugino sul prosieguo del cammino, non desiderando per niente prendermi altri giorni di pioggia o peggio, visto che tra l’altro il freddo comincia a farsi sentire, essendo a poca distanza dall’Oceano. Il vero pellegrinaggio termina qui nella Cattedrale di Santiago di Compostella, ed il resto può essere una piacevole coronazione del Cammino, ma come tale, deve essere piacevole, e non come in questi giorni, una sofferenza! Al Seminario Menor, dove mi dirigo per l’alloggio, vi è posto in abbondanza, e dopo la doccia (tiepida), trovo anche il tempo per lavare gli indumenti stendendoli sulle numerose cordicelle del locale servizi. Uscendo per la cena alle 19,30 al bar LM, vicino alla Stazione Ferroviaria, decido a malincuore un programma di massima per i giorni a venire che domattina alla biglietteria della Stazione potrà avere seguito se troverò posto libero sui treni verso l’Italia. Quando alle 21 ritorno davanti alla Cattedrale per rientrare al rifugio, un vento gelido accompagnato dalla pioggia finissima fa cadere le mie ultime remore per terminare oggi il pellegrinaggio, così domani, metterò in pratica il programma di rientro a casa…

Giovedì. 23-10-03. Santiago de Compostella

Nel vasto dormitorio del Seminario Menor, non si è dormito per niente questa notte; violentissime raffiche di freddo vento fischiavano attraverso le fessure delle finestre, obbligandomi a ricoprirmi anche con delle coperte, e qualche porta del Collegio ai piani inferiori, sbatacchiava rumorosamente senza che alcuno la chiudesse. Una notte quasi da tregenda, che al mattino, lascia posto ad una alba livida ma limpida. Il regolamento del Seminario Menor, recita che dalle ore 10 alle11, niente deve restare nella camerata, così è giocoforza dover riprendere lo zaino per uscire. Alle 8,30, sono già alla Stazione Ferroviaria, dove prenoto i biglietti ferroviari per il ritorno a Milano con il seguente programma che ne è derivato:

Giovedì 23-10: ore 12 in Cattedrale Santa Messa del Pellegrino concelebrata da 20 sacerdoti, poi visita turistica della città.

Venerdì 24-10: Autobus diretto a Padrón, per la visita, nella chiesa di Santiago posta sul corso del fiume Ulla, al “Pedrón”, il cippo a cui, secondo la leggenda, fu legata la barca contenente le spoglie dell’Apostolo arrivata da Jaffa in Palestina, e poi della cittadina di Iria Flavia.

Sabato 25-10: ore 15,21 – Treno regionale diretto a La Coruña. Ore18,05 – partenza Treno Estrella diretto a Barcellona-Sants con arrivo alle ore 10,40 di Domenica 26-10.

Domenica 26-10: Treno Talgo delle 20,38 diretto a Milano, con arrivo alle ore 09,10 di Lunedì 27-10.

Ritornando nella Oficina del Peregrino per lasciare una lettera con una offerta alla Cattedrale da parte dei Podisti di Greco, una ragazza addetta, riconoscendomi come il pellegrino Italiano giunto ieri, mi chiama per nome; ne rimango stupito, così, lei mi mostra una lettera spedita dagli amici Podisti all’indirizzo di Don Jaime, giunta pochi minuti prima, in cui oltre alle poesie in dialetto milanese, catalano, spagnolo ed italiano, scritte dall’amico–poeta Ennio Crippa, che celebrano il Cammino di Santiago, essi lo informano del mio arrivo, proveniente dal Cammino di Vézelay. Ringraziandomi per la generosa offerta degli amici Podisti e per le originalissime poesie, mi assicurano che le consegneranno a Don Jaime dopo la S.Messa, poiché egli è ora impegnato in Cattedrale.

Alle 10, sono nella semideserta Cattedrale visitando la cripta dove è l’urna contenente le spoglie dell’Apostolo Giacomo intrattenendomi per le preghiere promesse alle persone incontrate sul Cammino, poi risalgo la scaletta per l’atteso ed emozionante abbraccio alla statua dell’Apostolo posta sopra l’altare che, con la Santa Messa, conclude i pellegrinaggi, concedendo ai pellegrini le indulgenze connesse. Lentamente, la vasta Cattedrale si riempie di pellegrini con lo zaino (dei quali riconosco alcuni), ma la maggior parte sono gruppi, tra i quali vi è un folto gruppo di italiani, giunto da Bologna in aereo, guidato da Padre Mariano, un Domenicano che conosce alcuni miei confratelli di Bologna, e poi persone e fedeli comuni. Non avevo mai potuto assistere alla S.Messa nei miei precedenti pellegrinaggi, e quando Don Jaime, il Cappellano della Cattedrale, si rivolge ai numerosi pellegrini che sono arrivati a piedi in questi giorni, non trattengo più l’emozione e la commozione per questo lungo e magnifico Cammino che sta avendo ora la sua conclusione più bella e significativa. Proprio come nei secoli addietro, quando i pellegrini qui giunti da tutte le parti del mondo conosciuto, attraversando difficoltà e privazioni di ogni genere, davano libero sfogo alla loro gioia intonando il “Te Deum”.

Ultreya!