Via Podensis

Via Podensis

Via Podensis – Camino Francés

Capitoli:

  1. Al Pellegrino del Cammino di Santiago di Compostella
  2. Perché “Pellegrino” oggi?
  3. Diario
  4. Fotografie

Questo “Diario di Pellegrinaggio” lungo un’antica via europea di pellegrinaggi da me vissuta e qui descritta è idealmente dato, come traccia di pellegrinaggio a colui che, con le giuste motivazioni e con desiderio di conoscenza, si pone in cammino cercando, per quanto possibile, di osservare e di attenersi al “Decalogo” descritto nel capitolo 1, fonte certa di arricchimento spirituale e culturale qualunque sia il suo Cammino.
Sala Mauro
Novembre 1999 © Tutti i diritti riservati

Al Pellegrino del Cammino di Santiago di Compostella

  1. Considera che migliaia di pellegrini di ogni classe e condizione hanno percorso il tuo stesso cammino durante secoli. Anche tu calpesterai le loro orme, e dopo di te altri faranno lo stesso cammino, fai parte di una lunga Storia!
  2. Cammina con un bagaglio leggero, uno zaino ed una borraccia bastano, così nella vita, poche cose sono necessarie e solamente alcune sono imprescindibili.
  3. Passa da ostello a ostello senza pregiudizi né preconcetti, ricevi con umiltà l’ospitalità, lasciati accogliere senza esigenze e pratica la nobile virtù della riconoscenza ed il saluto cordiale, il rispetto, porta con gioia la tua precarietà.
  4. Sperimenta con tutta la tua anima ed in tutto il tuo corpo come, andando, si fa cammino. Che la stanchezza di ogni giorno non ti privi della gioia intima di sentirti pellegrino, il cammino ti affatica, però il tuo spirito si rinvigorisce.
  5. E così scopri come, facendo il cammino, il cammino ti forma, perché mai si cammina invano. Tu sei anche il cammino che fai!
  6. Ricorda che è durante il cammino che avviene l’insolito ed il salvifico! “Gesù andava ad un paese chiamato Nain…” “Scese a Cafarnao” “Attraversava alcuni campi seminati” “Di ritorno dal fiume Giordano entrò in un villaggio” “Scendendo dal monte si fermò in un posto piano” “Gesù in persona si avvicinò e si mise a camminare con loro…” Per questo ha potuto dire con verità: “Io sono il Cammino.”
  7. Sai che il pellegrino non è un turista né un vacanziere, sai che essere pellegrino è simboleggiare la tua uscita di casa, guarda che non si ritorna come si è usciti! E’ la tua propria anima che cammina.
  8. Cammina con gli occhi ben aperti pronti alla sorpresa ed alla ammirazione del mondo che percorri, allora non avere fretta, gioisci con il camminare, non affrettare i tuoi passi, non agitarti, tranquillizzati e prega.
  9. Se fate il cammino assieme, fatelo tollerabile, canta e rendi felici i passi dei tuoi compagni, rendi facile il camminare insieme, forse puoi fare nuove amicizie, consolidare quelle iniziate, rafforza i legami di amicizia.
  10. Visita con devozione i santuari del Cammino di Santiago indicati durante il percorso, cerca le vestigia del percorso, avvicinati al cimitero, al mercato ed alla piazza del paese, osserva gli usi locali, i monumenti, conosci la sua storia, le sue leggende, le sue tradizioni, prova la sua acqua, il suo vino ed il suo pane, conversa con la gente del posto, il pellegrinaggio è anche culturale, letterario, artistico, musicale, folclorico e gastronomico.
  11. Cerca per quanto possibile di seguire i vecchi cammini del pellegrinaggio: Attraversare quel vecchio ponte, riposare ai piedi di quella croce, bere a quella fontana, scendere al fiume, ascendere a quella chiesetta… e praticare i riti propri del pellegrino.
  12. Pensa infine, se tutto quello che stai sperimentando nel cammino non è in fondo se non una chiamata di Dio che ti invita a seguirlo per il “Gran Cammino”, quello della Vita…

ed ogni mattina recita al cominciare il cammino:

HERRU SANCTIAGU
GOT SANCTIAGU
ULTREYA E SUSEYA
DEUS ADIUVA NOS
ALLELUYA
conchiglia1

Perché “Pellegrino” oggi?

Pellegrini lo siamo tutti, e lo siamo da sempre… Molte cose ce lo fanno dimenticare… Pellegrino, è l’homo viator che affronta un viaggio verso un lontano luogo sacro con una motivazione di fede, ed un effettivo bisogno di cambiamento spirituale… E’ colui che vede ed ammira le cose del mondo, ma desidera anche comprendere e meditare sulle cose dello spirito…E’ colui che, umilmente, lascia che il cammino con le sue “fatiche”, provochi il rinnovamento interiore a cui anela, sapendo che quando ritornerà, non sarà più come era partito, ma sarà “un Uomo nuovo”.
“EU SUM PEREGRINO IN SANTIAGO”

Diario

01/06/99 Martedì: Viaggio da Arcore a Le-Puy-en-Velay in treno: via Milano – Lione – Saint-Etienne.

Alle 4,30, Alice e Giovanna mi accompagnano ad Arcore dove prenderò il treno per Milano alle 5,15 (già si preannunciano le levatacce!); la sensazione, è di sentirmi un poco prigioniero di questo Cammino che mi rapisce, ed al quale non so dire di no. Cerco di dissimulare la mia emozione-trepidazione per questa partenza: non so come si svolgerà; è tutto completamente nuovo, non conosco a sufficienza la lingua Francese e non ho indirizzi sicuri a Le-Puy. Credo che Giovanna ed Alice siano più trepidanti di me: un marito ed un padre che parte per un pellegrinaggio di cui non ha mai sentito parlare fino a pochi anni prima e che forse è ciò che sta cercando da una vita; dare un senso ed una svolta ad una vita e ad una fede un poco barcollante, che sotto l’influsso di un modo di vivere troppo secolare, si dimostra nei fatti non consona ad un cristiano cattolico ancorché poco praticante. Saprò poi che hanno versato lacrime di angoscia; me ne rammarico e le metto sul mio conto. Il treno da Milano parte in orario; il viaggio è monotono ma si svolge di giorno e ne sono felice. A poco a poco cambiano i paesaggi e gli annunci dell’addetto al restaurant; difatti dopo le montagne e i lunghi tunnel si parla solo Francese. Arrivo a Lione alle 12 e mi porto subito al binario da dove parte il treno per St. Etienne; soffia anche un poco di vento comunque caldo, ed alle 16,04 parto per Le-Puy su un treno vecchio e scassato che mi scuote da tutte le parti. A bordo ci sono dei randonneurs-pellegrini e mi rinfranco un poco: andranno anche loro in un rifugio no? Arrivo a Le-Puy in orario alle 17,30 e mi butto a parlare con gli altri randonneurs: che sorpresa, loro mi capiscono ed io capisco loro; mi dicono che c’è un rifugio e che si trova proprio dietro la Cattedrale. Sono sottilmente felice: chiedo informazioni alle persone e non mi pare vero di essere compreso e di comprendere. Dopo svariati giri in strade e stradine scorgo una conchiglia di St Jacques su una insegna; entro, ed un signore affabile mi accompagna gentilmente alla Maison de St.François (dove c’è il rifugio), attraverso un dedalo di viuzze caratteristiche; c’è posto, ed addirittura una cameretta tutta per me, ed è proprio dietro la Cattedrale. Giungono gli altri due randonneurs e chiedo loro informazioni per un restaurant economico: fortuna che il senso di orientamento non mi manca, altrimenti mi sarei perso in tutte quelle stradine antiche, strette ed acciottolate con ciottoli di fiume bianchi e ciottoli di lava neri. Capisco poi che sono nella parte più caratteristica della città! Bene ora si mangia: lasagne alla bolognese!? cotolette alla milanese!? (con sopra degli spaghetti!) orrore! però il vino rosso è buono, ma il caffè è lungo. Va bene; forse la cucina francese è buona sopra le “Trois Etoiles!”. Ritorno alla Maison de St.François apprestandomi a dormire; nella mia cameretta c’è molta tranquillità mentre fuori tira un vento boia: mi farà asciugare le magliette e le calze!

02/06/99 Mercoledì: Visita alla Ville di Le-Puy-en-Velay

La Messa del pellegrino è alle 7, nella Cattedrale; quindi sveglia alle 6,30. C’è sempre un ventaccio che sbatacchia le imposte mentre enormi nuvoloni corrono per i cieli francesi; sono juventini e spero che portino bel tempo. Entro nella Cattedrale di Notre-Dame de Puy; sull’altare principale del 1723, vi è la statua della Vergine Nera e nella navata di sinistra vi è la piccola statua di St-Jacques davanti alla quale i pellegrini, riceveranno la benedizione prima di intraprendere il cammino. Vi sono già dei pellegrini con gli zaini pronti e, dopo una suggestiva S Messa, il Monsignore chiede a tutti da dove provengono e dopo averli benedetti, dona loro una piccola medaglietta raffigurante la Vergine Nera; al termine, in sacristia timbro la credenziale. Esco, ed in città in un piccolo bar, prendo un café au lait ed un croissant, poi inizio il tour della Ville. Dire solamente che è bella è un poco riduttivo; ci sono vie e case caratteristiche con molti fiori ai balconi, quasi sempre rose. Poi alle 9, aprono i negozietti di ricami di cui Le-Puy è rinomata; sono i tipici merletti di pizzo (Dentelles) di fattura veramente squisita, all’esterno del negozio sono seduti gli artigiani che con rapidità e destrezza mostrano all’avventore il procedere del pizzo: favoloso! Con la guida alla mano vado alla Chapelle de St Michel d’Aiguilhe; è del XII secolo, posta su un cono di roccia vulcanica alto 80 mt con 268 gradini ripidamente intagliati sui fianchi. Alla sommità vi è una Cappelletta molto bella ed austera (come quelle che spero di vedere in questo pellegrinaggio); nel suo interno è stato scoperto, nel 1955, un piccolo tesoro religioso di provenienza orientale, affascinante! Più tardi mangio qualcosa per pranzo; panini ed una birra seduto in un giardinetto e poi vado alla Rocher Corneille che domina la città con la statua della Vergine di Notre-Dame de France. Eretta nel 1860, è stata fusa con il ferro di 213 cannoni presi nell’assedio di Sebastopoli; all’interno è vuota ed attraverso una ripida scaletta a chiocciola, permette di salirvi e guardare la città attraverso degli stretti oblò. Poi vado a perlustrare il percorso di domani perché partirò presto e non vorrei perdere tempo a cercare il percorso, quindi: dalla scalinata della Cattedrale, scesi i 268 gradini, si va a Place du Plot poi Rue St-Jacques, quindi Rue des Capucins, Rue de Compostelle e qui scorgo le prime conchiglie di St-Jacques accanto ai primi segnali della GR 65, bianchi e rossi. Naturalmente la strada è tutta in salita (prime avvisaglie di ciò che sarà il cammino), oltre 300 mt di dislivello come quasi tutte le tappe seguenti, alla partenza di ogni mattina. Ora vado a scrivere le numerose e doverose cartoline di saluto ( mentre scrivo penso se riuscirò a scrivere quelle da Santiago, tra circa 2 mesi di peregrinare), mi viene quasi il callo dello scriba al termine! Sono le 19 quando rientro; ceno con un poco di frutta, yogurt, un panino ed una birra poi preparo lo zaino: questo rifugio è bello ma non si ha modo di parlare con nessuno, sono tutti nelle loro camerette! Speriamo meglio domani o, nelle prossime Gite d’etape!

03/06/99 Giovedì: Prima tappa: Le-Puy-en-Velay , Monistrol-D’Allier 27.5 Km 7 h.30′

Sono le 6.00 e mi sono svegliato bene; è tutto pronto, zaino, cartoline da spedire ecc. Lascio la mia cameretta in ordine e scendo in cucina a preparare la colazione dove ci sono altri pellegrini che partiranno oggi; ci scambiamo un poco di notizie: dove si va, da dove si viene, il tempo ecc. C’è un Francese con cui simpatizzo subito; chiacchieriamo un poco del più e del meno, poi alle 7,00 ci salutiamo; lui va ad Arles dove prenderà la “Via Tolosana” ed entrerà in Spagna dal Col de Somport nei Pirenei. Saluto il rifugio e gli altri pellegrini e vado in Cattedrale perché voglio partire da lì; ci sono i preparativi per la Messa del Pellegrino e c’è anche una troupe televisiva che sta facendo delle riprese. Il Monsignore mi riconosce e mi chiede se resto per la Benedizione; io gli ricordo che mi ha benedetto il giorno prima ed allora mi saluta con una stretta di mano: è una persona molto cordiale ed alla mano. Bene Sala: gambe in spalla e si parte! Mi sento un poco in subbuglio, riuscirò ad arrivare a Santiago da qui? Mancano “solo” circa 1.500 Km!! Fiducioso, scendo les Escaliers della Cattedrale; sono le 7.15 ci sono poche persone in giro: subito Place du Plot, Rue St Jacques, Rue de Capucins, Rue de Compostelle: sto lasciando Le Puy! Mi sento tremendamente emozionato e felice; sono in cammino già in alto sul plateau che domina la Ville, vedo in lontananza le guglie della Cattedrale; la statua di N.D. de France e la Chapelle de St-Michel d’Aiguilhe in cima al “nek” (antica colata di lava). Ora l’asfalto finisce e cammino su una strada bianca dove vedo un fusto di croce; è la Croix de Jalasset. Poi sentieri di terra, di erba, pietrosi; boschetti e piccoli sentieri bordati da muretti in pietra, mi sono già alzato di più di 350 mt! Si sale ancora ed arrivo a St-Cristophe sur Dolaizon; è un piccolo villaggio in mezzo ad un mare di prati, muretti in pietra ed abetaie, quindi arrivo a Tallone: un hameau di quattro case ed una fontana. Sono a circa 1.140m slm; passo per Ramorouscle e poi, prima di Montbonnet, ecco la Cappella di St-Roch; è bellissima, proprio come la foto sulla guida! Faccio delle foto e poi entro ad ammirarla, è veramente bella nella sua semplicità. Lascio un messaggio sul libro presso l’altare e via di nuovo; il tempo è bello c’è un poco di vento ed in cielo nuvole bianche che sembrano batuffoli di cotone India. Dei pezzi di sentiero sono fangosi per cui sto attento a non scivolare. Ho un piccolo problema al sottopiede destro che mi si alza sfilandosi da sotto il calcagno e sale fino al tendine dandomi non poco fastidio. Poi arrivo a Le Chier dove vengo ingannato da uno strano balisage; il sentiero buono è sbarrato da una cordicella ed io prendo l’altro, quindi: 30 minuti di cammino e 100 mt di dislivello per niente! Ritorno sui miei passi e dopo aver ben guardato, ritrovo il segnale ed arrivo con una ripida discesa al Mulin de Piquemeule da dove risalgo fino a St Privat D’Allier anche qui poche case con un fontanile. Il sentiero è marcato anche con vecchie croci in pietra o in ferro, mentre mi accorgo che sono già circa 5 ore che cammino; davanti ad un calvario di tre croci, faccio uno spuntino, poi scendo sulla D301 e risalendo un pezzo di sentiero ripido giungo a Combriaux, poi Rochegude che ha un bel fontanile, indi Practlaux. Trovo le prime indicazioni per Monistrol d’Allier e vi arrivo dopo molti zig-zag del sentiero ed una discesa che non sfigurerebbe in Grigna! Penso ad Alice; sono 7 ore che cammino con forti salite e discese in una tappa lunga 27 Km circa: se fosse stata con me, avrebbe sicuramente preso una strinata! Arrivo alla Gite d’etape; è ampia ed accogliente ed il gestore abita proprio sopra. Dopo la registrazione ed il timbro della credenziale mi sistemo la branda; prima doccia francese, poi lavo le magliette, mangio dei panini in cucina e poi vado in paese per le compere. Ci vuole 1 Km di strada per arrivare ad una epicerie (un piccolo supermercato), dove compro da mangiare per la sera, il latte per la colazione ed i panini per la tappa di domani. Da una cabina telefono a casa e rientro poi di corsa al rifugio sotto una piccola pioggia. Più tardi mi preparo la cena ed al termine vado a nanna sperando che domani ci sia bel tempo!

04/06/99 Venerdì: Seconda tappa: Monistrol-D’Allier , Domaine du Sauvage 31 Km 7 h 40′

Ore 6, mi sveglio e guardo fuori; il tempo è brutto ed allora ritorno a letto fino alle 6,20 quando vado in cucina a prepararmi la colazione: gli altri randonneurs, o sono già partiti, o sono ancora a letto. Preparo il latte nel pentolino, ma non c’è più gas; nemmeno la piastra elettrica funziona. Cominciamo bene! Bevo il latte freddo, mi mangio un panino e parto. Sono le 7,10; c’è subito dopo un Km, una salita ripidissima che porta dai 600m del villaggio a circa 1000m e poi sale ancora di 200m meno ripida. Comincia a piovere e tira un bel vento per cui mi metto il poncho mentre il sentiero è un continuo su e giù. Arrivo a Montaure, poi Roziers e Rognac con una bella fontana. Dopo prendo la D589 e con 3 ore di cammino arrivo a Saugues; giro un poco in paese ed in un negozio di calzature trovo due sottopiedi anatomici Adidas! Sono a posto! Sostituisco subito quelli negli scarponcini e mi trovo a mio agio subito. C’è un vento micidiale ora ma ha smesso di piovere e tolgo il poncho; siamo a 1100m di quota e le nuvole corrono a rotoloni. All’entrata di Saugues vi è una statua in legno raffigurante un terrificante lupo; è la leggendaria Bête du Gevaudan: secondo una leggenda del 1750, qui vivevano branchi di lupi enormi che divoravano la gente del posto. Arrivo a la Clauze; c’è un “Donjon”, una torre di pietra circolare alta circa 12m, più avanti, sempre con continue salite e discese arrivo a Villaret-d’Apcher. Passo un ponte sulla Virlange; intorno a me ci sono prati verdissimi con grandi cespugli di ginestre fiorite ed intere abetaie bordate da ginestre; è stupendo, è una tavolozza verde con grandi chiazze gialle. In questo quadro bucolico pascolano mandrie di mucche o greggi di pecore dal muso nero. Attraverso la fattoria di Contaldes, poi sempre camminando su sentieri bordati da pietre e ginestre passo da Chazeaux; sono nella Margeride, terra di pascoli lussureggianti; le mucche hanno lo sguardo mite e ruminano pascolando beate su questo altopiano. Scorgo in lontananza paesini minuscoli dai caratteristici tetti puntuti ricoperti da lastre di ardesia nera o grigia; è tutto così affascinante! Sono immerso in un paesaggio di 2 o 3 secoli addietro! Cammino nel mezzo di foreste di abeti o pini ricoperti di muschio gonfio di rugiada; scorgo lungo i bordi del sentiero grossi funghi: penso che siano buoni, ma… ripasso di nuovo sulla Virlange e poi prendo la D587 fino alla segnalazione per Domaine du Sauvage che mi porta fuori cammino e prendo a sinistra la bella strada bianca di ghiaia fine. Mentre cammino ovunque poso lo sguardo, vedo abeti e ginestre in fiore; scorgo in lontananza a 2 Km circa una grande costruzione in pietra grigia: è la fortezza, il rifugio. C’è nell’aria un profumo che non riesco a definire, poi, vedo! Tutt’intorno a me i prati sono fioriti; a perdita d’occhio sono ricoperti di narcisi, di ranuncoli gialli, è una festa di colori: la stanchezza mi stava giocando un brutto tiro! Faccio delle foto a questo piccolo paradiso e poi giungo al rifugio; è una antica fortezza Napoleonica adibita a fattoria; vi è anche un piccolo lago, dove oche, anatre e galline, razzolano indisturbate tra le pecore e le mucche. All’interno è proprio come un rifugio di montagna, muri di pietra, tavoloni in legno un grande camino, una bella stufa ed il dormitorio al piano superiore (con dei letti duri però). Dopo la gratificante doccia calda, esco a rimirare il panorama; siamo a 1300m e fa parecchio freddo: il termometro segna 10 gradi! All’interno nella sala da pranzo, la legna scoppietta nel camino e si sta da Dio. La signora è cordiale; sta preparando la cena quando arrivano altri randonneurs. Tra loro rivedo Claudia e Peter, due svizzeri che sono in giro da 2 mesi; forse andranno anche loro a Santiago, se in Spagna non troveranno molta gente sul cammino. Arriva anche la troupe televisiva che avevo visto nella Cattedrale di Le-Puy; tra loro c’è un randonneur con cui avevo già parlato a Monistrol-d’Allier; è lui che sta facendo un reportage sul Cammino fino a Santiago di Compostelle: si chiama Florian, una guida alpina di Albertville in Savoia con cui simpatizzo subito. A cena è tutta una allegria con gli altri randonneurs; la troupe intanto ci riprende mentre Florian, che ha già fatto questo cammino 6 volte, spiega a tutti noi, fatti, antefatti e leggende di questo Cammino. Sono felice, mi sento tra amici, capisco abbastanza bene quello di cui si parla ed anche loro mi comprendono bene (anzi mi dicono che parlo bene il francese!). E’ probabile che entrerò nella storia visto che veniamo ripresi dalla TV di TF1! La cena è buona: pasta, confit du canard, formaggio innaffiato da vino rosso, poi torta con spumante: cosa dire? Se questa è l’anteprima del cammino…. Ciao, ci sentiamo domani!!

05/06/99 Sabato: Terza tappa: Domaine du Sauvage , Aumont-Aubrac 27 Km 6 h 30′

La sveglia è alle 6; preparo lo zaino e poi scendo in sala da pranzo. Avevo chiesto alla Madame le “petite dejeuner”, ma con mio disappunto non c’è niente di pronto! Claudia e Peter, che hanno già mangiato, mi dicono che c’è ancora un poco di caffelatte e marmellata con del pane: molto probabile che la Madame non si sia ricordata di preparare per tre persone. Sono le 7, lascio il rifugio e sono subito in piena foresta; fa freddo, ci saranno 8 o 9 gradi di temperatura; c’è un grande silenzio rotto soltanto dallo scalpiccio dei miei passi, che fanno scappare a grandi balzi dal sentiero delle lepri mattiniere: è tutto così irreale! Ogni tanto la foresta si apre in squarci di prati e ginestre, fiorellini gialli ed azzurri, piccole viole dai petali azzurri e bianchi, orchidee selvatiche accanto a dei monticelli di muschio turgido e gonfio! Arrivo dopo un’ora alla Chapelle de St-Roch; più in alto vi è una fontana a tre getti che secondo una leggenda del posto è miracolosa. La Chapelle de St-Roch fù distrutta da un ciclone nel 1897 ed è stata ricostruita nel 1901 con annesso un bivacco. Ora lascio la D987 e l’Alta Loira per entrare nella regione della Loziere; il paesaggio fa dimenticare il sentiero tipo montagne russe che mi porta a St-Alban sur Limagnole, un bel villaggio dal quale esco scendendo delle scalinate; poi con salite e discese arrivo a Grazieres-Mages dove attraverso su un ponte la Limagnole. Dopo ore di cammino giungo a Les Estrets; secoli addietro era una Commanderia degli Hospitaliers de St-Jean de Jerusalem. Da Les Estrets ad Aumont-Aubrac si seguiva la Via Agrippa la Via Romana che conduceva da Lione a Tolosa; passo da la Tuile, una ferme (fattoria) con una bella “Pigeonnier” (Piccionaia); qui i piccioni venivano allevati oltre che per la carne, anche per i loro escrementi che servivano come concime per i campi e per gli orti. Cammino tra faggete, e castagneti; vi sono ad ogni crocicchio di strade, croci di pellegrinaggio in pietra che testimoniano il percorso seguito dai pellegrini secoli prima e mi accorgo che sto camminando senza incontrare anima viva in un paesaggio vallonato, dove i piccoli villaggi sono rannicchiati nel fondovalle vicino alle sorgenti. E’ qualcosa di sorprendente per me tutti questi orizzonti stupendi senza alcuna presenza umana. Solo mandrie di mucche di razza Aubrac, che hanno gli occhi cerchiati di nero e le corna ben fatte e greggi di pecore punteggiano di bianco i prati verde smeraldo. I miei piedi calcano le terre del potente (ai tempi), Barone de Peyre; della Croix de Castanier trovo solo lo zoccolo ed il fusto spezzato. All’incrocio con la D7, ecco le balisage du Tour des Monts d’Aubrac; sono le 14, sono al rifugio ma apre solo alle 15; mentre aspetto bevo una coca e mangio un panino. Il gestore che arriva, ha la faccia tipicamente basca! Ma qui siamo lontani dal Pais Vasco! Poi Florian che è un suo amico, mi spiegherà che viene qui per l’accoglienza ai pellegrini. L’interno è bello, i muri sono spessi un metro fatto di grosse pietre, c’è una mangiatoia scavata nella pietra e sui muri sono appesi i collari dei buoi, di legno reso levigatissimo dall’uso ed una rastrelliera per il fieno; sembra proprio la stalla che 40 anni fa c’era a casa mia ad Arcore! Dopo avere fatto la doccia, esco per le compere e poi lavo le maglie che metto ad asciugare in un capanno aperto; difatti dopo un poco comincia a piovere bene ed a tirare vento. Giungono altri randonneurs fra cui tre simpatici amici in vacanza ed un ciclista che assomiglia tanto a mio papà; lui va a Santiago in bicicletta da corsa. Poi arriva Florian con la troupe televisiva al seguito ed anche qui faranno delle riprese, dato che il rifugio è bello, caratteristico e molto rustico. Florian mi dice che la tappa di domani non sarà così dura come sembra dalla guida, ma però sono sempre 30 Km, perché io vorrei arrivare ad Aubrac, alla Tour des Anglais. Ho fatto provviste anche per domani che è domenica, poiché non so se troverò dei negozi aperti lungo il cammino e lo zaino ora mi sembra un poco pesantino! A cena si mangia veramente bene con una minestra buonissima, poi pollo, carne di maiale arrosto, patate, una frittata ottima, del buon vino rosso ed alla fine torta della casa con del vino bianco! Ah dimenticavo; il gestore ci ha fatto gustare il suo aperitivo fatto con erbe di queste parti, eccezionale! Ora stiamo tirando tardi seduti a chiacchierare di tante cose mentre la troupe televisiva finito il lavoro, è andata in un altro albergo. Io tra poco vado a nanna sperando che il domani non sia bagnato.

06/06/99 Domenica: Quarta tappa: Aumont-Aubrac , Aubrac 30 Km 7 h, 45′

Sono ancora un poco assonnato e quando guardo fuori, il tempo è pessimo; ieri sera ha piovuto ancora ed ora è tutto nero. Tutti dormono ancora; sono le 5.30 scendo e faccio una piccola colazione con acqua e biscotti, tiro le 6 e poi decido di partire. Vorrei arrivare alla Tour des Anglais ad Aubrac prima delle 15; ha solo 16 posti e ci sono parecchi randonneurs sui sentieri! Prendo la D987, direzione Nasbinals: il mio zaino è piuttosto pesante, ho fatto provviste per oggi ed anche per domani perché ad Aubrac c’è un ristorante ed il rifugio, ma non ci sono negozi! Sto camminando sull’altopiano a circa 1200m di quota; fa freddo e ci sono banchi di nebbia. Il sentiero costeggia dei boschi di pini e di abeti e dalle scarpate ricoperte di erba gocciolante rugiada, occhieggiano grossi funghi: credo siano porcini. Attraverso la Chaze-de-Peyre e, dopo la Chapelle de Bastide seguo la D987 che qui ha ricoperto la “Via Agrippa”. Giungo a Lasbros, piccolo villaggio ancora addormentato; sembra un’altra bella tappa, ma è solamente un’ora che cammino e più avanti comincia a diventare dura, ci sono continui saliscendi ed il terreno a volte è fangoso. Attraverso un ponticello rustico di pietra granitica sul Riou Frech; ho dei problemi al collo del piede destro, mi si sta gonfiando ed è un poco rosso e duro: forse è stato il sottopiede? Non lo so ma vado avanti mentre il tempo gira sul pessimo e fa freddo: circa 10 gradi. Ritrovo Florian che ha preso delle scorciatoie e proseguiamo insieme fino al Moulin de la Folle; il sentiero ha dei tratti allagati o molto fangosi ed a volte ci tocca scavalcare il filo spinato e tagliare per i prati. Più tardi lo lascio alle sue incombenze (TV), e proseguo da solo; lui stasera si fermerà a Nasbinals. Ora sono ancora più in alto circa 1300m; è tutta una brughiera punteggiata da grossi massi di granito rossastro, anche il sentiero si fa roccioso. Dopo Finieyrols, arrivo alla cosiddetta Roc aux Loups, cui segue una bella discesa; non c’è anima viva in giro, è tutto silenzioso e gravido del temporale incombente; le nuvole sono nere, basse, ma per ora non stillano acqua. Cammino ora su una larga “draille” (sentiero di transumanza) pietrosa: qui ce ne sono di molto lunghe. Arrivo dopo 4 ore di cammino alle fontane di Rietourt-d’Aubrac che ho visto sulla guida; sono due bei abbeveratoi con la fontana a piramide e la “cuves” in granito. Anche il piccolo villaggio è costruito con lo stesso tipo di pietra; è proprio tutto di mio gusto! Qui la GR65 che seguo, propone una variante per il sito romano di “Ad Silanum”, ma secondo la guida non è ben segnalato e con questo tempo incombente evito la variante anche se propone siti che gradisco molto: sarà per un’altra volta. Raggiungo la D900 e dopo aver passato il ponte a due archi sulla Bes, lascio Marchastel, raggiungo Montgros e poi arrivo a Nasbinals. E’ un bel villaggio, belle case ed anche la chiesa è bella ed ha in corso dei restauri all’esterno. Esco dal villaggio passando davanti al rifugio e, prendendo un bel sentiero che più in là è bordato da faggete, attraverso un ponte sulla Chambouliès ed arrivo a Pascalet ove sono grandi granai con una fontana, anche qui vi sono croci di Via. Seguo un piccolo viottolo bordato da muretti in pietra fino a dei passaggi obbligati con dei cancelli; qui cominciano le “Ginestouse”, dei grandi pascoli sulla sommità di queste brughiere; sono recintati perché vi sono mandrie di mucche al pascolo e l’accesso è consentito solo ai randonneurs a piedi; non si finisce più di camminare su questi pascoli sterminati, fortuna che non piove! Dall’alto si intuiscono i paesini dai tetti luccicanti in lontananza, segno che laggiù piove. Le mucche sono indifferenti al mio passaggio e mi fermo poco più in la a mangiare qualcosa. Sono un poco stanco, ho le gambe di legno specie la destra che è rossastra e gonfia; ma ecco che là in fondo si profila “Le Royal” antico sanatorio, ora Hotel e centro di svaghi con tennis e piscine; più in fondo vedo Aubrac con la Tour des Anglais! Vi arrivo dopo una bella discesa; questa Tour è un poco tetra: sopra vi svolazzano dei corvi! Sono le 15,30 e qui aprono alle 17,30! Non è possibile! C’è aria e fa freddo; mi rifugio nella Chiesa annessa al Monastero più in basso; finora ho visitato molte Chiese sul cammino, sono tutte costruite con grosse pietre come piacciono a me, ma l’interno è di una severità al limite del disadorno. Solo l’Altare, qualche statua, il fonte battesimale, a volte delle vetrate e amen. Finalmente la ragazza che tiene le chiavi del rifugio arriva ed entro; c’è l’acqua calda ed anche il riscaldamento per fortuna, poiché è molto umido. Vi sono altri 4 ragazzi che prendono posto al piano più in alto; dopo la doccia mangio dei panini e bevo molto, poi prendo anche 2 aspirine ed alle 20 mi ficco a letto. Mi sento stanco ed infreddolito: forse è lo strapazzo di questa gamba destra arrossata; però questa Tour des Anglais assomiglia ad una topaia, poco degna di rifugio per pellegrini: i muri si sbriciolano, vi è polvere dappertutto, ed anche i materassi puzzano! Va bene, almeno hanno pensato di mettere dei termoconvettori per riscaldare l’ambiente data l’elevata umidità presente, se no sarebbe stata come una prigione d’altri tempi!

07/06/99 Lunedì: Quinta tappa: Aubrac , St-Côme-d’Olt 24 Km 5 h, 30′

Visto che la tappa di oggi è corta, mi sono svegliato un poco più tardi del solito e dopo una frugale colazione parto che sono le 7,30; il tempo è buono ma tira un bel vento.Eesco da Aubrac e prendo la D987 direzione Espalion in un sentiero tra muretti in pietra. Si intuisce già che sarà una tappa con molti dislivelli vista l’orografia del territorio; sono a 1200m di quota. Passo da Belvezet con il suo castello del XIII secolo posto in alto su uno sperone roccioso; poche case di cui alcune sono un poco rovinate e più in basso c’è anche una fontana. Proseguo fra noccioleti e querce fino alla ferme di Del Sail e dopo un’ora e mezza arrivo a St-Chely-d’Aubrac; è un bel villaggio ed ha un calvario del XVI secolo posto sul vecchio ponte della Boralde, raffigurante un pellegrino con il bastone che è scolpito nello zoccolo. Sull’altra riva prendo un sentiero dietro il cimitero poi, dopo vari su e giù rientro nella foresta sbucando vicino ad una ferme disabitata; giungo nei pressi di Veissets e qui faccio conoscenza con i cani francesi; sono sempre slegati e liberi: questi sono veramente rabbiosi! Fortunatamente c’è il padrone, altrimenti sarebbe finita a legnate! D’ora in avanti starò sempre sul chi vive passando vicino alle ferme. Dopo tre ore di cammino entro a l’Estrade, piccolo villaggio sonnacchioso ed uscendone prendo un cammino in discesa in una foresta di castani; il paesaggio cambia continuamente perché il sentiero mi porta a oltrepassare valli e burroni; vi sono sempre animali al pascolo, ma di cristiani neanche l’ombra! Discendo con strette curve al guado di Cancels e poi risalgo di nuovo; seguo la D557 su un ponte della Boralde fino a Martillegues dove c’è una bella croce camminando di nuovo su dei bei sentieri di terra o di erba. Il tempo è bello e c’è un poco di brezza, ideale per chi cammina. Incrocio di nuovo la D557 a la Rigaldie; la seguo fino alla D141 e poi la D987, che mi porta all’entrata di St-Côme-d’Olt. Dalla piazza de la Porte-Neuve passo sotto la Tour de Greffe e poi alla Place de Castelnau, dove c’è la Mairie (il Comune). Vado direttamente da M.me Ayard che mi conduce alla Gite d’etape, una casa antica situata tra viuzze strette e caratteristiche: però bisogna arrampicarsi fino al terzo piano! La Ville di St-Côme-d’Olt ha la Chiesa dedicata ai Santi Cosma e Damiano naturalmente, ed il tetto del suo campanile è curiosamente carenato a forma di fiamma; è il primo dei tanti che vedrò poi negli altri villaggi. C’è la Chapelle de la Bouysse, lo Chateau du Roy du Calmont ed un dedalo di viuzze strette ed incantevoli in cui ci sono fiori su ogni finestra: anche la Gite d’etape ha i suoi bravi davanzali fioriti. Ritrovo Florian e vado in giro con lui e Maurice un signore cordiale che ha le chiavi di una chiesetta in corso di restauro (la Chapelle de la Bouysse), e ci permette di visitarla; poi dopo le compere vado in farmacia per acquistare una pomata antinfiammatoria da applicare sulla gamba. In cucina ci prepariamo cassoulets (fagioli con pezzi di wurstel ), ed un minestrone; alla fine si lavano i piatti e si chiacchiera con altri randonneurs che sono nel frattempo arrivati. Fuori ricomincia a piovere ed al termine della cena andiamo a nanna sotto una pioggia che tamburella sul tetto soprastante. Comunque oggi è stata una bella tappa molto varia, sotto l’aspetto paesaggistico ed anche come territorio; cominciano a diradarsi le distese pastorali che lasciano il posto ai primi campi di coltivazioni di cereali o, se ben esposti al sole, filari di vigneti.

08/06/99 Martedì: Sesta tappa: St-Côme-d’Olt , Golinhac. 32 Km 8 h

Sono le 6.30 quando mi alzo e scendo in cucina a prepararmi 3 uova al tegamino; ci sono già dei randonneurs che fanno colazione (uno di questi si chiama Lionel e ci rincontreremo parecchie volte sul cammino). Florian è partito alle 5,30 per delle riprese TV, commissionate all’ultimo momento, più avanti sul cammino. Prendo il sentiero alle 7.15; il tempo è clemente, ma c’è aria fredda ed ho la gamba unta di pomata. La tappa si sviluppa nella valle del Lot costeggiando ora vicino, ora più lontano la riviere, tra belle colture e boschi fronzuti. Si ha già l’impressione di opulenza data dalle coltivazioni qui rigogliose poiché all’inizio ho lasciato dietro me sentieri assediati dalla vegetazione nella foresta; una croce di pietra cesellata, vicino al sentiero segnala la prossimità della “Font des Romieus” (sorgente dei pellegrini), ma bisogna cercarla nella boscaglia circostante, ed io non ho tutto questo tempo, malheureusement! Dal livello del fiume Lot, si sale ancora in alto attraverso ripidi sentieri poi, alla Ferme du Combres si ridiscende altrettanto ripidamente per risalire di nuovo alle case di Puech de Vermut; di nuovo giù verso le Lot fino alla Eglise de Perse, stupenda chiesetta Romanica costruita con pietra rosa; all’interno è ancora più bella con statue e capitelli di squisita fattura. Sono un poco di fretta e riprendo il cammino, entrando nella cittadina di Espalion; è bella, linda, e piena di fiori, adagiata in riva al Lot: Bisognerebbe avere più tempo, oppure fare tappa qui. Proseguo con rammarico guardando il bel ponte gotico a 4 archi che supera il Lot e vado per St-Pierre de Bessuèjouls; altra ripida salita che monta a Griffoul e dopo un piccolo sentiero in foresta, sbuco davanti allo Chateau de Beauregard e più in la ecco la Chapelle de Tredou. Il sentiero si interseca sempre più con le Dipartimentali; dopo l’hameau (frazione di case), di La Roque, risalgo un’altro colle ed alla sua discesa imbocco il vecchio ponte sul Lot che mi introduce in Estaing. La GR65 non entra in città, ma ci vado per fare provviste. E’ ancora più bella di Espalion! E’ una città d’arte ed il rammarico si fa ancora più forte al non potermi fermare qui: mi riprometto, se potrò un domani, di venirci come turista, per visitarla con calma. Merita veramente un paio di giorni di sosta; c’è un bel castello che si staglia là sullo sfondo, le viuzze sono stupende con le case dalla tipica architettura con i muri intarsiati dalle travi di legno lucido a vista. Scatto alcune foto affinché il ricordo non sbiadisca e riprendo il cammino che merita a mio giudizio, il titolo di “Montagne Russe”, che gli do. La GR65 qui, vuole strizzare il randonneur! E’ un continuo salire e scendere tra prati e boschi; è quasi mezzogiorno e seguo per un poco il corso del fiume, poi ricominciano gli strappetti spaccagambe: tra l’altro qui non trovo fontane e meno male che non fa caldo! Cammino su sentieri ora di terra, ora rocciosi od erbosi, si alternano tratti di asfalto con altri di ghiaia finissima. Passo diversi ruscelli; le coltivazioni sono ora molto estese, mais e girasoli ancora in fase di maturazione. Finalmente giungo a Golinhac ed al camping, per la prima volta, non trovo posto! Torno indietro alla Gite equestre; c’è un solo randonneur e mi sistemo comodamente. Sono un poco stanco, la gamba destra è sempre rossa e gonfia, ma non fa male. Mi faccio una bella doccia calda di 20 minuti e poco dopo arriva anche Florian; probabile che qualcuno mi ha visto al camping (la notizia che un pellegrino italiano sta facendo un reportage televisivo sul cammino, saprò poi che si è propagata velocemente) e gli abbia detto che ero qui. Giunge anche la troupe TV e ci fanno interviste e riprese dentro e fuori la Gite. Questa Gite equestre è bella; vi sono letti, docce, servizi, nuovi e funzionali, una cucina ampia con un camino (con poco tiraggio!), all’esterno vi sono i box per i cavalli ed un ampio spiazzo con tavoli. Florian che era alloggiato al camping si trasferisce qui con me e, dopo le compere alla piccola epicerie, ci cuciniamo zuppa e ravioli alla bolognese con vino rosso e frutta. Dopo cena, Florian mi chiede di proseguire con lui fino a Conques per terminare la parte francese del reportage, dopodiché lui ripartirà sul cammino per terminare il servizio il giorno 24 Luglio in Spagna, mentre io ho programmato un giorno di sosta a Conques. Accetto volentieri l’invito, dato che andiamo ambedue a Conques e poi abbiamo lo stesso passo sul sentiero…. Bene; ora vado a dormire, la tappa è stata lunga e faticosa ma veramente splendida! A domani.

09/06/99 Mercoledì: Settima tappa: Golinhac , Conques, 21 Km 5 h 30′

E’ un mattino radioso; nel cielo terso ci sono piccole nuvolette bianche e l’aria è frizzante. Facciamo colazione con latte e biscotti, poi alle 7 partiamo: qui stanno riparando le strade e la segnaletica è un poco sconvolta; dopo 10′ ritroviamo il segnavia che era stato spostato e si riparte camminando di buon passo chiacchierando. Si passa tra bei campi e piccoli villaggi come Albusquiers e Campagnac dove troviamo altri randonneurs più mattinieri di noi; stiamo tutti in gruppo, una decina di persone, camminando su sentieri o su piccole strade asfaltate. Entriamo in un piccolo villaggio dove stanno approntando un campo da gioco tipo le nostre bocce, ma non è il famoso gioco della “Petanque”; ma ora non mi ricordo il termine. Lasciamo il campo da gioco e continuando a chiacchierare arriviamo tutti a Senergues; c’è un bar aperto dove tutti prendono café au lait con dei croissant. La proprietaria venuta a sapere che sono Italiano, offre a Florian ed a me un altro café au lait: quando si dice l’accoglienza! Ce la prendiamo comoda; la tappa è corta, il tempo è ottimo ed anche la compagnia così si riparte alle 10.30. In un piccolo villaggio, Florian toglie dallo zaino una foto che lo ritrae con alcuni abitanti dello stesso e si avvicina ad una casa ricoperta da un roseto; ne esce una signora che lo riconosce: feste, saluti, e poi ci fa accomodare offrendoci del caffè e biscotti, anche lei è sorpresa che ci sia un italiano sul cammino; non conoscono Milano, ma Monza sì, potenza della Ferrari! Ripartiamo e dopo diversi valloni panoramici arriviamo proprio sopra Conques; la cittadina si scopre solo quando si è proprio sopra i suoi tetti, talmente è rannicchiata sul fianco della montagna. In alto ancora sul sentiero, troviamo Cristophe, un fotografo di TF1 che comincia a spararci foto su foto fino all’entrata nelle viuzze, dove ci attende la troupe televisiva. Ci fanno riprese ed interviste sul sentiero, vicino alle case o davanti a locali caratteristici ed infine davanti alla Cattedrale di St-Foy, sotto gli occhi di molti turisti. Poi ancora davanti al Centre d’Accueil de St-Foy posto dietro la Cattedrale; dopo una cerimonia di commiato, ad uso TV, con saluti ed abbracci tra Florian e me e con il dono da parte sua del suo bel bordone, andiamo al ristorante tutti quanti per un buon pranzo. Cristophe il fotografo, mi chiede poi di trovarci per un piccolo servizio fotografico in città alle 16, bardato con la tenuta del cammino; accetto volentieri, sono talmente simpatici e gentili! Al termine, saluto Florian che ripartirà per le altre tappe: verrà raggiunto il giorno 24 di Luglio a Santiago de Compostelle dalla troupe per terminare il reportage. Alle 16 ritrovo Cristophe e terminiamo il servizio; mi manderà delle foto a casa. Rientro al Centre d’Accueil che è veramente grande (73 letti), qui troverò altri pellegrini che poi durante il cammino rincontrerò e con cui stringerò una sincera amicizia. Ora sono di nuovo solo ma ho il bordone di Florian e farò di tutto per portarlo fino a Santiago. Conques è bellissima (molti francesi fanno solo questa prima parte del cammino perché, come ho visto, sono tappe bellissime), tutte le case sono, nessuna esclusa, di tipo medievale costruite con pietre o mattoni tipici, le viuzze sono caratteristiche e vi sono fiori dappertutto; i tetti sono puntuti e ricoperti da lastre di ardesia, ci sono scalettine che danno accesso ad angolini stupendi. Poi vi è la Cattedrale de St-Foy! Essa sovrasta con la sua mole la cittadina; c’è troppo da vedere per descriverla. Domina con le sue tre torri tutta la vallata della Dordou; l’interno è tipico delle chiese di pellegrinaggio a forma di croce, con il Deambulatorio a tre Absidi radianti. Il transetto è grande, la navata a 6 travate, molti capitelli sono finemente istoriati con bassorilievi. Ma il capolavoro è il timpano sopra il portale, con scolpito il tema dell’Ultimo Giudizio, dove un Cristo colmo di maestà, giudica e divide i buoni dai cattivi. L’interno è comunque spoglio di ornamenti; per questo appare austera e molto diversa dalle Chiese di pellegrinaggio Spagnole, molto ornate e baroccheggianti. A fianco della Cattedrale vi è il Tesoro di St-Foy (Santa Fede) veramente notevole, dove vi è la statua raffigurante St-Foy di bellissima fattura. Ecco un’altra cittadina dove bisogna venire come turista, c’è troppo da vedere! Stasera mangerò qui con i Padri Premontesi e con alcuni Fratelli laici; la gamba sembra migliorare e prego perché mi permetta di arrivare a Santiago nei tempi stabiliti. Domattina andrò a Messa, con la Benedizione del pellegrino, e poi darò inizio al tour de la Ville. A domani!

10/06/99 Giovedì: Giorno di sosta a Conques, al Centre d’Accueil de St-Foy.

Al mattino guardo parecchi pellegrini che partono, sono le 6 ma io mi prenderò un giorno di riposo fisico-culturale in questa incantevole cittadina. Alle 7,30 scendo per la S.Messa nella Cappella alle spalle della Cattedrale; gli Officianti sono Padri Premontesi ed i canti sono in Gregoriano ed imparo il canto Jacobeo dell’Ultreya da Frère Jean-Danielle, un giovane Padre con il quale stringo amicizia. Al termine, purtroppo, sono fuori orario per la colazione; la prenderò più tardi in un bar iniziando a visitare questa bella città medievale. Alle 9 ci sono già torme di turisti provenienti da tutta Europa ed addirittura un pullman di turisti Spagnoli che prendono alloggio qui al Centre, i quali, saputo che vado a Santiago mi sommergono di domande. Trovo il tempo di andare all’ufficio postale per inviare a casa delle cose, oltre ai rullini, che mi sono risultate superflue e mi appesantiscono lo zaino. La gamba è sempre gonfia per cui cerco un ambulatorio medico perché mi sono convinto che senza un consulto medico rischio il pellegrinaggio. Vado all’ambulatorio del Dottor Fau che mi accoglie e dopo una visita accurata, mi consiglia una visita specialistica ecografica dal Dottor N’Ghiem, a Rodez. Sono un poco tentennante, ma vista la piega che sta prendendo la cosa, da buon pellegrino, accetto il consiglio. Mi fissa l’appuntamento con il dottor N’Ghiem ed il taxi per il pomeriggio di oggi alle 17. Rodez è a 30 Km da qui, ma mi è necessario un responso definitivo circa la situazione-gamba! A mezzogiorno mangio con i Padri Premontesi e con i loro Fratelli Laici un buon pranzo con ottimo cibo ed allegria. Alle 17 il taxista è puntuale e gentile, parliamo del cammino durante la corsa poiché anche lui ha fatto il tratto francese. Arrivo allo studio medico; non c’è attesa e mi fanno subito accomodare. Dopo una accurata visita ecografica, ecco il responso del Dottor N’Ghiem: i primi giorni troppi Km ed ho camminato troppo rapido; la gamba non ha niente di anormale. Mi prescrive tre giorni di riposo assoluto, una pomata antinfiammatoria e mi pratica un bendaggio elastico. Sono le 20; il taxista mi porta in una farmacia di turno per acquistare il necessario e poi ritorno a Conques dove arriviamo alle 21. Per cena mangio qualcosa che ho nello zaino mentre faccio quattro conti vedendo che ho speso parecchi soldini oggi! E’ proprio vero che la salute costa! Ritrovo Philippe, il fratello laico che si è offerto di aiutarmi in caso di bisogno e cosi ci accordiamo per trasportarmi domani in macchina a Livinhac-le-Haut; è molto gentile, sono solo 23 Km, ma è meglio non rischiare sentito il responso medico! Rimanere qui a Conques per tre giorni è troppo; c’è troppa gente, ed al Centre, non ho più posto. A Livinhac ci sono, oltre alla Gite d’etape, negozi e tutto quanto per un soggiorno di due giorni. Bene, ora vado a nanna con il morale un pò più sollevato: era un poco sotto i tacchi! Ciao, a domani.

11/06/99 Venerdì: Ottava tappa: Trasferimento da Conques a Livinhac-le Haut. ( 23 Km 5 h 30′)

Stamattina, c’è un via vai di pellegrini sul piede di partenza; io sono ancora a letto, vorrei essere con loro ma non è il caso ed alle 8 scendo in refettorio per la colazione. C’è molta gente qui al Centre; sono alloggiati oltre ai regolamentari pellegrini e randonneurs, anche un certo tipo di turisti: quelli religiosi. Differiscono poco dai turisti normali, difatti provengono solitamente da Parrocchie o da comunità religiose e sono molto più tranquilli e disposti al dialogo con tutti. Effettivamente stamattina qui c’è un bel trambusto; siamo almeno in 60 persone ma tutti parlano senza fare tanto chiasso. Questa comitiva di 50 Spagnoli, è di una Parrocchia di cui ora mi sfugge il nome e sono qui a Conques con i loro preti per visitare questa magnifica Cattedrale. Danno un bel tocco di colore a questi posti sempre un poco austeri e si ha modo di conversare e di conoscersi a tavola; anche loro non hanno fretta (staranno qui 2 giorni). I pellegrini ed i randonneurs oggi hanno una tappa corta; quindi alle 9 ci si alza da tavola ed ognuno poi attende ai propri impegni. Io ho fatto conoscenza con altri pellegrini che ritroverò fra giorni più avanti sul cammino. Alle 11 Philippe arriva e si parte; sarebbe stata una bella tappa a piedi con ampi valloni e vedute panoramiche che sfilano ora ai lati della vettura. Il giorno è splendente di sole ed arrivando a Livinhac alle 11,30, incontriamo Claudia e Peter, i due svizzeri, in cerca della Gite d’etape; li prendiamo a bordo e dopo un poco eccoci in piazza dove c’è la Chiesa ed a fianco la Gite d’etape. E’ la moglie del Sindaco che tiene le chiavi del rifugio nel bar da lei gestito; ci andiamo subito e poco dopo Philippe ci saluta ed io lo ringrazio di cuore. In questo pellegrinaggio sto ricevendo molta generosità che spero di poter contraccambiare un giorno; gli chiedo il suo indirizzo: gli manderò una cartolina da Santiago! La Gite è bella e mi sistemo comodamente; letti comodi, una cucina spaziosa, i servizi, solo semplici. Il villaggio è tutto qui in piazza: Chiesa, Mairie, cartoleria, epicerie, Tabac, la Poste ecc; fuori villaggio, in riva al Lot, c’è un Hotel ed un camping. Più tardi alla Gite ritrovo Lionel, poi Olivier ed anche Vanik e Laurent. Sono le 13, mi riscaldo una scatola di cassoulets e poi dormo fino al pomeriggio inoltrato quando arrivano altri pellegrini; la cucina permette di cucinare bene e più tardi, alle 19, siamo a tavola in parecchi parlando animatamente di tutto. Io mi preparo una bollente zuppa con spaghettini e, dopo la frutta alle 9.30, vado al meritato riposo dopo essermi medicata la gamba.

12/06/99 Sabato: Primo giorno di sosta a Livinhac-le-Haut

E’ una bella giornata di sole; sono le 7,30 e tutti gli altri pellegrini, dopo parecchio trambusto in cucina con piatti, scodelle, casseruole ecc, e poi l’avanti-indietro con gli zaini, sono finalmente partiti. Resto solo io con Lionel, che ha deciso di riposarsi qui anche lui; facciamo colazione con calma e poi alle 10 decidiamo di fare un salto a Decazeville (la città del Conte Decaze, ai tempi). Si trova a circa 4 Km da qui superato un colle; ci andiamo perché è bene non perdere l’allenamento, ma anche per comprare delle cose che qui non ci sono. Attraversiamo il ponte sul fiume Lot e con andatura lemme-lemme, ci arriviamo come tartarughe alle 11,30 dato che abbiamo tutto il tempo a disposizione. Sulla gamba ho spalmato la pomata antinfiammatoria (Nifluril) e poi fasciata con il bendaggio elastico; si è già un poco sgonfiata ed il bendaggio nello scarpone non dà fastidio. La città è bella, grande ed ariosa, guardiamo tutti i negozi; poi in un grande supermercato troviamo un cappello tipo Stetson per Lionel, adatto a difendere la testa dal sole, ed una piccola torcia elettrica per me. Poi sempre bighellonando, ci adagiamo in un bar dove mangiamo dei gustosi sandwich ed una bottiglia di rosso. Alle 14 circa ritorniamo sempre lentamente a Livinhac, dove troviamo altri pellegrini tra cui Jean e sua moglie Andrea, le Colonel Jean-Pierre (gran ronfleur) con sua moglie Francine e parecchi altri ragazzi; si fa conoscenza e si chiacchiera fino a sera. Poi tutti in cucina; io ho trovato la pasta spaghetti De Cecco e con Lionel la mangiamo tutta (mezzo Kilo), con salsa al basilico napoletana e del vino rosso. Al termine prendo il coraggio a quattro mani e la tessera telefonica e telefono a La-Cassagnole; la mia prossima tappa, per riservarmi un posto: è la prima volta che telefono qui in Francia e con mia grande soddisfazione riesco ad intendermi benissimo con Michel il proprietario di La-Cassagnole. D’ora in avanti telefonerò sempre per riservarmi un posto nelle prossime Gite d’etape! Domani farò ancora un giorno di sosta; poi lunedì mi metterò in marcia per “Le-Relais St-Jacques”, a La-Cassagnole dove Michel e sua moglie Jean mi accoglieranno. Intanto io qui ci sto da dio; c’è tutto e, ancora meglio, la gamba oggi non mi ha dato nessun fastidio. A domani!

13/06/99 Domenica: Secondo giorno di sosta a Livinhac-le-Haut

Mi sveglio presto e saluto tutti i pellegrini che partono, chi per Figeac chi per La-Cassagnole; mi fanno gli auguri di buona guarigione ed anche Lionel parte; ci rincontreremo più avanti sul cammino. Poi faccio colazione; la Gite è tutta per me, lavo tutto il lavabile e poi preparato lo zaino, esco a gironzolare per Livinhac. Vado alla S.Messa nella Chiesa di fronte alla Gite; è bella è un poco più decorata del solito; ha anche un bel campanile ed un’abside di diversa architettura con una piccola fontana sul fianco. E’ di pietra grigia come al solito, ma l’interno è un tantino meno austero. C’è parecchia gente a Messa, però il Curato è un poco sul depresso. Poi vado al bar per una birretta e proseguo con le compere; qui la domenica mattina i negozi sono aperti per cui mi compro latte, uova, pane pancetta, e 2 buste di zuppa Knorr. A mezzogiorno mi cucino zuppa di fave, poi faccio la siesta fino alle 15 quando arrivano altri pellegrini; studio bene le cartine delle tappe, perché mi dicono che La-Cassagnole è fuori Figeac di circa 5 o 6 Km; quindi 24+6 Km fanno 30 Km: sono tantini per un convalescente, ed allora ecco l’utilità di varianti e scorciatoie che, conti alla mano, mi faranno risparmiare 9 o 10 Km. La prima variante è la”6A”, circa 4 Km, da la Guirande fino a La Raiuole; poi la seconda con un poco di asfalto, da Ravanel fino a Fumat, poi a l’Aiguille du Cingle, e senza entrare in Figeac, giungere a La Cassagnole. Il resto del pomeriggio è senza storia, difatti, dormo e riposo per permettere alla gamba di sgonfiarsi ulteriormente: sembra strano, ma lei sembra che mi ubbidisca!

14/06/99 Lunedì: Nona tappa: Livinhac-le Haut, La-Cassagnole. con le varianti 21Km 5h,30′

Oggi sveglia mattutina, sono le 6 e tocca a me prepararmi per partire; una buona colazione, poi i medicamenti e finalmente, alquanto speranzoso parto alle 6,30, mentre gli altri ospiti sono ancora tutti nelle brande. Cammino tranquillo e tutto va bene; il bendaggio si rivela un toccasana: Vado verso Montredon ed entro nel Dipartimento del Lot mentre si susseguono sentieri e tratti asfaltati; sto attento ai cani quando passo davanti alle ferme e difatti nei pressi della ferme di Lacoste, ne trovo 3 ringhiosi; però il mio bordone è bello grosso e li tiene a bada. Proseguo verso La-Guirande cercando la variante “6A”; la trovo senza difficoltà ma è asfaltata, però mi permette di risparmiare più o meno 4 Km. Sono piccole stradine asfaltate dove incrocio vecchie Dyane “2 CV” e Renault 4 un poco sgangherate ma ancora in circolazione! La tappa è un tantino monotona e arrivo a La-Cassagnole alle 13,30; le Relais St-Jacques (questo è il nome della Gite), è bello; é posto sul fianco di un vallone ed è ben ristrutturato, rustico ed arredato con semplicità e gusto. Michel e Jean, insegnano a chi è interessato grafia medioevale; sono bravi e cortesi ed estremamente disponibili verso i pellegrini. Ne approfitto e dato che c’è un bel sole, lavo la biancheria; poi piu tardi, arrivano Jean con Andrea, c’è anche Olivier dato che loro avevano fatto tappa il giorno prima a Figeac. Si chiacchiera un poco seduti sotto il pergolato davanti ad una birretta, sul prosieguo del cammino; io mi sento benissimo, la gamba è ancora un poco rossa ma si va sgonfiando gradatamente. Tiriamo tardi fino al crepuscolo poi ognuno si prepara qualcosa in cucina; per me c’è una zuppa di spaghetti con un panino al Jambon Crù ed una birra. Compro da Jean una forma di pane (qui non ci sono baguette, ma delle pagnotte tonde da mezzo Kilo pieno di mollica), poi telefono a Cajarc, prossima tappa per riservarmi un posto alla Gite. Tutto bene ci si comprende benissimo, e dopo un’ultima occhiata alla tappa di domani, vado a nanna.

15/06/99 Martedì: Decima tappa: La-Cassagnole, Cajarc 24Km 6h

La sveglia oggi è ancora alle 6; faccio colazione e dopo essermi rasato ed essermi medicato, parlo con Olivier che è sveglio e mi consiglia di prendere la variante che va ad Espagnac, Espinieres e St-Circ-Lapopie perché è molto bella anche se più lunga. E’ la GR651; sarebbero 3 giorni invece di 2, ma io scelgo la GR65 perché vi è nella cartina l’indicazione per vedere dei Dolmen, in questo tratto numerosi (così dice la guida). La tappa non è lunga; ma sono sulla Causse de Limogne, quindi in alto ed al sole. Cammino lentamente scattando delle foto alle “Garriotte”; sorta di antichi ricoveri in pietra di forma circolare ben conservati. Sto molto attento alle segnalazioni per i Dolmen e ad un bivio c’è n’è una; proseguo per un Km circa dopo il bivio ma non riesco a trovarlo. Parecchio più avanti ne vedo uno; non è in buone condizioni ma è proprio un Dolmen, altri Dolmen sono stati privati dalla loro pietra di copertura e quindi sono scomparsi! Presto molta attenzione al sentiero che è molto ciottoloso ed in pieno sole: non vorrei calpestare qualche biscia o peggio! Passo attraverso villaggi deliziosi ma che non hanno neanche uno straccio di bar aperto; attraverso Faycelles, poi Grealou (bella Chiesa) con la piazza ombreggiata. Continuo su sentieri pietrosi od erbosi intersecando le Dipartimentali; attraverso Martigne poi Semberot dalle poche case tutte in pietra, ed infine Mas de Langarre (una Ferme), sempre in alto sulla Causse. Poco avanti, ecco la vista dall’alto di Cajarc in riva al Lot, ma anche di una bella discesa lunga e ripida arrivando in città alle 13,30. E’ una bella Ville; ha un centro cittadino con delle viuzze molto strette e caratteristiche, una fontana con zampilli nella piazza principale e la bella ed antica “Chapelle de la Madeleine” dove poco discosta, è la Gite d’etape. E’ molto ben tenuta con una bella cucina, docce calde e buoni letti; il sole scotta quindi lavo la biancheria e poi esco per le compere dans le “Petite Casino” e per il solito tour de la Ville. Telefono a casa e poi a Pech-Ollie, la Gite equestre dove ho deciso di fare tappa domani, per riservarmi un posto con cena e petite-dejeuner all’indomani. Al rientro ritrovo i compagni di La-Cassagnole, altri invece li ho visti in piazza dove erano attesi dalle mogli con le vetture per ritornare a casa. In cucina mi preparo fagioli con salsiccia, formaggio ed una banana; al termine arriva Andrea e mi offre un dolce alla mela: come faccio a dire di no? Sono pieno come un uovo! A sera inoltrata arriva Mme Mignot a ritirare i moduli ed il corrispettivo per il soggiorno, (35 Franchi) e timbra le Credenziali. Prima di andare a nanna, mi spalmo ancora un poco di pomata sulla gamba che va molto meglio. Domani saranno circa 22 Km fino a Pech-Ollie; vedremo come sarà il percorso!

16/06/99 Mercoledì: Undicesima tappa: Cajarc, Pech-Ollie 22 Km 5 h, 30′

Cajarc è una bella città in mezzo alla frescura, situata in riva al Lot nel fondovalle ed al fianco ha la costa scoscesa della Causse che incombe su di essa. Il cammino passa proprio sotto questa falesia per qualche Km, poi si decide a risalirla e si ripiomba di nuovo dal fondovalle fresco ed ombreggiato, all’altopiano secco ed in pieno sole, in mezzo a pietre e ciottoli, in un mondo calcareo silenzioso ed immobile. Fino a Gaillac per circa un’ ora si cammina nel bosco basso, poi ecco le prime avvisaglie di questa Causse secca e rocciosa; arrivo ad una grande cava di pietre, Mas de Condarc dove c’è anche una Ferme; poi sentieri ciottolosi con muretti in pietra che tentano di trattenere, a stento, boschetti di querce invadenti. Arrivo a Mas de Dougarel dove c’è una bella croce ed una Ferme; più avanti ecco le quattro case (hameau), de Mas del Pech. L’orizzonte è libero e l’occhio spazia, non più fermato da boschi o foreste, ma solo da piccole collinette di rade e stentate querce, o da rigogliosi e verdeggianti boschetti di noccioli. Ci sono molte biforcazioni e crocicchi per cui presto molta attenzione ai segnali (bisogna dire che la FFRP ha fatto un buon lavoro ed il percorso è ben segnalato). Giungo finalmente al Mas de Bories, poche case con la classica costruzione proprio in mezzo: sono così preso a girarci intorno che mi dimentico persino di fotografarlo! E’ proprio bello, é ben conservato ed è circondato da una staccionata in legno con un bel cancello in un giardinetto fiorito. Cammino sempre sulla Causse (sono sempre sui 350m di altitudine) senza alture circostanti ed i muretti in pietra che sono sempre presenti, testimoniano il duro lavoro di ripulitura dei campi fatto dagli abitanti di queste lande. Al Mas de Palat c’è un’altra croce di via; poi dopo un lungo sentiero ciottoloso che si addentra in una bassa foresta, incrocio la D911. Poco dopo ecco il Mas de Bassoul; è un’altra costruzione tipica, ma è più vecchia ed è tuttora in uso. Proseguendo sul sentiero in un querceto ecco una bella indicazione per un Dolmen che dice “Dolmen du Joncas”, a 100m sulla destra; è in una proprietà privata, apro il cancelletto e mi addentro nel folto dove c’è una piccola traccia sull’erba, ed ecco alla fine che il Dolmen mi si presenta davanti, sopra ad un piccolo tumulo di terra contornato da querce. E’ bello, ben fatto ed anche ben conservato; non è alto come quelli irlandesi ma è indubbiamente un Dolmen, e può darsi che sotto questo piccolo tumulo vi sia la tomba di qualche antico guerriero. La fantasia galoppa e già immagina guerrieri Celtici e Gallici dappertutto. Faccio qualche foto e poi riprendo il sentiero che man mano diventa largo e sassoso mentre le suole delle mie Aku mi dicono che sono prossime a tirare le cuoia. Arrivo alla Ferme de Ferrieres-Bas, dove si possono comprare i “cabecous”; piccole forme tonde di formaggio di capra dal buon sapore fruttato. C’è ancora un segnale per un Dolmen proprio dietro la proprietà, ma non mi addentro; non ci sono persone, ci sono solo 2 cani ringhiosi! Giungo ad una croce di Via con una scritta: “Peres Capucins 1868”, e dopo diversi incroci con altri sentieri, ne prendo uno che in discesa mi porta ad un cartello che avverte: “Pech-Ollie” Gite d’etape, a destra per 1,5 Km. Fa già parecchio caldo e tornare all’indietro ancora! Arrivo alla Gite dove non c’è anima viva sembra; c’è una BMW.314 sotto un porticato mentre è tutto silenzioso in questo pomeriggio che si annuncia torrido. Poi ecco che arriva M.Serrez dai folti baffi neri; mi saluta e mi fa accomodare all’interno riprendendo poi le sue occupazioni. E’ una bella Ferme tutta costruita in pietra; c’è anche una “Garriotte” ben conservata, il cortile è ampio con una aiuola di fiori nel mezzo mentre l’orto è dall’altra parte del muro, accanto alla casa dove abitano M. e Mme Serrez. La Ferme è inondata di sole ma le stanze sono fresche, anzi fredde e dopo la doccia ed un pisolino, esco sull’aia per riscaldarmi sotto il gazebo. E’ tutto in silenzio; non c’è alcun movimento e tutto è immobile immerso in questa calura. Sono le 18 ed ormai penso che non arriverà più nessuno, forse gli altri amici si sono fermati a Varaire. Qui non c’è neanche il telefono; sono un poco avvilito, è come essere un eremita, neanche il cagnolino abbaia: è forse un posto da cancellare? Più tardi alle 20, M.Serrez mi chiama per la cena; si parla un poco e poi mi porta un antipasto di salumi caldi e freddi, poi un’altro vassoio con un minestrone di fave e ceci squisito, due bistecche con dell’ottimo vino rosso e quindi macedonia di frutta ed una torta di noci: per un pellegrino è come fare festa! Ora mi sento molto più ben disposto verso questa Ferme, così appartata, ma che forse mi ha dato modo di pensare bene a questo pellegrinaggio che ormai sta prendendo i suoi più veri connotati: la solitudine, il caldo, il desiderio di stare con altri ed infine, dopo ore di introspezione, ecco che si parla, si ride e si mangia anche bene! A domani.

17/06/99 Giovedì: Dodicesima tappa: Pech-Ollie , Cahors 32 Km 8 h 10′

La sveglia è alle 5,30 e dopo le abluzioni regolamentari faccio colazione; inutile dire che mi abbuffo con marmellata, latte, caffè, burro e fette di pane casereccio. Dopo aver salutato M. Serrez, parto alle 6,15; il tempo è buono ma c’è già una luce lattiginosa, segno che la giornata sarà calda. La tappa è un pò lunga, 32 Km, per cui cerco di mantenere un buon passo, dato che il tempo sarà afoso. La gamba ormai è del tutto guarita e tra un paio di giorni toglierò anche il bendaggio che mantengo ora per precauzione. Memore delle tappe precedenti, dove non ho trovato acqua qui sulla Causse, me ne porto 2 litri nello zaino; dopo mezzora arrivo a Varaire e poco dopo l’uscita, ecco una sorpresa che mi aspettavo: l’imbocco di una antica Via Romana, Sono state trovate a testimonianza di ciò delle “Dalles”, grosse pietre intagliate che formavano la pavimentazione originaria; ora sono ricoperte dalla terra. La sua particolarità consiste anche nella sua rettilineità, comune a tutte le Vie Romane; qui si chiama “Cami Gasco” (cammino guascone) e presso Mas del Vers sono state trovate tombe Gallo-Romane. La GR65 la seguirà per circa 15 Km sempre rettilinea; la guida dice che probabilmente i pellegrini del Moyen Age non percorrevano questa via che, essendo sempre in foresta, si prestava al brigantaggio; ma andavano di villaggio in villaggio, più lungo certo, ma più sicuro. Comincia qui a la “Peyrounasse” questa Via Romana; è larga e fiancheggiata ancora dalla foresta e dai campi; vi sono anche parecchie “Garriotte” in buono stato. Incrocio vie provenienti da destra o da sinistra che si immettono su di essa; anche le solitarie Ferme sono sempre lontane da essa. I segnali della GR sono scomparsi: forse che hanno finito la vernice? No, semplicemente bisogna camminare “tout droit”. Passo vicino alla “Maison-La-Roche”, poi dopo una pineta, ecco la Ferme de Poffy; più in là vi è la Ferme de Jambou. Attraverso la D42, primo tratto in asfalto; e qui riprendono i segnali biancorossi della GR. Entro nel bosco di Grezal, e dopo il ruscello des Valses, la via termina e si trasforma in sentiero o in pista, tra muretti di pietra. Sono 3 ore che cammino ed ora arrivo a Mas de Vers; dove c’è ancora un poco di “Cami Ferrat” (cammino per muli). Poco dopo la Ferme de Fangas, prendo un sentiero che costeggia un bel bosco ombroso che mi porta alla “Fontaine d’Outriols”, dove c’è un pozzo ed un lavatoio; seguo il corso del ruscello de Cieurac e passo vicino a due mulini ad acqua; ogni tanto mi fermo vicino a questi piccoli ruscelli per una piacevole sosta. La Via Romana così lunga e rettilinea, mi ha un poco estraniato dal mondo; i miei pensieri si libravano remoti ed evanescenti, in fantasticherie eterogenee dal mio incedere su questa via, che non ha mai un cambio di orizzonte ed è quasi sempre infossata nella foresta! Arrivo ad un crocicchio con la D6 e risalgo in alto sulla costa; ho visto un pannello che indica Cahors vicino a le-Gariat. Prendo un sentiero poco segnalato che mi porta in un vallone verdeggiante e prima di arrivare al fondo, ecco che rimonta ripido costeggiando il campo di calcio di Flaujac-Poujols; altra discesa ripida e quindi risalita al margine del bosco fino a La Quintarde. Trovo che il paesaggio sta cambiando in modo significativo; ora i campi sono meno ingrati e la Causse rocciosa lascia faticosamente il posto ai campi coltivati, alle vigne già rigogliose, ai repentini cambi di orizzonti, dove si indovina il profondo intaglio della Causse in cui è rannicchiata Cahors, nel fondovalle in riva al Lot. E’ ancora lontana, ed un pannello mi ricorda che sono presso Mont-Saint-Cyr; poco dopo ecco che cammino su una larga cresta secca e nuda, e poco avanti questa inizia a scendere ripidamente e scopre una bella vista su Cahors 300m più in basso. Arrivo al ponte Louis Philippe dove c’è un bel traffico cittadino: sono piombato dalla foresta in piena città in un attimo. Sono circa le 14; la lunga discesa è stata terribile, talmente era ripida! Al ponte trovo una cabina telefonica e telefono subito a casa, visto che ieri non mi è stato possibile, poi mi metto in cerca del Foyer de la Jeunesse du Quercy dove pernotterò passando prima dalla Cattedrale di St Etienne, che è veramente splendida! Il Foyer è poco distante (300m); mi danno subito una branda in una cucina dismessa ed anche la cena per questa sera. Dopo una buona doccia (ambiente scadente), esco a visitare la Ville ed a fare le compere e davanti alla Cattedrale ritrovo Peter e Claudia, i due svizzeri, che sono alloggiati in un altro Foyer. Al rientro, dopo avere scritto e spedito parecchie cartoline ritrovo Jean e Andrea; Jean è caduto lungo il sentiero e si è fatto male al ginocchio ed ha anche rotto un dente. Riposeranno qui per 2 giorni e poi andranno a St-Jean-Pied-de-Port in treno. Sono contento di ritrovarli e di parlare con loro; qui sono alloggiati tanti altri giovani, ed una coppia che festeggia il matrimonio ci offre anche dello spumante! Bene, domani vado a Montcuq, sono circa 30 Km, speriamo sia bella!

18/06/99 Venerdì: Tredicesima tappa: Cahors , Montcuq 30 Km 7h 30′

Ieri al Foyer, la ragazza addetta all’accoglienza mi aveva dato il numero telefonico di M. Gilbert a Montcuq, poiché non volevo alloggiare all’Albergo St-Jean; gli telefono e mi assicura il posto; quindi parto tranquillo. Al Foyer non c’è la colazione; neanche i distributori automatici. Sono le 6 ed ho qualcosa da mangiare nello zaino. La Ville è deserta e vuota ma ci sono all’opera i netturbini; la città però è ben pulita anche durante il giorno. Saluto la Cattedrale con un’ultima occhiata e poi prendo la Rue Wilson che mi porterà al Pont-Valentré che scavalca il Lot; ieri sera ci sono stati concerti e festeggiamenti per le vie adiacenti e ci sono ancora bandierine e palloncini che ondeggiano pigramente. Il Pont-Valentré è un bel ponte tutto in pietra; è solo pedonale; consta di tre torri alte e quadrate di cui la centrale ha una pietra che dà origine ad una leggenda. E’ il simbolo di Cahors questo bel ponte che sto attraversando scattando qualche foto. Subito di fronte c’è il sentiero che si inerpica su una ferrata, un bel modo di iniziare la giornata! La risalgo con attenzione su roccette e maniglioni in ferro fino alla sommità della cresta rocciosa, poi attraverso una pineta e giungo alla “Croix de Magne”; da qui si ha una stupenda vista sulla città che giace esattamente sotto i miei piedi, addormentata e coperta dalle brume che salgono dal fiume. Riporto i miei passi sulla Causse; sono ora nella regione du Quercy meno secca e meno inospitale. Da quassù domino le piccole fattorie che giacciono incassate nelle valli poco profonde; attraverso numerosi vigneti dove i grappoli si stanno formando giungendo a Labastide-Marnac. Qui la GR si insinua nelle sue strette viuzze dall’angolo della Chiesa di St-Remy, poi il sentiero ne riesce fra una “Garriotte” ed un faggio. Più in là mi raggiunge un Belga conosciuto a La-Cassagnole; attraversiamo un valloncello e camminando insieme si chiacchiera: lui è Fiammingo ed ha iniziato il cammino da Figeac, dove lo ha interrotto l’anno scorso. Trovo la variante per l’Hospitalet, dove un tempo c’era un ospedale per i pellegrini, ma tiro diritto; i sentieri, a volte si perdono nei vigneti, ma ben guardando si trova il segnale sui pali che sostengono i filari dei vitigni. Dopo 4 ore circa sono a “Pech du Moulin” poi alla fattoria di Baffalie dove costeggio il ruscello di Verdanson con un vecchio lavatoio ancora in buono stato. I segnali mi portano ora su una strada asfaltata bordata da due filari di pioppi e dopo avere di nuovo attraversato il Verdanson arrivo a Lascabanes; c’è una fontana, ed un viale alberato mi porta alla Chiesa dove c’è la Gite. Io però aggiro il presbiterio e riprendo il sentiero; non mi fermo qui, anche se la Gite è bella ed il piccolo villaggio è grazioso. Risalgo verso Le Sabatin, su un stretto sentiero rovinato che si addentra nella foresta; passo dalla Chapelle de Saint-Jean-de-Froid, e poco più avanti, ad un Km circa, attraversando un boschetto arrivo a vedere un fusto di un antico mulino a vento vicino alla Ferme des Clabedies. Il cammino si fa qui un poco fangoso prima di sbucare sulla D4; ora vedo Montcuq e vi entro per una strada in discesa ; dopo parecchie domande agli abitanti riesco a trovare M. Gilbert in una piccola viuzza proprio sotto alla Rocca che domina, alta e solitaria, questa graziosa Ville. Questa Rocca è un “Donjon”, alto e rettangolare con un’altra piccola torre al fianco dall’aspetto severo e vigile; la cittadina è bella, aggrappata sul fianco della collina; case graziose, viuzze ben pavimentate, piazzette linde con gli abitanti seduti fuori la porta a chiacchierare: tutti salutano con cortesia il pellegrino. La giro in lungo ed in largo ed entro nella Chiesa; anche lei come molte altre è forse un pò troppo severa con un campanile alto e poderoso (forse serviva come torre di avvistamento sulla valle sottostante?). Vado nella via principale, dove numerosi abitanti sono impegnati animatamente nel gioco della Petanque (le bocce); uomini e donne accaldati e presi dal gioco. Telefono all’Aube Nouvelle, l’albergo di Durfort-la-Capelette; non risponde nessuno, così per la sosta di domani vedrò come si svolgerà la tappa. Oggi è stata dura sotto il sole: ho bevuto 3 litri di acqua! Comunque ora va tutto bene; dopo avere comprato le provviste, mi cucino un bel minestrone e poi mi guardo anche la televisione (in bianco e nero però). Al piano superiore ho a disposizione addirittura due letti matrimoniali; ora sono le 22, vado a nanna, ma non ho ancora deciso dove fare tappa domani! Mah, vedrò che tempo farà!

19/06/99 Sabato: Quattordicesima tappa: Montcuq , Moissac 43 Km 9 h 30′

La sveglia è alle 5,30 e mi preparo la colazione con latte e biscotti nella cucina che è tutta per me. Rifaccio il letto ed alle 6,15, dopo avere lasciato le chiavi, parto. Sono ancora indeciso se fermarmi a Durfort-La-Capelette, ma vedo il tempo imbronciato e fresco e già capisco che andrò fino a Moissac: saranno 38 Km! La tappa si annuncia già più campestre con il calcare bianco che scompare sotto la terra argillosa e fertile; ci sono coltivazioni di cereali ed anche campi di meloni. Rasento camminando dei tratti di foresta; sono al villaggio di Rouillac poi passo il ruscello della Tartuigué su una bella passerella, e rasentando dei campi e delle vigne arrivo alla Ferme di Bonal. Ci sono campi con sistemi di irrigazioni di vario tipo in funzione, ma non si vede anima viva! Cammino sotto delle grandi querce su una stradina asfaltata in direzione di Montlauzun ed attraversando in rapida successione le Ferme di Sorbier, Combelle, Pech de Montlauzun, innesco una cagnara di latrati: sono solo le 7,30! Dopo un crocicchio con la D45, prendo un piccolo cammino che si annulla 30m più in là; non vedo nessun segnale. Rimonto il bordo di un vigneto, ed in fondo, su un paletto ritrovo la traccia seppur vaga; poi il sentiero mi riporta in foresta dove ritrovo il segnale. Il tempo ora si è rimesso al bello e comincia a fare caldo; questi sentieri in terra mi lasciano a volte su piccole strade asfaltate che portano vicino a delle Ferme che sono popolate solamente da animali da cortile: degli esseri umani, neanche l’ombra! Dopo due ore e mezzo di cammino, attraverso la bella corte ombreggiata della Ferme di Montjoie per poi infilarmi in un vecchio sentierucolo infossato; poco oltre mi trovo sotto la collina su cui è adagiata Lauzerte, una bella cittadina che sorveglia dall’alto la strada Cahors-Moissac. E’ del XII secolo e la guida mi dice che in città vi sono delle case del XIII secolo dalle facciate in legno con finestre ricorrenti e sottotetti a colombaia. C’è anche un cammino di ronda che parte dalla Place des Cornieres fino al mercato coperto; è una balconata sul territorio sottostante, ma per visitarla dovrei fare 100m di dislivello ed almeno un’ora in più di cammino. Quindi a malincuore, taglio in basso prendendo la D953 dove ritrovo il segnale della GR. Alle 10,30 circa, alla fine di una bella siepe ecco che vedo una superba “Pigeonnier” (piccionaia), la Pigeonnier de Chartron che speravo di vedere. E’ bellissima, è stata perfettamente restaurata ed accanto ad essa dall’altra parte della strada, vi è una bella casa ricoperta di fiori. Dieci minuti più avanti ecco in una radura la Chapelle de Saint-Sernin: la stanno restaurando, ma è in un tale stato! Entro a malapena dalla stretta porticina; all’interno vi è solo l’altare in buone condizioni, il resto è tutto da sistemare. Lascio un messaggio e qualche franco e poi riparto attraversando su un ponte la Barguelonne, che ha preso il posto del fiume Lot. Qui sono vicino a Cazes-Mondenard, luogo di rinomati vigneti: effettivamente parecchi ettari di colline sono ricoperti da grandi estensioni di vigne. Cammino tra frutteti, querce, noceti, e poi all’improvviso sbuco proprio davanti all’albergo dell’Aube-Nouvelle: eh, è proprio un Hotel; non è per un pellegrino come me! C’è anche un bel cane lupo che mi guarda sdegnoso senza neanche abbaiare: misero pellegrino! Tiro diritto ed arrivo a Durfort-La-Capelette; ora mancano ancora 14 Km a Moissac. Fuori dal villaggio trovo un bar aperto, entro per una meritata birretta e ne approfitto per telefonare a Moissac. Alla Gîte d’étape al Moulin de Bidounet, c’è posto, ma quasi quasi mi viene un colpo! Mi sta dicendo che la Gîte è fuori città, circa 5 Km, quindi 38+5 = 43 Km! Ma ormai è fatta, non posso fermarmi qui; chiedo al barista dell’acqua fresca e dopo aver mangiato un panino riprendo il cammino. Prima però mi studio la cartina, e vedendo che la D16 è quasi parallela alla GR, che però sale e scende, decido di prenderla a Croix de Pintre; è asfaltata, ma mi risparmio i numerosi saliscendi della GR. Cammino così velocemente fino a Laujol, poi prendo la D957 fino a quando si ricongiunge a Rouillet con la GR. Tra l’altro, questa dipartimentale è più aderente all’antico percorso storico. Finalmente entro in Moissac dopo una bella sgambata di circa 12 Km sulla D957 ombreggiata da filari di platani, ed altri 2 Km nei primi sonnolenti sobborghi cittadini. Sono le 15,30, fatico non poco a trovare la Gîte; parecchie persone non sanno dove sia finché trovo un ragazzo che mi dà l’indicazione giusta. Si trova al di là del fiume Tarn, dove c’è il camping. Finalmente ci arrivo; sono un poco stufo, ma non stanco. E’ accogliente; buoni letti ed una bella cucina, anche un po’ cara (50 Franchi!). Dopo la doccia ed aver fatto il bucato, esco per le compere (domani è domenica!) e per la visita alla città. Ancora altri Km per rientrare in città; la parte vecchia è bella, ma la Banlieu è triste dove sono molti immigrati, algerini e marocchini. Vado alla Abbazia di Saint-Pierre, dall’interno severo e dalle decine di capitelli istoriati; ma il più sorprendente è il Portale! Regge benissimo il confronto con quello di Conques; vi sono raffigurati Abramo e Mosè con scene e parabole del Vangelo, oltre all’apparizione del Cristo alla fine del mondo con i quattro Evangelisti ed i 24 Vegliardi dell’Apocalisse (il tutto avrebbe bisogno di un intervento di restauro, perché molti volti sono deteriorati). Però devo dire che mi è piaciuta di più la Chiesa di St-Jacques, sfortunatamente chiusa per restauri dell’esterno; l’interno è stato trasformato in un museo dell’artigianato. Dopo il tour della Ville e le compere, riprendo il ritorno passando sul Pont Napoleon, che supera il Tarn. Sono le 20 ed ho una fame! Al rientro trovo 2 randonneurs; sono di Parigi e sono seguite dai mariti con le vetture, così oltre alla buona cena ho modo di chiacchierare dopo 2 giorni in cui non ho trovato nessuno con cui scambiare qualche parola! Beh, il cammino è anche questo. Solitudine e Silenzio!

20/06/99 Domenica: Quindicesima tappa: Moissac , St-Antoine 31 Km 7 h 30′

Sono le 5,30 e cerco di non fare rumore in cucina mentre mi preparo la colazione; le due randonneurs sono rientrate tardi ieri sera ed ora dormono. Sta albeggiando sul Tarn che vedo dalla finestra mentre controllo il latte che sta bollendo; non ho comprato i biscotti ieri, poiché ho del pane raffermo da consumare: quindi ora pane e latte! Parto alle 6,20; le signore gentilmente mi salutano; anche per loro la tappa sta per incominciare. Riprendo il Pont Napoleon, poi costeggio il Canal Lateral per un paio di Km, finché la GR65 comincia a rimontare la cresta del Boudou. Sale ripida ed in un amen sono in alto; da quassù, ho dei panorami stupendi sul Tarn e sulla Garonne fino alla loro confluenza. Molto lontane intravedo le due torri di raffreddamento della Centrale nucleare di Golfech, enormi ed inquietanti; dalle loro gigantesche bocche fuoriescono altissimi pennacchi di vapore, che l’acqua del Canal de Golfech qui ai miei piedi, provoca nel raffreddarla. Sono in alto sulla Causse tra frutteti e vigneti; ciliege e pesche sono già mature ma mi guardo bene dal coglierle. Le piante sono gravate dal loro peso e i frutti occhieggiando tra le foglie, sembrano dirmi maliziosamente: mangiami!, mangiami! Cammino tra boschetti di noccioli; poi con svariate salite e discese in mezzo a campi e vigne giungo a Malause dove mi porto di nuovo sull’alzaia del Canal Lateral che scorre a lato del Canal de Golfech; lo seguo per 4 Km all’ombra dei platani che costeggiano le sue rive mentre passano i battelli dei gitanti, lenti e tirati a lucido. Il solo rumore che si ode, è lo sciabordio dell’acqua che lambisce lo scafo, ed i tonfi dei pesci che balzano a filo d’acqua: è una scenetta che invita alla sosta! Dopo Pommevic, ad Aygues, sotto un ponte della Dipartimentale, il segnale mi fa risalire sull’asfalto e superare il Canal de Golfech, largo e dalle acque veloci, e costeggiando dei campi di frutta arrivo ad Espalais. Sono quasi 5 ore che cammino; le torri della Centrale di Golfech sono ora più vicine, imponenti e torreggianti in questo paesaggio agricolo; sono lì a richiamarmi e sembrano dirmi: “Non dimenticarti che sei nel XX secolo!”. Sotto un sole impietoso ed un’aria immobile, attraverso il ponte sospeso sulla Garonne per giungere nel quartiere di Sainte-Catherine-du-Port ad Auvillar; ripidamente rimonto le vecchie viuzze risalenti al XV e XVIII secolo (un poco fatiscenti), ed arrivo nella piazza di questa graziosa cittadina. Nella sua piazza c’è una “Halle”, circolare, dal porticato architettonicamente pregevole, sostenuto da colonne ed aperto ai lati; serve ora come sede di mostre o mercati, ed è uno dei simboli della cittadina. Mi inoltro sotto la volta della Tour de l’Horloge, e poi passo sotto l’Eglise de St-Pierre, che conserva parti di mura Romane in pietra chiara e scura. Qui ad Auvillar secoli fa, si producevano le piume d’oca per la scrittura. Esco dalla Ville lasciando alle spalle la Tour de l’Horloge prendendo la direzione di “Chateau St Roch”; e poi Bardigues, dalla bella fontana. Costeggiando vestigia di vecchi recinti in pietra, sbuco in fronte al bel viale del “Chateau de la Motte”. Sono ora quasi sempre su stradine asfaltate che dividono grandi estensioni di campi coltivati o di frutteti; attraverso il ponte sull’Arrats e finalmente, arrivo a St-Antoine. Lascio la strada per entrare nel villaggio, passando sotto il portale fortificato dell’antico ospedale, che ai tempi, sorvegliava il Ponte ed il mulino sull’Arrats e dava rifugio ai pellegrini; sfortunatamente non è ben tenuto, segno che soldi per i necessari restauri non ce ne sono…… Proseguo nella via e sono ora davanti all’Eglise de St-Antoine, dal bel Portale trilobato che ricorda il Portale sul fianco destro della Cattedrale di St-Etienne di Cahors, d’influenza mozarabica (anche questa è chiusa come molte altre Chiese francesi). Arrivo davanti ad una “Salle des Fetes”, dove molte persone stanno giocando ad una Tombolata; chiedo dove si trova la Gîte ed un ragazzino mi indica una Ferme a fianco del cimitero. Sono un poco stanco di camminare; i Km di ieri si fanno sentire, e la vista di questa Gîte mi mette di buon’umore. Apro un bel cancelletto in ferro, ed al primo abbaiare dei cani, arriva Mme Dupont; gentilissima mi dice che i due cani lupo sono “tres gentiles” ed effettivamente lo sono. Poi mi mostra la Gîte, anche questa è bella e decorosa; mi dice che stasera mangerò con loro, nella loro casa, perché sono solo io come ospite oggi; ringraziandola, accetto più che volentieri. Dopo la doccia ed il bucato esco nel cortile della Ferme, sotto il gazebo a scrivere; in cucina c’è tutto per la colazione di domani, quindi niente compere. Mi concedo una piccola siesta e poi esco per il giro nel villaggio; è minuscolo e scatto qualche foto all’antico Hospital, ed alla Eglise de St-Antoine che è ora aperta, poi è già ora di cena. M. e Mme Dupont sono gentili e cortesi; mi sommergono di cibo e di vino, nonché di domande sull’Italia: si interessano della nostra agricoltura, dei vigneti, dell’allevamento di ovini e bovini. Il loro grosso cruccio, è che con la Centrale de Golfech qui vicina, i prodotti della loro Ferme non possono fregiarsi con l’appellativo “Produzione Biologica”! La loro casa è tipica come le case coloniche di questi posti; disposta a quadrato con un lato aperto verso i campi. M.Dupont ritarda un poco a cena e quando arriva, mi sommerge di vino, è indaffarato con i lavori dei campi e quindi ha trafficato con il trattore fino a tardi; la cena è abbondante, si mangia bene, e particolare non trascurabile, si beve ancora meglio! Questa giornata si conclude bene con un loro liquore ed un buon caffè; li saluto cordialmente e poi mi ritiro a studiarmi la tappa di domani. Arriverò a Lectoure, sono circa 23 Km ed il meteo di stasera ha detto che ci sarà bel tempo; io ho dei grossi dubbi, il vento sta tirando da Nord! Mah, staremo a vedere chi indovina!

21/06/99 Lunedì: Sedicesima tappa: St-Antoine , Lectoure 23,5 Km 6 h

Questa notte ho ben dormito; mi sveglio alle 5,30, ed alle 6 sono già in cucina alle prese con i fornelli; da mangiare c’è latte, pane, burro, marmellata: colazione super abbondante! Parto alle 6,20 ma mi sembra un poco buio; difatti il meteo di ieri non ci ha azzeccato. Il tempo è decisamente sul brutto e sono solo all’inizio della tappa, per cui tengo un buon ritmo per non prendere l’eventuale temporale. La tappa di oggi mi porta a vedere vari castelli, ed è la prima tappa nella regione del Gers. Sono su un bel sentiero di terra che discende nella valle; attraverso il ruscello de La Teulere, poi un sentiero bordato da una siepe di querce, e dopo un’ora ecco Flamarens. All’entrata vi è una bella Croce di ferro, poi l’Eglise e lo Chateau ben tenuto. Dopo 8 Km circa, arrivo a Miradoux, e qui il temporale che incombeva si scatena; acqua e vento a non finire. Cerco un riparo al più presto; è un mezzo uragano con il vento che porta l’acqua da tutte le parti. Qui a Miradoux c’è una imponente Chiesa da vedere, con un campanile massiccio ed ancora incompiuto; sulla facciata c’è una riproduzione della conchiglia di St-Jacques, ed all’interno vi sono le reliquie di St-Orens. Finalmente il temporale sembra placarsi; è trascorsa un’ora e mezza, sta spiovendo e decido di ripartire: la tappa è lunga e non posso sapere se avrò ancora il temporale! Questo è il territorio della Francia profonda; sono nella Lomagne Gersoise, tipicamente rurale, dall’agricoltura sviluppata e performante: cereali, aglio, meloni, tournesol (girasoli) ed allevamenti di anatre ed oche. Smette di piovere, evidentemente St-Jacques mi dà un occhio poiché c’è solo un poco di vento, giusto per asciugarmi. Dopo aver risalito una china verso la Ferme di Gachepouy, facendo la discesa, vedo le rovine del suo Chateau costruito alla fine delle guerre di Religione, circa il 1585. Arrivo sulla D23; passo su un ponte l’Auroue, e proseguo fino a Castet-Arrouy dove vi è piccola Chiesa gotica del XVI secolo, e nella piazza del villaggio un curioso pozzo gallo-romano, scavato in forma di imbuto rovesciato. Nelle piccole botteghe sono esposti i prodotti del territorio Gersoise: prugne, nocciole, collane di aglio, foie-gras e confit du canard in bella mostra. Proseguo ancora sulla D23 per un paio di Km, poi una curva secca a destra per arrivare a La-Peyronelle, e qui la GR65 fa un poco le bizze andando a zig-zag. Ma ormai il sole è limpido; fa caldo ed io mi sto asciugando come una lucertola. Eccomi a Pitrac; da qui si scorgono le guglie della Cattedrale di Lectoure, dove entro con una leggera salita. Sono le 13,30, di un giorno particolare che sta terminando bene. Davanti alla Cattedrale mi ferma una persona, che vedendo lo zaino con la conchiglia mi chiede se sono un pellegrino; gli dico di si, e lui scusandosi per il suo francese, essendo italiano, mi chiede se vado a Santiago e da dove vengo. Gli dico che sono italiano anch’io, e cosi vengo a sapere che si chiama Bruno, è di Novara ed era anche lui a Perugia quest’anno! Quando si dice che il mondo è piccolo! Lui è in giro per turismo in macchina, ed aveva già fatto questo cammino anni fa; lo saluto dandoci l’arrivederci a Perugia il prossimo anno e vado all’Office de Tourisme, di fianco alla Cattedrale di St-Gervais e di St-Protais. La Madame è gentilissima e mi dà subito il posto alla Gîte d’étape. E’ a 100m, ed è bella, ampia e confortevole, con letti nuovi ed una cucina grande e spaziosa: peccato che ci sia solo io! Nella Cattedrale, che poggia su un sito gallo-romano, ci sono delle vetrate veramente rimarchevoli e non ho resistito alla tentazione di fotografarle. All’uscita trovo altri turisti italiani, e così oggi ho modo di parlare un poco in italiano, Domani vado a Condom, un’altra bella città; studiando la cartina vedo che posso tagliare fuori La-Romieu, accorciando la tappa di parecchi Km all’occorrenza. C’è una variante che inizia ad Abrin e saranno 25 Km, invece di 35!

22/06/99 Martedì: Diciassettesima tappa: Lectoure , Condom 25 Km 6 h

Ieri sera devo aver mangiato un pò troppo, o forse ho dormito con una coperta troppo leggera; fatto sta che mi sento le gambe molli. Sono le 6,20, faccio colazione e parto; ho fatto bene a studiarmi la cartina ieri sera per valutare le scorciatoie, mi spiace non andare a La-Romieu ma 10 Km in più oggi, mi sa che non riesco a farli. Ho la pancia non a posto, e mi sento fiacco ma parto comunque. Prendo una piccola stradina di fianco alla Cattedrale che mi fa passare accanto ad una tipica abitazione Gersoise, poi una viuzza in discesa per arrivare alla Fontaine de Diane, dall’architettura romana con tre arcate del XIII secolo, e subito dopo una viuzza seminascosta in forte pendenza mi porta sulla N21. Prendo la D7 che mi porta sul ponte che supera il fiume Gers, ed alla Ferme Hausset, lascio l’asfalto e prendo il sentiero fra stagni e pozzi. Risalendo il fossato, lascio a destra la strada che porta all’Auberge de La Dame-Blanche, e proseguo per 2 Km fino ad una area di pic-nic (in mezzo alla campagna!); c’è la Croix de Justice ed un pannello con il percorso della GR, ma ho dei problemi alla pancia, mi devo fermare dietro ad una siepe; la debolezza umana! Subito dopo mi mangio il limone che mi sono portato dall’Italia per sopperire proprio a queste fastidiose defaillances; temo la dissenteria; sarebbe la fine di questo viaggio. Le gambe sono sempre sul fiacco e procedo con calma in direzione di Marsolan dove arrivo dopo due ore e mezzo di cammino. Vi sono molti terrazzamenti di colture in questa zona dato il territorio vallonato. Attraverso ancora un ponte sull’Auchié, poi vedo la Ferme di Mounet-Sarthe che è fortificata; più avanti, alla Ferme di Betsurguére, prendo la direzione di Castelnau e dopo mezzo Km eccomi alla Chapelle d’Abrin. Questa era una antica Commanderia degli Ospitalieri di St-Jean-de-Jerusalem, fondata nel 1135. Era un rifugio sicuro e sempre aperto per i pellegrini; la notte aveva sempre un lumignolo acceso che segnalava nel buio il rifugio! Qui proseguo sull’asfalto verso le Sanan, e poi taglio per un sentierucolo fra i campi verso la D7 giù in basso; da qui fino a Condom sono sull’asfalto. Poco prima, ero passato accanto ad una Ermita che era in una proprietà privata; era interessante e sono entrato per ammirarla. La proprietaria, prima ha rifiutato, poi gentilmente mi ha concesso di visitarla; all’esterno è molto ben tenuta con le pietre ben scolpite ancora in ottimo stato, l’interno invece, è ben ristrutturato, ed è adibito ad Atelier di pittura con quadri e dipinti sparsi in ogni dove. Arrivo a Condom alle 13,30 poiché mi sono fermato a mangiare ed a riposare poco prima di entrare in città, ed ora mi metto in cerca della Gîte d’étape che è al Centre Salvandy; si tratta di un vecchio liceo molto grande. La ragazza addetta all’accoglienza mi porta subito nelle camerate, su in alto all’edificio e molto spaziose; mi faccio una bella doccia, e poi mi ficco a letto fino alle 16,30, ne ho proprio bisogno! Se fossi andato a La-Romieu, oggi sarei distrutto! Alle 17 esco per visitare la città e per fare le compere: visito la Cattedrale di St-Pierre che è imponente e massiccia, con il portale dalle volte finemente scolpite e dalle finestre su in alto molto lavorate e leggiadre che la contornano tutta. E’ del XV secolo di stile Gotico fiammeggiante e rinascimentale, ed ha un campanile quadrangolare che domina la città. Ritorno al Centre dove sono sempre solo e mi mangio un altro limone (non si sa mai!). Comunque va già un pò meglio, poi mi cucino un bel minestrone dato che ho necessità di sali minerali, ed a tarda sera arrivano due randonneurs francesi un poco malridotti, dall’aspetto sciatto e dimesso; mi dicono che andranno verso Cahors domani. Beh almeno stasera non sarò solo in questo vecchio e grande liceo. Domani andrò ad Eauze; tappa lunga 33 Km, spero che tutto vada bene e che lo stomaco stia tranquillo!

23/06/99 Mercoledì: Diciottesima tappa: Condom , Eauze 33 Km 8h

Questa mattina il tempo è bello; parto dopo la colazione alle 6,20 mentre un Francese sta dormendo nell’androne delle toilette: è probabile che la rete del letto sia troppo cedevole per lui. C’è già un bel chiarore diffuso mentre mi porto al Pont des Carmes, dove attraverso la Baise; poi cammino fino alla Chiesa di St-Jacques vicino alla riva. E’ un poco nascosta, e naturalmente è chiusa data l’ora mattutina. Passo vicino alla Ferme Ciprionis ed alle poche case di Peinon, e vedo a circa un Km sulla destra, il villaggio fortificato di Larresingle; sono sempre sulla GR65, che qui si impenna e si affossa più del necessario. Dopo una ora e mezza di cammino, arrivo a Port-d’Artigues e qui mi vedo comparire, dinanzi a circa 50m, un grosso Dobermann! E’ libero ed è slegato; io sono sbucato dal folto del sentiero e lui non mi ha sentito. Ha le orecchie ritte; io mi fermo istantaneamente, poi alzo adagio il mio grosso bordone. Appena lo vede, scappa via velocemente per fermarsi 20 m più in là; avanzo piano ma fermamente, sempre tenendo in alto il mio bastone. E’ fatta, poiché scappa via su per un vialetto che porta a qualche villa non in vista. Devo dire che tiro un grosso respiro di sollievo mentre proseguo velocemente sempre guardandomi alle spalle; lui è sempre là, in fondo, ritto e con le orecchie aguzze ben tese. Capisco che ha avuto più paura lui e ne sono contento; è il primo potenziale grosso pericolo su questo cammino! Risalgo ora una stradina di campagna che costeggia un vigneto molto esteso, e poi una strada bianca. Guardo il cielo, ed un senso di giubilo si diffonde dentro di me; delineata su in cielo, c’è una lunga fuga di nuvole a fiocchi bianchi, come una Via Lattea diurna che mi indica esattamente il Sud-Ovest, direzione Santiago! Questo è il Cammino: solitudine, silenzi, attimi intensi di tensione o di forti emozioni, poi la felicità, per una chiara indicazione! A Santiago! A Santiago! Sei sotto la Mia protezione, non avere paura! Sono attimi, ma che segnano però indelebilmente il Cammino: forse anche la vita futura di qualsiasi pellegrino! Passo vicino alla piccola Chiesa di Routges; il tempo è sempre bello, non è afoso ed il sole è già splendente sopra queste colture inframmezzate da boschetti e stagni; supero la bella Ferme di Lassalle-Baqué e poco dopo la Croce dedicata a Saint-Orens, entro a Montreal du Gers. La guida dice che fù un antico “Oppidum” Gallico, posto su di uno sperone roccioso che dominava l’Auzoue. Ora ci sono ancora antiche viuzze ed una Chiesa Gotica del XIII secolo, con un bel mosaico Gallo-Romano. Proseguo per il lago di “la Tenareze”; a 20 minuti c’è la Gîte e l’abitato di Seviac. Mi rammarico ancora oggi di non essere andato a vederlo; è un antico insediamento Gallo-Romano, molto importante ed ancora in corso di scavi; vi sono mosaici del IV secolo in una villa con una grande terme. Dopo mezzogiorno arrivo su un sentiero diritto e largo che mi colpisce per la sua particolarità; ci cammino sopra per mezz’ora e poi vedo senza ombra di dubbio una piccola stazioncina ferroviaria fatiscente, è vecchissima! Quindi questo sentiero era una linea ferroviaria dei tempi andati! Qui sono nei luoghi dove si produce l’Armagnac, la famosa “eau-de-vie” (acquavite); ho un piccolo problema di orientamento presso le chemin de Boudier, ma due pini marittimi mi mettono sul giusto sentiero, in una specie di grande viale in mezzo a dei vigneti. A Lamothe scendo nella valle, ed ecco ancora una antica via ferrata! E’ lunga ben 7,5 Km, e comincia proprio dove c’è la stazioncina di Bretagne-d’Armagnac; è tutta rettilinea in mezzo ad alberi ed a siepi. Passo da Escoubet e Moulin de Pouy, dove transito su di un bel ponte aereo sulla Gelisse, poi finalmente ecco Eauze. E’ una bella cittadina, ampia e con un notevole traffico; la Gîte è proprio di fianco all’Office de Tourisme e ci sono già dei pellegrini. Ritrovo Ramon e Walter che avevo conosciuto a Conques e vengo alloggiato in alto in una mansarda. Mi faccio una buona doccia ed il bucato (le magliette le stendo in camera dato che non c’è altro posto); poi vado in giro per la città per le compere ed a curiosare. Altri pellegrini mi riconoscono, e mi chiedono come va la mia gamba. L’Office de Tourisme è in una bellissima e tipica “Maison Gersoise”, dalla facciata con le travi di legno a vista (vedi foto). Nei giorni seguenti ci sarà una festa poiché vi sono festoni di bandierine che adornano le vie e le piazze mentre parecchia gente è ora seduta sotto i porticati dei bar a sorseggiare Pastis o a centellinare bicchierini di Armagnac. Qui siamo nella zona di produzione di questa rinomata e celebre “Eau-de-Vie”. Sbircio i prezzi, ma non è roba per un pellegrino; forse per turisti! Dopo cena prende posto nella mia camera un altro pellegrino; mi sembra un poco fuori squadra. E’ di ritorno da Santiago mi dice, e domani sarà a casa poiché abita a Riscle un villaggio qui vicino. Mi dice che ha trovato parecchia gente sul cammino in Spagna. Poi durante la notte ecco che si mette a russare, poi salta su nel sonno e si mette a parlare in modo sconclusionato e si agita freneticamente. Beh inutile dire che dormo poco o nulla. Forse è contento di arrivare a casa o forse è un poco stressato? Mah non lo so, non fa nulla. Domani arriverò a Nogaro una tappa corta di soli 20 Km: mi sto avvicinando ai Pirenei, ci pensate?!

24/06/99 Giovedì: Diciannovesima tappa: Eauze , Nogaro 20 Km 5h

Parto piuttosto presto anche se la tappa è corta; ormai ci sono abituato, e non è facile disimparare. Quindi dopo la colazione, alle 6,20 mi incammino. Vado un poco traccheggiando molto sul ciondolante; il tempo è fisso sul bello e sono sempre sui sentieri fra i vigneti. Mi sento un poco flanée, (ozioso) e questa corta tappa capita proprio a fagiolo per fare della “flanerie” sul cammino. Attraverso vasti campi coltivati e numerosi ruscelletti, passo anche tra foreste che hanno la particolarità di essersi ispessite curiosamente, in questa terra dedita all’agricoltura performante e redditizia (vigneti in primo luogo), invece di tendere ad essere coltivate, o quantomeno ad essere disboscate. Qui dove sono ora, c’è una Ferme in rovina; é la Ferme de Angoilin che testimonia che nei tempi addietro, qui la foresta era coltivata. Il sentiero ora si infossa fra alte scarpate di terra ricoperte di edera o rovi, diventa sinuoso e zigzagante; passo davanti alla Ferme di Riguet e sempre tra vaghe tracce di sentiero fra i vigneti, arrivo in vista di Sauboires, un piccolo villaggio sulla destra del sentiero; anche questo minuscolo borgo è fornito di Gîte d’étape. Proseguo ancora un poco in discesa fino agli stagni di Pouy, dove c’è una piscicoltura, ci passo attraverso per giungere più in là a Manciet; c’è un bel praticello con una panchina giusto prima del passaggio a livello, è anche in ombra e decido di fermarmi qui per riposare un poco e per uno spuntino. Riprendo poi il cammino sulla N.124 per circa un Km e poi, la D153 direzione Cravenceses; costeggio poi gli altri due stagni di la Barthes, rasento la Ferme Belais ed alterno molte volte i sentieri con le stradine asfaltate. Non c’è molto traffico, anzi, però i tendini mettono il broncio quando li porto sull’asfalto! Dopo una discesa, passo il ponte sul Midouzou e 50m dopo un altro ponte; qui il sentiero si attorciglia a volte su sé stesso diventando sinuoso costeggiando boschi e vigneti, o infossandosi per poter scavalcare su passerelle i piccoli e limpidi ruscelli. Sono nella Valle di St-Aubin, ed in un cammino infossato, ad un crocicchio di sentieri, ecco che mi si presenta la prima stele discoidale. Sono mute, ma anche palesi testimoni di antichi incroci di Vie; oppure nei cimiteri, antiche vestigia funerarie la cui forma e significato, ancora oggi non è ben chiara. Ho una speciale predilezione per questo tipo di monumenti in pietra di antica fattura, di cui non so darmi una spiegazione razionale, ma so che mi attraggono fortemente, alimentando il mio bisogno di conoscerle, di vederle e di sfiorarle con le mani (è uno dei moventi latenti di questo pellegrinaggio). Proseguendo, prendo la D522 bordata di platani, che mi danno ombra sul cammino fino ai due Ponti sul fiume Midour; sono vicino a Nogaro, e 20 minuti dopo eccomi davanti alla Gîte d’étape. Sono le 11,30, c’è la responsabile che mi attende e mi dà subito il posto; è una delle migliori Gite questa, è attigua al circuito automobilistico, anche il campo di volo degli aerei da turismo e di volo a vela. è lì a 200m. Mi prendo una bella doccia; poi il bucato: fuori c’è un poco di vento e si asciuga tutto in un amen! Alle 14 arrivano gli altri pellegrini provenienti da Eauze; ormai le tappe sono quasi tutte simili come lunghezza e ci ritroveremo quasi sempre nelle stesse Gîte. Esco a fare compere ed a visitare la città; Una signora a cui chiedo delle informazioni mi dice che vi sono molti italiani qui a Nogaro, venuti nell’immediato dopoguerra. E’ una città moderna e molto dispersiva per un pellegrino; quindi non mi trattengo molto nelle sue vie e faccio ritorno alla Gîte, dove ho modo di chiacchierare con gli altri pellegrini e con un giovane pilota di alianti che è alloggiato qui. Alla sera per cena, mi cucino un piatto di spaghetti; sono circa tre etti, ma complice un mezzo litro di buona birra me li mangio tutti, se no continuano a pesare nello zaino. Domani tappa ad Aire-sur-l’Adour; sono circa 27 Km ed ho riservato un posto al Centre de Loisir, con cena e prima colazione. Qui intanto sta piovendo e forse domani ci sarà acqua! Spero proprio di no!

25/06/99 Venerdì: Ventesima tappa: Nogaro , Aire-sur-l’Adour 28 Km 7 h

Walter ieri sera mi chiesto di mettere la sveglia alle 5,30, perché durante la tappa di oggi loro hanno preso parecchio caldo, difatti io sono arrivato alle 11,30, loro invece alle 14 sotto un sole cocente e con una bella afa. Sveglia alle 5,30 dunque, poi colazione con loro, latte biscotti, anche un poco di marmellata di Ramon. Alle 6,10 io parto, c’è una leggera pioggerella, ma le nuvole corrono veloci e dopo un poco si dissolverà. Dopo l’uscita dalla città il cammino si infila nella foresta, che qui è ben estesa ed ombrosa nel suo folto; c’è un bel miscuglio di specie arboree: pini, larici, pini marittimi, querce, e castagni che le fanno acquistare un che di selvaggio, solcata come è solo da piccoli sentieri di caccia. Camminare qua dentro durante la stagione di caccia si corre il rischio di essere impallinati come dei fringuelli. Sono ben presto al Quartier Labadie, ed attraversando boschi discendo al ruscello della Juranne, poi risalgo per ridiscendere di nuovo nella Valle dell’Izaute. Qui l’antico cammino viene meno perché la GR, diventa estremamente sinuosa (i pellegrini di un tempo sicuramente seguivano l’attuale percorso della N.124); è una tappa un poco anonima che lascia al pellegrino che la percorre, la mente libera, per cui le motivazioni recondite di questo pellegrinare, si fanno strada conquistando spazio nelle mente ora sgombra dalle incombenze legate al camminare; le domande e gli interrogativi vengono a galla piano piano: chi sei, perché lo fai, cosa ti ha spinto, sai che tutto questo ti lascerà un segno? E tu lo vuoi veramente? L’occhio riceve immagini che non vengono elaborate dalla mente che sta argomentando per conto suo, non sono più un tutt’uno; vorrei tanto sapere come era per i pellegrini di un tempo, quando attraversavano queste lande sicuramente non ospitali come ora, quale fede, oppure quali motivazioni li spingevano avanti giorno dopo giorno con l’imprevisto sempre in agguato? Elucubrazioni mentali che il “pellegrino” di oggi dovrebbe avere sempre presenti; non riesco ad immaginarlo compiutamente, ma, sapermi sulle tracce o nei luoghi del loro passaggio, forse con i loro stessi dubbi, mi conforta, mi sento come avvolto in un fiume di anime che ancora oggi camminano, non più visibili, ma ben percettibili, che mi fanno ala e mi sospingono nel procedere verso la lontana meta! Così argomentando, mi trovo ora in direzione di Lanne-Soubiran; poco dopo entro nelle Lande de Bois, cammino nella Vallé de la Daubade verdeggiante e passo il bosco della Rigade: Poco più avanti prendo il viale di accesso alla Ferme di La Grange et Bidet e per un sentierino che è un fango unico (chissà quando piove, ci vorranno gli stivali!) arrivo alla Ferme di Manet. Ci sono anatre ed oche in gran numero nei recinti; difatti è un allevamento: chissà quanto “Foie gras” si trarrà da questi grassi e chiassosi palmipedi! Ora proseguo accanto ai binari di una ferrovia per 2,5 Km; comincia a fare caldo e non ci sono alberi: Sono ormai fuori dai boschi; a lato della ferrovia ci sono degli operai che stanno pranzando sotto un rado boschetto, mi salutano cortesemente, ma non mollano la baguette e la bottiglia di vino. Passo oltre attraversando i binari ed ora costeggio un canale di irrigazione; poi per sentieri ed asfalto giungo alla Ferme di Lacassagne e poi a Baqué. Sempre su asfalto (sono sulla D107) supero un ponte sull’Adour, poi ecco la D39, sempre bordata da ombrosi platani, per fortuna! C’è una bella afa già da una mezzora, sono vicino ad Aire-sur-l’Adour e sono quasi le 13 quando entro in città; la Gîte è in periferia, e vi giungo alle 13,20; è un posto grande, ci sono spazi per i giochi: altalene, barbecue, panchine e bungalows, ma non c’è anima viva. L’Accueil apre alle 14 e quando arriva l’incaricata, scopro che anche oggi farò l’eremita qui. Beh, oramai ci ho fatto il callo; dopo le normali incombenze, vado in città per visitarla; è bella, accostata alla collina verdeggiante di alberi; vi è un bel ponte ad archi che scavalca l’Adour, largo e maestoso dalle rive erbose frequentate dalle famigliole. Le vie sono animate e piene di bei negozietti, si nota chiaramente che mi stò avvicinando alla Spagna. C’è l’Arena de Toros e le case sono più colorate; chiedo informazioni per la Cattedrale di St-Quitterie che è fuori città, al termine di una ripida salita di circa 1,5 Km. Ci vado ben volentieri, ma sfortunatamente è chiusa perché è sottoposta a dei restauri. Al ritorno, in una edicola, trovo un giornale italiano; mi fermo a leggerlo in riva al fiume (i soliti problemi italiani!), bevendo una Sprite. Comincia a tirare un bel vento e penso bene di far ritorno al mio romitaggio recandomi in cucina dove mi hanno già consegnato le vivande; sono extra abbondanti e sicuramente non riuscirò a mangiare tutto, così il resto lo lascerò ai prossimi pellegrini. Dopo cena mi preparo la branda (dal fondo molto duro), mentre fuori intanto il vento rinforza portando al galoppo nuvolaglie nere che rotolando basse, cominciano a scaricare acqua a più non posso. Domani avrò una tappa di 28 Km e prego che ci sia tempo bello perché, per parecchi Km non avrò riparo se non qualche occasionale albero; tutt’altro che gradito nell’infuriare di un temporale!

26/06/99 Sabato: Ventunesima tappa: Aire-sur-l’Adour, Arzacq-Arraziguet 27 Km 7 h

Mi sveglio di botto; questi sono rombi di tuono, e queste luci sono lampi, non giostre! Effettivamente c’è un bel temporale che impazza sulla Ville; nel tempo di lavarmi e di fare colazione cala di intensità, ma il cielo borbotta sempre come una pentola di fagioli, pas bon! Mi incammino quando sono le 6,10; ho il tempo di arrivare davanti alla Cattedrale di St-Quitterie du Mas e poi giù acqua a catinelle. Mi rifugio nel Portale della Cattedrale ed aspetto una mezz’oretta, sembra che spiova e decido di ripartire senza togliermi il poncho. Guardo giù in basso alla via e vedo che stanno sopraggiungendo AnneMarie, Walter e Ramon; ci salutiamo e concordiamo di procedere insieme fino a St-Jean-Pied-de-Port, visto che le tappe ormai coincidono. Loro sono stati alloggiati ieri nella “Chambres d’Hôtes” di Mme Porte; una vettura è venuta a prenderli all’entrata in città, e questa mattina li ha riportati qui sul cammino: mi dicono che sono stati da dio, ma che il costo è un poco caro! Bene, procediamo chiacchierando intanto che spiove del tutto, però c’è una bella umidità che si solleva dall’asfalto; arriviamo al quartiere di Boué e più avanti costeggiamo un grande lago. Walter mi dice che anni fa non c’era, ed anche un pescatore lì presente gli dà ragione; camminando sulle sue rive ci inzaccheriamo nella vegetazione folta e bagnata. Formiamo un bel quartetto: una Francese, un Tedesco, uno Spagnolo ed un Italiano, è l’Europa in cammino verso Santiago. Parlo francese con AnneMarie ed in spagnolo con tutti gli altri perché Ramon da buon Basco, non vuole saperne di imparare il francese! Passiamo da Begorre e poi giungiamo a Latrille, che ha una bella chiesa del XVI secolo, con un caratteristico campanile puntuto e con delle arcate degne di nota e pressoché in piano si arriva alla Maison Cordonnier, nelle case di Matot. A questo punto Ramon, che non ha nulla da mangiare, suggerisce di deviare per Miramont-Sensacq, dove potrebbe comprare dei viveri; accettiamo tutti senza riserve, e poco dopo eccoci nella bella cittadina da dove si gode un bel panorama sui Pirenei. Ha una bella Chiesa con il suo campanile a punta, delle belle case basse e fiorite, ed una piccola area di pic-nic con panchine ed acqua potabile. Da Miramont-Sensaq, lasciamo la GR e prendendo la D440 arriviamo a Moundabat per poi scendere su una nazionale fino a Sensacq; c’è una bella Chiesa ma è chiusa: aprirà fra poco visto che sta arrivando gente. Noi proseguiamo verso Pimbo; anche qui c’è una bella Chiesa, poi al piccolo ufficio dell’Accueil locale, troviamo l’incaricata di origine tedesca, che dà modo a Walter di parlare finalmente nella sua lingua e ci tratteniamo mezz’oretta. Pimbo è del 1268, ma anche qui ci sono pochi soldi per restaurare l’unica Chiesa delle tre esistenti anni fa: quella di St-Barthelemy. Vi è anche una sorta di recinto circolare, probabilmente vestigia di antiche fortificazioni Romane. Scendiamo al ruscello de Gabas e finalmente arriviamo alla Ferme di Loustaou, molto bella, dove all’esterno sotto una piccola tettoia, è murata una piastrella in maiolica con incisa una scritta che ricorda al pellegrino che mancano 924 Km a St-Jacques de Compostelle. Alla croce di Bocoue un piccolo sentiero ci porta alla Ferme di Miqueou da dove, dopo 4 Km sulla GR, arriviamo ad Arzacq-Arraziguet nella bella Gîte, dove l’incaricato dell’Accueil è molto gentile e disponibile. Sono le 16,30: con i miei nuovi compagni si marcia adagio, ma non mi importa visto che si sta bene insieme. Dopo le regolamentari docce ed il bucato (qui c’è anche una asciugatrice elettrica tipo lavatrice che ci asciuga tutto, visto che il tempo è sempre sul lacrimevole), loro vanno al ristorante per cenare; io invece mi preparo un bel minestrone. Li raggiungo al termine per un caffè (niente da paragonare al caffè all’italiana), poi fuori in piazza, Ramon trova un anziano medico che parla Basco, e Walter, un signore che ha lavorato in Germania e parla tedesco. Tiriamo sera cosi chiacchierando; scatto delle foto alla grande e bella piazza della cittadina ed anche alla Chiesa. Più tardi mi accorgerò che la macchina fotografica mi ruba delle foto, i primi 2 e gli ultimi 2 fotogrammi non li impressiona; in questa maniera mi ruberà molte foto interessanti e purtroppo uniche!

27/06/99 Domenica: Ventiduesima tappa : Arzacq-Arrazziguet , Arthez-de-Bearn 28 Km 7 h

Mi sveglio presto e sono le 5,20 quando vado in cucina per la colazione; ci sono solo 2 fuochi e le piastre elettriche, quindi faccio posto agli altri. Partiamo alle 6,20, il tempo è coperto, ma non piove. Usciamo da Arzacq prendendo la D946, sia perché si vuole accorciare la tappa, sia per non camminare su sentieri resi fangosi e potenzialmente pericolosi da queste ultime piogge. Dopo un’ora circa di cammino abbiamo modo di vedere un vecchio e curioso lavatoio a forma di ferro di cavallo, molto bello, però l’acqua all’interno della grande vasca è verde di alghe. Si cammina su asfalto, ma il paesaggio è comunque rurale dalle collinette con pascoli verdeggianti che si offrono ai pacifici ruminanti, e scorci di valli e villaggi lillipuziani in lontananza. Ci avviciniamo a Morlanne; Ramon vuole bere un caffè, ma non c’è neanche un bar; c’è solo una Boulangerie dove si beve un succo di frutta tra le nostre risate. Dopo mezz’ora riprendiamo il cammino; comincia a tirare vento, ed il cielo diventa limpido. Siamo a circa 10 Km da Arthez; la scorgiamo in alto lontana issata su un colle. Il vento è sempre teso e quando mancano circa 2 Km, ecco che riporta di nuovo il temporale sulle nostre teste e ricomincia a piovere. In fretta ci copriamo anche perché il vento rinforza ulteriormente e finalmente arriviamo alla Gîte. E’ un bel villaggio, però non c’è neanche un ristorante, solo un bar; scopriamo però che c’è una boulangerie che ci preparerà dei piatti freddi per la cena. E’ domenica ma c’è poca gente in giro e qui continua a piovere; ci facciamo la doccia, ma niente bucato. Nel frattempo sono arrivati anche i due olandesi con cui si chiacchiera fino alle 19 quando andiamo a prendere i vassoi con la cena. E’ tutto molto buono ed abbondante per cui ceniamo bene, però senza il vino (ce ne siamo scordati), ed il cibo che ci avanza, ci servirà per i panini all’indomani; poi nota folcloristica: alla “vaisselle” (lavapiatti), c’è una inedita ed allegra Europa di pellegrini dove, in buona armonia si lavano i piatti e si parla in tedesco, francese e spagnolo, ma niente italiano! E’ stata una tappa bella, anche se bagnata e con pochi sentieri su terra: però in compenso ci siamo fatti molta compagnia, ridendo, scherzando ed imparando molti vocaboli delle lingue altrui. Domani tappa a Navarrenx, dal famoso Curato che ci ha assicurato un posto nella sua casa, vedremo! Per ora sta piovendo, ed anche forte!

28/06/99 Lunedì: Ventitreesima tappa: Arthez-de-Bearn , Navarrenx 29 Km 7 h

Questa mattina si parte alle 7 dopo aver fatto colazione; siamo in quattro ora, e bisogna aspettarci a vicenda. Fuori il cielo è ancora imbronciato ma non promette pioggia, anzi tende a schiarire. Seguiamo la D275 che segue il percorso della GR per 4,5 Km, fino alla Ferme di Lassegué, poi a Mayonnave vicino alla Cotè d’Argagnon; attraversiamo la ferrovia ed un ponte ci traghetta al di là della Gave de Pau e dell’autoroute, arrivando così a Maslacq. Si preannuncia una bella tappa, il sole è già alto e splendente ed il territorio è collinoso; in fondo all’orizzonte abbiamo visto i lontani, ma giganteschi pozzi di gas dell’Elf-Aquitaine che qui hanno dei vasti giacimenti. Entriamo a Maslacq e subito ci rammarichiamo di esserci fermati ieri ad Arthez de Bearn, (complice il temporale): qui c’è stata una grande festa (ma siamo o no dei pellegrini morigerati?); difatti ci sono bandierine e tavoli all’aperto, segno di allegria e musica. Maslaq è una bella cittadina ricca di verde ed alberi frondosi, con un bel Hotel e dei bar. Ci fermiamo in una epicerie per comprare dei viveri; poi per sentieri sassosi arriviamo sulle rive del fiume, alla Grange di Ghironde da dove si sale ripidamente e sinuosamente nella foresta, su sentieri erbosi. Dopo quattro ore di cammino, all’uscita di un ponticello ci si presenta davanti l’antica Abbazia di Sauvelade; è del XII secolo, molto bella ed armoniosa. L’interno della Chiesa di St-Jacques le Mayeur, è un poco scarno e disadorno come al solito; ma tutto l’insieme è aggraziato e ben tenuto. Ora è un centro di convegni o di incontri di comunità; vi dimorano ancora dei monaci cistercensi, noi però non li abbiamo visti. Non troviamo nessuno che ci timbri la Credenziale, ma ci fermiamo qui per uno spuntino all’ombra dei tigli, io ne approfitto per scattare delle foto e poi ripartiamo attraversando il villaggio che è molto dilatato nei campi, e lungo le stradine. Passiamo davanti alla Ferme de Bignan; è bellissima (vedi foto), poi passiamo il ponte sulla Saleys, quindi in fondo ad un campo vediamo una femmina di cervo (biche) che sta brucando l’erba. Rasentiamo una vecchia scuola abbandonata e ci immergiamo nell’ombrosa foresta di Meritein. Vediamo i cavalli tipici di queste regioni detti “Pottock”; sono dei Pony, rustici cavalli che sono rappresentati anche su degli affreschi preistorici, ma il loro principale impiego era nelle gallerie delle miniere… Oggi sono salvaguardati ed utilizzati nei Clubs Equestri. Nei piccoli villaggi vediamo le tipiche case Basche, dalle facciate bianche di calce e le travi di legno di color rosso scuro in bella vista; veramente belle e graziose. Costeggiamo un bel maneggio, anche lui dipinto di bianco e rosso, con i Poney al piccolo trotto e dei ragazzini in groppa. Siamo quasi alla fine della tappa; attraversiamo un ponticello sulla Lucq, poi vediamo l’Eglise di Meritein e 20 minuti dopo siamo davanti all’Eglise de Saint-German-d’Auxerre, nella vasta Place Darralde di Navarrenx. Sono le 11 circa, ma il Curè non c’è e non ci ha lasciato neanche il portone aperto; veniamo a sapere poi che il lunedì và a trovare i suoi parenti e torna sempre tardi, alle 19 circa. Non possiamo aspettare così tanto ed allora ci indirizziamo al Bar del Centro dove c’è l’incaricato della Gîte d’étape comunale. Questa è bella e ampia, ma con i servizi un poco sotto la sufficienza; anche la cucina è ampia, ed i letti sono buoni. dopo la doccia ed il bucato io vado in città per la spesa in un supermercato di periferia, passando vicino alle antiche mura fortificate, veramente imponenti e di bella fattura. Alle 19 rientra il Curé e nella sua casa ci offre l’aperitivo; vino bianco con biscotti, poi si chiacchiera un poco di tutto. Il Curé deve dire Messa, e ci lascia. io ritorno alla Gîte a cucinarmi gli spaghetti mentre i miei amici vanno al ristorante; in cucina ritrovo Vanik e Laurent i due giovani sposi pellegrini conosciuti a Livinhac-le-Haut. Domani andiamo ad Aroue; sono circa 20 Km, una tappa corta. A St-Jean-Pied-de-Port, mancano “ormai”, solo 60 Km!

29/06/99 Martedì: Ventiquattresima tappa: Navarrenx, Aroue (Ferme Bohoteguya) 20Km 5 h

Partiamo al mattino alle 6,30; la sveglia è stata alle 5,30. Siamo sono parecchi pellegrini ed i fuochi della cucina sono due, quindi bisogna fare i turni. Comunque la tappa è corta, soltanto 20 Km ed abbiamo deciso di fermarci alla Ferme Bohoteguya, da M. e Mme Barneix, e mai la scelta si è dimostrata così azzeccata. I pellegrini di un tempo dovevano andare fino a Saint-Palais; 38 Km di allora, in questa regione vallonata e piena di boschi! Usciamo da Navarrenx per la Porta di St-Antoine molto bella e turrita, con il muraglione fortificato e le aeree garritte sugli angoli, poi passiamo il ponte sulla Gave d’Oloron e procediamo per i quartieri di Castetnau-Camblong; il tempo è bello e fresco e si cammina bene anche se un pò su e giù. Da Castetnau-Camblong, prendiamo la D115 (i miei amici non sono interessati alla GR65 in quanto tale, quindi quando possono, prendono le scorciatoie pur di risparmiare qualche Km, io per non fare il solitario ed il purista mi adeguo a loro ripromettendomi un domani di ritornare… chissà…) fino a Balou, a circa 5 Km; poi discendiamo nella valle tra boschi e coltivazioni di mais molto estese. Passiamo vicino allo Château de Mongaston e poi alle case di Cherbeys; da qui attraversiamo il cortile di una Ferme e valichiamo su un ponte girevole la Saison. Poi per un sentiero fra i tigli arriviamo a Lichos; villaggio ben ordinato e lindo vicino alla Ferme di Bouhaben. Ad un crocicchio, sotto una grande quercia, prendiamo un sentiero erboso che ci porta in alto mentre i panorami sulle valli qui si sprecano ad ogni curva del sentiero o dopo l’uscita dai boschetti. Poi ecco lo Château de Joantho e discendendo un pratone arriviamo alla Ferme Bohoteguya. Sono le 10,30, è molto presto ed entrando nel cortile solleviamo una cagnara di latrati. M.Barneix ci accoglie con sua moglie; due persone simpatiche e gentili: lui Daniel, è un omone con una barba nera, mentre la signora è un tipo mite, ma ci sembra che sia lei che manda avanti tutti i lavori della Ferme! Appena preso alloggio ci offrono caffè, latte e biscotti, poi andiamo per la regolamentare doccia ed il bucato; c’è un sole che spacca le pietre e ne approfittiamo. Ci guardiamo intorno mentre M.Barneix ci sommerge di argomenti; in questa Ferme ci sono quasi tutti gli animali del creato (quelli domestici), mancano solo cavalli e muli, ma forse sono al lavoro…. A mezzogiorno diamo fondo ai nostri viveri mentre M.Barneix ci porta il vino e poi al termine anche il caffè; poi ci ritiriamo per la siesta fino alle 15,30. Pensavamo di fare un tour ad Aroue, ma appena seduti nella veranda M.Barneix ci risommerge di discorsi, e cosi stiamo qui, più tardi poi arriva una parente di AnneMarie che abita qui vicino, ed è giocoforza tirare sera chiacchierando. La cena, inutile dirlo, è squisita e sovrabbondante: zuppa di legumi, pasticcio di sanguinaccio, frittata di uova un poco piccante, pollo, insalata, macedonia di frutta, torta di fecola e di cioccolato, poi il caffè: vi dico che mi sentivo pieno come un uovo. Alle 21, i cani si mettono ad abbaiare come forsennati; M.Barneix ci dice che hanno sentito delle persone su in alto nel bosco: ci saranno almeno 500m di distanza! Effettivamente ecco che sbucano due pellegrini con i quali divideremo una grande amicizia sul cammino; sono Stephane e Jerome, due ragazzi di Grenoble, che fanno campeggio alla “belle etoile” (senza tenda). Arrivano qui per comprare del pane, cosi gli diamo pane e un poco di torta, poi ripartono. Noi alle 9,30, dopo il caffè, ci si schioda finalmente dalla veranda ed alle 10 ci infiliamo nelle desiderate coltri. Domani si andrà alla mitica “Maison Ospitalia” ad Ostabat dove M.Barneix ha telefonato per riservarci i posti; sono solo 20 Km.

30/06/99 Mercoledì: Venticinquesima tappa: Aroue ( Ferme Bohoteguya), Ostabat 20 Km 5 h

Camminando con amici, a volte non si riesce per evidenti ragioni ad entrare nello spirito del Cammino; si parte, si parla, si discute, ci si scambiano opinioni, su molte cose, ed ecco che la tappa si trasforma in un trekking. Bella cosa, certo, ma che ha poco di cammino interiore, proprio del “pellegrinare” che vorrei; comunque, ho trovato dei buoni amici, e se St-Jacques me li ha dati, sarà per un mio arricchimento secolare e spirituale. Ho il tempo però, quando sono nella branda e la mente è più disposta ai soliloqui, di pensare a molte cose di questo cammino, ieri sera prima di addormentarmi, la mente mi portava alla tappa di oggi, “giungere ad Ostabat”, ci pensate? In quel luogo dove tre, dei quattro grandi Cammini di pellegrinaggio della Francia, si riunivano per poi, valicati i Pirenei, congiungersi in Spagna a Puente la Reina con l’altro Cammino, proveniente da Arles, che valicava il Col du Somport. E’ un fiume di sensazioni quello che mi si affolla nell’atrio del raziocinio, il sapere che tutti i pellegrini dell’Europa si ritrovavano in quel crocevia, in quel luogo, che ha per me qualcosa di mitico, pensare che sarò in quell’hospital, colmo di immaginifica grandiosità che era, e che forse è ancora oggi, la Maison Hospitalia, già citata da Aimery Picaud nel XII secolo, mi mette un poco in subbuglio, forse è meglio che mi metta a dormire, anche se l’emozione che affluisce a fiotti dentro me, ha buon gioco nel tenermi sveglio! Mi sento ancora sicuro e ben felice, di essere scortato dall’invisibile esercito di anime pellegrine, più o meno pie, che fanno ala a chi cammina verso Compostelle! Mi sveglio bruscamente, il bip-bip tecnologico è sempre sgradevole, ma i galli dormono ancora e bisogna affidarsi a questi surrogati senza cuore. Sono le 5,30, e con la dovuta calma data dalla corta tappa ci accingiamo alle faccende mattutine: abluzioni e barbe ben rasate in primis! Poi con i Mrs Barneix, colazione con i prodotti della loro Ferme: marmellate, miele, burro, frutta, biscotti con pane latte e caffè; tiriamo le 6,45 gustando tutto quanto, e poi ben pasciuti ci congediamo da questa buona gente con baci ed abbracci. Il tempo è coperto ma non fa freddo e si cammina bene; passiamo davanti alla Eglise di Saint-Etienne di Aroue, subito dopo la Gite, poi ecco lo Château de Joantho in un parco privato. Ieri l’avevamo intravisto da lontano; prendiamo a sinistra la GR e dopo un maneggio ed un laghetto arriviamo alla Ferme di Begorre dove saliamo su di un monticello di resti di mura fortificati (una “motte feudale”), e giungiamo alla Eglise de Olhaiby. Siamo alla Ferme di Etcheberria: queste Ferme che si susseguono ora, sono tutte belle e ben tenute, segno che l’economia è florida. Passiamo accanto ad una pietra con delle conchiglie che indica il cammino di St-Jacques; poi veniamo raggiunti da Stephane e Jerome lungo una discesa e ci facciamo una foto di gruppo accanto ad un segnale del cammino. Arriviamo a Larribar-Sorhapuru; passiamo da Etchartia (i nomi si fanno sempre meno francesi), attraversiamo quindi la Bidouze, e poi per sentieri boschivi giungiamo ad Hiriburia. Walter ci dice che la stele discoidale che marca i tre cammini dovrebbe essere qui vicino; difatti al termine di una leggera salita è là: ci sta aspettando, è proprio lei come è descritta sulla guida. So che non è antica poiché è stata messa lì nel 1964; ma Aimery Picaud, scriveva che tutti i pellegrini di allora confluivano ad “Hostavallam” parola che rende benissimo il toponimo di adesso: Ostabat! Sento di aver già raggiunto una delle mete di questo mio pellegrinaggio, e ne sono quietamente felice. Ora lasciamo questo sito con tutto il suo alone di leggenda e ci incamminiamo verso la Chapelle de Soyarza, in cima ad un panoramico colle; il cielo però è un poco offuscato, e non permette agli occhi di spaziare fino ai Pirenei, ora molto vicini. Ne approfittiamo per una piccola sosta all’interno della Chapelle, e Stephane, con il suo flauto ci suona una melodia Celtica; molto bravo! Discendiamo rapidamente, ora siamo alla Chapelle di Harembeltz; era un priorato-hospital di St-Nicolas un tempo ma adesso è in rovina; c’è una Cappella Romana, e nel piccolo cimitero annesso, ci sono quattro stele funerarie discoidali sopra le tombe di altrettanti pellegrini lì sepolti, le date sono del 1628, molto antiche. Giungiamo ad Ostabat; luogo ai tempi molto importante per i pellegrini che venivano sul cammino, la guida dice che ai tempi, qui venivano ospitati fino a 5000 pellegrini! Ora c’è solo la Maison Ospitalia, rifugio per pellegrini, e Gîte d’étape per i randonneurs, che sopporta la tradizione ospitaliera del passato. Ostabat, è ora un villaggio un poco addormentato con una bella Chiesa dal notevole campanile, un ristorante ed un piccolo negozio dove comprare dei viveri per domani. La Maison Ospitalia è abbastanza accogliente, una bella casa, con al piano inferiore la grande cucina, i servizi, ed al piano superiore il dormitorio. Stasera ceniamo al restaurant poiché domani Walter alle 13 prenderà il treno per ritornare a casa; Ramon aspetterà suo figlio che all’indomani lo riporterà a S.Sebastian, mentre Annemarie, con i suoi parenti farà la tappa di Roncisvalle. Solo io proseguirò per Santiago! Perderò dei buoni amici pellegrini, e mi auguro di trovarne di altrettanto gentili e cortesi, nel prosieguo del cammino. Ahora vamos a cenar!

01/07/99 Giovedì: Ventiseiesima tappa: Ostabat, St-Jean-Pied-de-Port 20 Km 5h

Ieri sera è venuto a farci visita M.Etchepareborde, il gestore della Gite; persona simpatica e cortese e ci ha lasciato in dono 8 uova della sua Ferme, come fa da sempre con tutti i pellegrini che si fermano qui. Quindi oggi dopo la sveglia alle 5,30 metto le uova nella “casserole” per farle sode, così oltre al latte con marmellata e biscotti ci mangiamo anche le uova sode! AnneMarie scherzosamente protesta, perché non riusciamo a finire il formaggio che tiene nello zaino, e che a suo dire profuma non poco. Sono le 6,10, il tempo è buono e pensiamo di poter arrivare presto oggi, dato che Walter deve prendere il treno. Subito la ripida ma corta salita che ci porta nella piazza della Chiesa; poi tra sentieri pastorali giungiamo alle case di Asme-Chilo, poi la Ferme di Larramendia, ed infine entriamo a Larceveau. Anche qui vediamo due stele discoidali del 1648, a lato della bella Eglise. Poi saliamo sulla costa del monte a destra della valle, andando incontro ad un banco di nebbia fredda e fitta che si insinua rapidamente nella valle. A Uxiat scendiamo sulla D933 fino a Galcetaburia dove troviamo a destra della strada, la croce di Via che è raffigurata anche sulla guida, con un Cristo naif davanti, ed una Vergine con il Bambino sul rovescio. E’ del 1714; ci sono delle iscrizioni, una in latino e l’altra in lingua Basca ed il posto sta ad indicare un incrocio di Vie Romane, ma anche luogo di passo dei pellegrini. Camminiamo ora sulla D933, perché la GR si arrampica sui monti alla sinistra della valle; arriviamo a St-Jean-le-Vieux, antico posto di sosta di origine Romana. Da qui passarono CarloMagno, ed Aimery Picaud. E’ da vedere la bella Eglise di St-Pierre; poi andiamo diritti fino all’indicazione per la Magdeleine. Qui vi è una bella Chiesa dall’architettura simile al Priorato-Hospital de la Magdeleine de la Recluse, un Gotico del XV secolo che ha preso il posto di una Chapelle molto più antica. Eccoci dopo un bel sentiero, sotto dei platani e nelle vie bordate da fiori lungo il cammino, che entriamo a St-Jean-Pied-de-Port, attraverso la Porta di St-Jacques: da quanto tempo desideravo questo momento! E’ dall’anno scorso, quando arrivai qui con Alice. Anche questa cittadina merita almeno un giorno di sosta per vedere le sue molte particolarità, ed il quartiere della Cittadelle è una di queste. L’Eglise de l’Assomption, gotico del XIV secolo, accanto al Priorato-Hospital Sainte-Marie, che è l’Eglise de Notre-Dame-du-Pont posta accanto al ponte sulla Nive, il quale apre le porte della Spagna ai pellegrini che prendono il “sentiero Napoleonico”. Poi la vi è la “Prison de l’Evêque”, ancora la Port de France, e naturalmente tutte le caratteristiche case ed i minuscoli negozietti e bar, sempre molto animati. Al rifugio timbriamo le credenziali e poi Walter ci saluta; ritornerà a Settembre con Ramon per riprendere da qui il cammino fino a Santiago. Sulla bacheca del rifugio trovo una lettera a me indirizzata: che sorpresa! E’ di Jean ed Andrea che mi fanno tanti auguri per il mio cammino. Il rifugio è veramente bello ed accogliente; ci sistemiamo al meglio io e Ramon, mentre AnneMarie è andata da una sua amica. Ci siamo dati il rendez-vous per domattina alle 6,30, davanti alla Eglise di Notre-Dame-du-Pont; poi vado da Les Donats, e lascio i saluti miei e di Alice per Silvyane: lei arriverà domani, e non potrò rivederla. Ho terminato questo primo tratto di pellegrinaggio francese che è la “Via Podensis”, e sono felice. Domani sarò a Roncisvalle; e poi il “Camino Frances”. Hasta Santiago!

02/07/99 Venerdì: Ventisettesima tappa St-Jean-Pied-de-Port, Roncisvalle 23 Km 8 h

Sono le 5,30 e c’è già animazione nella camerata; cominciano già le prime avvisaglie circa il comportamento di giovani spagnoli poco educati. Nei rifugi, arrivano anche a mezzanotte: avanti-indietro con zaini, docce, luci accese e sempre parlando a voce alta. Sarebbe bene che l’Unesco dichiarasse gli Hospitales, “Patrimonio Cultural-Educativo para los Jovenes Espanoles”?! Faccio colazione assieme a Ramon; pane e latte. Ci sono tre ragazze che dormono sul pavimento della cucina; si svegliano e visto che non hanno nulla da mangiare offro loro tre brioche ed una banana che ho nello zaino. Alle 6,30, raggiungiamo AnneMarie che ci attende davanti alla Eglise de Notre-Dame-du-Pont; i suoi parenti però hanno dato forfait, poiché andranno a Roncisvalle in macchina, quindi ci avviamo noi tre. Ci sono già dei pellegrini in marcia; difatti ieri i treni ne hanno scaricato delle vagonate, ma dubito fortemente del loro stato di “Pellegrini”, benché siano forniti della credenziale. Procediamo con calma, poiché il tempo è bello ed oggi farà sicuramente caldo; ieri notte si è scatenato sulla montagna un temporale con tuoni, lampi, ed acqua. Io pensavo a Vanik e Laurent che erano su in cima, accampati alla “belle etoile”! Man mano che si sale si scopre un paesaggio bellissimo; le brume si attardano pigramente nelle vallate ed i cocuzzoli dei colli spuntano piano piano come calamitati dal sole mattutino; vediamo greggi di pecore dal caratteristico muso nero, originarie queste regioni, che punteggiano di bianco le pendici dei colli verdeggianti. I “Vautours”, gli Avvoltoi compiono i loro ampi cerchi su in alto in cielo, per poi planare su qualche carcassa di animale strepitando rumorosamente in un groviglio di becchi adunchi. Dopo mezz’ora di cammino, Ramon ci saluta; ritorna a St-Jean-Pied-de-Port e noi procediamo verso la sommità della montagna con un bel vento che ci aiuta a non sudare. Panorami ampi e luminosi si aprono sempre più sulle valli sottostanti; l’anno scorso non li avevo visti a causa della nebbia. Dopo Huntto incontriamo un signore gentile e generoso che con la sua macchina carica di taniche di acqua potabile, soccorre i pellegrini imprevidenti che sono soliti sottovalutare la lunghezza e l’asprezza della salita, senza acqua a sufficienza nello zaino. Il vento rinforza parecchio e le folate a volte ci spostano di lato; naturalmente è beffardo e soffia verso valle! Arriviamo alla Vierge di Biakorre; da questa antecima, un immenso panorama si offre alla nostra vista. Scatto delle foto e poi riprendiamo il cammino per raggiungere la croce che ci manda a destra lasciando l’asfalto e facendoci valicare i Pirenei. Scendiamo poi verso il confine dove una stele indica che entriamo nella Navarra! Sono in Spagna, e la seconda parte del Cammino si spalanca davanti a me. E’ come aprire uno scrigno sapendo già che i tesori che contiene sono anche per me: fiotti di commozione mi sommergono per i ricordi ancora recenti e ad ogni luogo che riconosco! Parecchia gente è sul cammino e prima o poi la rincontrerò tutta nelle tappe che verranno. Ad una sosta sotto dei faggi per uno spuntino, incontro per la prima volta Marc ed Andrea, due Lussemburghesi. Sono partiti da casa ed hanno raggiunto Vezelay. poi in bus fino a Le-Puy-en-Velay e da lì sono ripartiti a piedi per raggiungere Santiago. Mi rammarico ancora di non avere il loro indirizzo; mi danno notizie di Lionel che avendo rotto le scarpe, ha dovuto deviare il cammino verso Pau per comprarle nuovamente e, sorpresa! Sanno che ho preso parte al reportage di TF1 sul cammino; incredibile il tam-tam del cammino! Giungiamo a Roncisvalle alle 15. Il rifugio apre alle 16; qui sono oggetto, come pellegrino, della curiosità e dello studio di tre scolaresche di ragazzi spagnoli che sono qui convenute per delle ricerche sul Cammino di Santiago. Sono estasiati dal mio essere: zaino, bordone, cappello; mi fanno un mucchio di domande e sono felici di sapermi italiano e che io risponda loro in spagnolo. AnneMarie ha nel frattempo ritrovato i suoi parenti che mi offrono una gradita cerveza al restaurante, poi più tardi mi saluta, e con lei che parte, si dissolve il gruppo europeo che si era spontaneamente formato. Sono di nuovo solo. Finalmente aprono il rifugio. Sellos e poi assegnazione della branda in camerata dove sono ben alloggiato. La doccia ed il bucato velocemente, e poi scendo per scattare delle foto. Ritrovo Vanik e Laurent che mi raccontano la notte di tregenda su in montagna ieri notte; Laurent ha avuto veramente paura, e credo che per parecchio se la ricorderà. Vado a cena al restaurant (1300Ptas); sono al tavolo con dei tedeschi che fanno gruppo a sé, quindi non si parla per niente. Tra l’altro per cena mi danno ancora la sogliola come l’anno scorso; da buon pellegrino ingoio amaro e faccio buon viso a cattivo gioco. Marc ed Andrea mi diranno poi che al restaurant presso la Chapelle di Santiago (silo di CarloMagno), si è mangiato bene e non è stato caro: me ne ricorderò la prossima volta…. Domani andrò a Larrasoana, dall’Alcalde don Santiago; 27 Km, ancora nei Pirenei. Verso una bel pueblo che mi è caro.

03/07/99 Sabato: Ventottesima tappa: Roncisvalle , Larrasoaña 27 Km 7 h

La sveglia qui a Roncisvalle è sempre alle 5,30 e parecchi pellegrini sono già in piedi. Il mio zaino è già pronto, devo solo metterci il sacco a pelo e poi via. Vedo Marc ed Andrea ma evidentemente non ci capiamo, perché io aspetto 10 minuti sul piazzale antistante il Monastero, ma non vedendo arrivare nessuno parto. Sono le 6, è ancora un poco buio; è passato più di un mese da che sono partito da Le-Puy-en-Velay ed i giorni si accorciano…. Prendo il sentiero sulla destra della carretera, sotto i pini e dopo mezzo Km, ecco la croce di Roncisvalle al di là della strada; gli faccio una bella foto perché l’anno scorso, complice il buio pesto (era Agosto), non l’avevamo vista. Il tempo è buono; riconosco il sentiero e mi sembra di essere a casa; la sensazione è di una sottile felicità che mi pervade e si espande in me ad ogni luogo che mi è noto. A Viscarret, mi fermo in un bar per il primo “café y leche” con due postres, poi mi compro anche due bocadillos con “jamon york y hueso” molto grossi e ben imbottiti; la tappa è lunga e sarà anche dura. Passo da Linzoáin; poi all’uscita del pueblo prendo il sentiero che comincia a salire, si và sull’Alto de Herro. Il sentiero si snoda tra pini, faggi, querce, con il sottobosco infestato dai rovi; fa caldo qua sotto e si suda abbondantemente. Vedo delle tende di pellegrini-campeggiatori ai margini del sentiero nel pascolo, e finalmente sono sulla sommità, al “Paso de Roldan”, dove una grande pietra testimonia, secondo la leggenda, un luogo delle gesta di Rolando e dei Paladini. Mi rituffo di nuovo nella vegetazione che borda il sentiero fino alla Venta del Puerto; poi in discesa verso Zubiri dove passo sul ponte gotico a due archi che è chiamato “Puente de la Rabia”; secondo la credenza, ai tempi bisognava far fare al bestiame tre volte il giro del pilone centrale affinché non prendessero tale malattia; tale potere è attribuito secondo la tradizione, alle reliquie di St-Quitterie, sotterrate sotto le arcate del ponte. Nel piccolo negozio appena varcato il ponte, faccio la spesa per oggi e domani che sarà domenica e poi mi reco al rifugio per farmi mettere il sello. Il rifugio è bello; mi avevano detto l’anno scorso, che non si stava bene lì; così come è mi sembra ottimo come anche il pueblo, ma la tappa sarebbe troppo corta fermarmi qui e così, con lo zaino carico e pesante per le provviste, ripasso il ponte e riprendo il sentiero. Si sale ancora fra prati e case con il fiume là in basso; si sente il calore che sale dai campi, poco prima umidi. Ci sono altri pellegrini che marciano sul sentiero ed ogni tanto si fermano per tirare il fiato o per togliersi un indumento che è di troppo; qui si comincia a parlare spagnolo ed a pensare in spagnolo. Arrivo a Larrasoaña dopo essere passato sul suo bel ponte, anch’esso gotico del XIV secolo; è chiamato “Puente de los Bandidos”. Dato che bisognava passare il ponte, qui si era stabilita una banda di banditi che spogliava gli ignari pellegrini di tutti i loro averi e non di rado li uccideva. Larrasoaña è tuttora un piccolo pueblo con le case allineate ai fianchi della strada e con la bella Chiesa Parrocchiale dedicata a San Nicola di Bari del XIII secolo. Sono ora davanti al rifugio; sono la 13 ma aprono alle 13,30, e ne approfitto per mangiare i due bocadillos. Don Santiago, l’Alcalde, arriva puntuale e così rimetto piede nel bel rifugio con i suoi bei letti, le docce, e la bella cucina. Appena ho il posto mi prendo una doccia e poi il bucato; lavo anche la tuta poiché c’è un sole che spacca le pietre e mi asciugherà tutto in un baleno. Poi in cucina mi preparo una gustosa sopa liofilizzata ben calda e poi un bella siesta. Nel frattempo però è arrivata una “mujer”; una pellegrina spagnola che si mette a raccontare la sua tappa con voce squillante: è come una mitragliera! Parecchi di noi pellegrini si guardano negli occhi sconsolati; forse è stato il marito che l’ha mandata sul cammino per stare un mese in santa pace! Non potendo dormire vado al fiume per prendere un poco di sole; là incontro Maximo Duran, un giornalista. Stiamo lì due ore a parlare della leggenda circa la pietra del “Padron” dove attraccò la barca con il corpo dell’Apostolo. Al rientro in rifugio la mujer sta ancora blaterando a tutto spiano, così vado in cucina e vi ritrovo Vanik e Laurent che dopo aver patito il temporale su a Roncisvalle non disdegnano, ogni tanto, il conforto di un bel rifugio; tra l’altro Laurent è un poco stanca ed un bel letto è quel che gli ci vuole. Incontro anche Mauro, un pellegrino italiano di Roma; è la prima volta che fa il cammino e si sente un poco sperduto. Facciamo comunella per un poco e lo consiglio al meglio sul prosieguo del cammino. Alla sera, per cena, mi preparo mezzo litro di latte con i biscotti; poi chiacchiero con degli spagnoli che abitano al di là di Gibilterra i quali mi invitano ad unirmi a loro per raggiungere Santiago il 24 Luglio! Vale a dire circa 40 Km tutti i giorni, più o meno. Gentilmente declino l’invito, perché ho abbastanza tempo quest’anno e vorrei vedere quanto più possibile le Chiese ed i monumenti delle città e dei pueblos che attraverserò lungo il cammino. Sono quasi le 10 quando vado a nanna; domani vado a Pamplona, nel rifugio della Cattedrale di San Saturnino, dove l’anno scorso siamo stati bene ospitati Alice ed io.

04/07/99 Domenica: Ventinovesima tappa: Larrasoaña , Pamplona 20 Km 5 h

Si è dormito bene, nonostante avvisaglie di alcuni “roncadores”; Vanik e Laurent, per il timore di non riuscire a dormire hanno preso posto sul palco dei concerti che era ancora posizionato in piazza, ma è stato peggio. Non conoscevano le abitudini degli spagnoli di tirare l’alba con le varie “fiestas”, per cui non hanno dormito per niente, mentre noi nel rifugio, non abbiamo avuto alcun problema, né di rumore né di “roncadores”. Gli amici spagnoli che ieri mi avevano invitato a fare il cammino con loro partono alle 5,30 quando è buio pesto; vanno a Puente la Reina, a circa 38 o 40 Km. Avendo il sonno leggero mi sono svegliato anch’io, li saluto e poi scendo in cucina a prepararmi la colazione: latte e biscotti. Al primo albeggiare, alle 6,30, sono in marcia; conosco il sentiero e lo rivedo con piacere. Salgo verso Agorreta; volevo fare una foto al suo imponente Castillo, ben visibile dal basso, ma mi accorgo che ora sono troppo vicino, era meglio 500m prima; sarà per la prossima volta. Proseguo tra boschi di faggi sulla sinistra del fiume Arga, poi arrivo a Zuriáin e lo attraverso; quest’anno non ci sono le miriadi di piccole rane che l’anno scorso occupavano il sentiero: può darsi che non siano ancora nate! A Zabaldica la guida dà ancora due sentieri, ma c’è n’è uno solo segnalato che porta ad Arleta e resta un poco alto sulle pendici del colle, in basso vi è la carretera C135. Arrivo a Trinidad de Arre, dopo avere passato sul suo bel ponte a sei arcate, il rio Ulzama, che scorre in basso al Monte Miravalle; vado a bussare al portone del Cura per il sello, ed egli sempre molto gentile acconsente. Riparto verso Pamplona, ed arrivo al Puente de la Magdalena; un bel ponte romano. Scatto delle foto al Crucero che è al suo ingresso e che indicava la direzione ai pellegrini (qualche maleducato lo ha sporcato con la vernice), ed anche al riflesso del ponte nel fiume. Mi addentro nelle sue ciclopiche mura andando verso la Cattedrale di St-Sernin, dove l’anno scorso c’era il rifugio, ma ora è chiuso; chiedo ad alcune Guardie e mi informano che vi è la “Feria de San Firmin” qui, e difatti tutto il centro città ha le vie pronte per la famosa corsa dei tori. Nel frattempo sono stato raggiunto da Carlos, un pellegrino spagnolo conosciuto a Roncisvalle; con la mappa alla mano si và al nuovo rifugio che è stato approntato presso il Seminario diocesano. E’ un poco in periferia, circa due Km in più; ci arriviamo alle 10,15 ed apre alle 12, a causa delle pulizie. Nel frattempo arrivano altri pellegrini, ma non c’è pericolo per le brande: qui ci sono 300 posti letto! Il sole è già caldo ma c’è un poco di aria; ci sistemiamo sotto dei pini a mangiare ed a fare conoscenza con gli altri pellegrini poi alle 12 aprono e ci sistemiamo nella grande palestra. Le docce sono belle calde, al limite della scottatura, quindi il bucato e poi via in città per il tour. C’è molta gente, turisti per la maggior parte richiamati dalla “Feria di San Firmin”; nelle piazze o lungo le vie vi sono piccole orchestre e giocolieri che intrattengono rumorosamente il pubblico. Entro nella Cattedrale per ascoltare la S.Messa e poi in un negozio per acquistare dei rullini per diapositive. Girare a piedi in questa stupenda città è bello; ci sono monumenti o Chiese in ogni calle che meriterebbero di essere visitate; scatto alcune foto mentre mi aggiro in tutte queste vie con il naso per aria. Ci vorrebbero almeno un paio di giorni per poter ammirare con la dovuta cura questa splendida città. Il sole picchia, ma il cielo si sta rapidamente rannuvolando per cui decido di rientrare al rifugio dove ritrovo Marc ed Andrea; hanno camminato lentamente perché due ragazze del gruppo avevano problemi alle ginocchia. Alle 17, si scatena un bel temporale con acqua a catinelle; temo che questa sera dovrò cercarmi un ristorante andando in giro con il poncho. Ma gli hospitaleros avvisano che la loro mensa sarà in funzione, e così con 1000 Ptas e con un buon menù si risolve al meglio il dilemma “cena”! Si mangia bene ed a sufficienza. Marc ed Andrea sono al tavolo con me e cosi abbiamo modo di conoscerci meglio; trovo anche due ragazzi italiani che sono in giro in bicicletta; uno è di Cusano e l’altro è di Monza ed ha la fidanzata ad Arcore, mio luogo natio! Quando si dice che il mondo è piccolo! Qui ora sta piovendo e parecchio forte anche; gli hospitaleros mi dicono che per domani dovrebbe esserci bel tempo, speriamo in meglio! Qui al rifugio ci sono i distributori automatici di bevande calde e di croissant; io mi rifornisco di tartine, perché, visto che siamo in 150 pellegrini alloggiati qui, è molto facile restare senza colazione domattina. Ora vado a nanna; sono le 22,30 quando arriva un gruppetto di turisti italiani che non hanno trovato posto in città dopo essere arrivati all’aeroporto! Ricontrollo ancora la mappa della città per poterne uscire senza problemi domattina, dato che ho intenzione di partire presto e non voglio perdere tempo a cercare il cammino quando è ancora buio!

05/07/99 Lunedì: Trentesima tappa: Pamplona, Puente la Reina 24 Km 6 h

Stanotte qui al Centro Diocesano, si è dormito normalmente nonostante l’affollamento di circa 150 persone; nessuno russava in modo eccessivo, solamente l’ambiente dei corridoi aveva una acustica rimbombante tipica di questi vecchi Seminari ed a volte gli hospitaleros parlavano con voce troppo alta, anche a notte fonda…. Ora sono le 5,30 ed i distributori automatici delle bevande calde funzionano bene e mi prendo due cappuccini bollenti con dei croissant mentre già ci sono pellegrini che vanno avanti-indietro con gli zaini. Sono le 6 quando esco dall’edificio; Vi sono pozzanghere in ogni dove, ma dall’alba che sta svogliatamente spuntando, vedo che le nubi si stanno diradando lasciando intravedere il cielo blu scuro con qualche tremolante stella. Con la mappa della città alla mano, mi oriento velocemente nelle vie ancora deserte per raggiungere all’uscita dalla città con le frecce gialle che mi porteranno sul sentiero. Giungo presso la Cittadella Universitaria, attraverso un ponticello e prendo la direzione di Cizur Menor che già scorgo in lontananza; vi arrivo dopo un lungo falsopiano in salita e mi fermo per delle foto alla sua Chiesa dal bel frontone e dalla campana che si staglia contro il cielo azzurro Mi metto in maglietta e mentre mi incammino verso l’Alto del Perdon, vedo che arriva Mauro, il pellegrino di Roma; ieri non ha sostato a Pamplona, ma è venuto qui a Cizur con i suoi compagni. Mi informa che il rifugio è bello ed è ben tenuto; in effetti, è un Hospital tenuto dai Cavalieri dell’Ordine di Malta. Procediamo per un poco insieme, poi lo lascio ad attendere i suoi compagni. Cammino fra campi di trigo (grano) molto estesi, che l’anno scorso avevo visto già falciato; sono di due qualità: uno ha le spighe grosse e tozze con lo stelo corto e robusto, l’altro dalle spighe larghe e snelle con dei baffi lunghi e lo stelo lungo ed esile. Già ci sono grandi cataste di rotoli di paglia, ben ordinate; la mietitura è già iniziata, ma quest’anno riuscirò a vedere queste immense distese di grano non ancora falciato! Il sole incomincia a scaldarmi la nuca mentre sto ascendendo verso l’Alto del Perdon, il sentiero è fangoso e pongo attenzione per non scivolare (viste le mie malridotte suole). Vi è poco vento e la lunga teoria delle bianche eliche delle centrali eoliche poste sulla cresta dell’Alto, a volte sono ferme, segno che la giornata sarà calda. Raggiungo la fontana de Reniega; è sempre secca ed anche per lei vi è una leggenda circa un intervento miracoloso di Santiago. Arrivo sulla sommità e faccio delle foto anche ad una torre eolica; volgo lo sguardo all’indietro verso Pamplona dove ancora più in lontananza si scorgono ora indistinte, le sagome dei Pirenei. Guardo avanti a dove mi porterà il cammino; giù nella valle de Valdizarbe, dove ancora si celano agli occhi i piccoli pueblos di Uterga, Obanos, ed ancora più in fondo alla valle, Puente la Reina. Discendo il sentiero che si è fatto ripido e ciottoloso ancora umido fra boschetti di querce nane, macchie di arbusti e di vegetazione rigogliosa; le mie pedule ora gemono su questi sassi appuntiti, fino a quando non arrivano sul sentiero di terra argillosa che mi accompagna fin dentro Uterga. Proseguo su di una piccola strada asfaltata fino all’abitato di Muruzabal; poche case lungo la Calle Real, poi arrivo ad Obanos dove mi fermo un poco in questo antico e storico Pueblo. E’ la storica “Villa de los Infazones”, (Città dei Gentiluomini); nella sua Iglesia, dedicata a San Juan Baptista vi è custodito come Reliquia, il cranio rivestito d’argento di San Guillermo. Scatto delle foto alla sua bella piazza ed al suo arco di stile romanico sotto cui passa il cammino. Riprendo il sentiero verso Puente la Reina ora non più distante di 3 Km; vi giungo ben presto e mi reco subito al rifugio de los Padres Reparadores, poiché anche se non è proprio bello e comodo (quest’anno la Municipalidad ha approntato un nuovo rifugio, in vista del notevole afflusso di pellegrini), vorrei essere ospitato in un vero Hospital per pellegrini, dove la spartanità è di rigore; e poi, di Puente la Reina, luogo di incontro di tutte le Vie di Pellegrinaggio Jacopee, questo Rifugio ne è il simbolo oltre al Ponte de los Peregrinos, fatto costruire dalla Reina Dona Mayor! Durante la tappa di oggi mentre camminavo, vi era qualcosa dentro di me che mi diceva, affrettati! affrettati! E’ per questa voce, per certi versi premonitrice; che non sono andato ad Eunate, a vedere la bellissima Iglesia de Santa Maria de Eunate, fuori percorso, a circa 4 Km da qui sulla Via Tolosana che viene dal Somport. Ed ecco che dopo aver disbrigato le procedure di alloggiamento con il consueto bailamme di pellegrini, ed aver occupato una branda, guardo la bacheca dei messaggi e vedo che ve n’è uno a me indirizzato!. Non so proprio spiegarmi di chi possa essere, perché tutti i miei amici, o sono tornati a casa, o sono più indietro sul cammino! Lo leggo con malcelata trepidazione e vedo con grande gioia che è di Vincent Boizan! Un amico svizzero con cui Alice ed io abbiamo iniziato e percorso, l’anno scorso, alcune tappe del Cammino! Sento che questo è uno di quei rarissimi momenti di pura felicità che è dato di sentire ad una persona nel corso della sua vita; l’incontro sia pure per mezzo di uno scritto, con un amico pellegrino che difficilmente si avrà modo di rivedere. Egli mi scrive che è sul cammino da Pamplona, fino a Logroño, dopodiché dovrà rientrare per il lavoro, la data è del 29/06. Rapidamente consulto la guida, ma è troppo avanti a me e non potrò mai raggiungerlo! Ragazzi sono felicissimo; lo avevo informato a Febbraio che avevo intenzione di riprendere il cammino ed ora, trovarmelo solo alcune tappe avanti a me mi dà troppa gioia. Sento che gli occhi si allagano dalla commozione, ma non posso farci proprio niente. Cosa volete; non sempre si è pronti a tutto sul cammino, ed alle volte la corazza che uno si costruisce addosso per resistere a tutto, si dimostra risibilmente fragile di fronte all’amicizia che una persona lontana, ti dimostra con un piccola, ma infinitamente gradita testimonianza! Santiago mi sta prodigando molte delle sue grazie in questo mio pellegrinaggio e sapere che mi tiene sempre una mano sul capo mi conforta sul suo prosieguo. Ora esco; vorrei fare delle foto al Monumento al Pellegrino prima che si metta a piovere. Già, perché nel frattempo si è levato un bel vento che sta portando nuvoloni neri che scorrazzano sopra la cittadina e dopo le foto, devo farmi il ritorno di corsa sotto una pioggia battente e fredda. Al rifugio ritrovo Mauro, il pellegrino romano; è un poco distrutto ed ha lo zaino a cui si sta staccando uno spallaccio Lo indirizzo da uno “zapatero” per la riparazione che si dimostra veloce e ben fatta, tra l’altro è anche gratis! Gli Spagnoli hanno proprio un gran cuore con i pellegrini! Dopo il temporale gironzolo per il Pueblo, è sempre bello, le case sono ben tenute e ci sono sempre fiori alle finestre; la Calle Mayor è in corso di ripavimentazione fino al Puente de los Peregrinos sul rio Arga. Ritrovo anche Marc ed Andrea i due amici lussemburghesi e ci infiliamo in un bar per prendere “tapas y unos vasos de vino tinto”; mi spiegano che essendo arrivati tardi non hanno trovato posto dai Padres Reparadores e sono alloggiati nel nuovo rifugio oltre il ponte, allestito dagli Scout. Dicono che è bello, è in un grande capannone, con oltre 100 letti a castello. Ci diamo appuntamento per le20,30 per la cena, al Restaurant Joaquim. Qui in Spagna, molto difficilmente si cena prima, anzi! Difatti solo i pellegrini cenano così presto, per ovvie ragioni di stanchezza ed anche perché i rifugi di solito chiudono alle 22! Sono le19,30 quando vado a telefonare a casa; anche Alice è felice di sapere che Vincent è sul Cammino e ci ripromettiamo quando tornerò a casa, di scrivergli una bella letterina a due mani! La cena da Joaquim si dimostra buona ed abbondante ed anche a buon prezzo, solo 1000 Ptas; siamo in otto a tavola, due spagnoli, due lussemburghesi, due ragazze francesi, una brasiliana, ed io unico italiano: inutile dire che l’italiano non lo parla nessuno, per cui si parla solo francese, o spagnolo! C’è molta allegria al nostro tavolo e Joaquim che né è compiaciuto, ci fa dono di una “botella de vino tinto”! Ci alziamo che sono quasi le 22 e ci salutiamo dandoci appuntamento per l’indomani sul cammino; probabilmente ci rivedremo ad Estella dove penso di fermarmi, sapendo che c’è un buon rifugio. Oggi è stato un giorno che mi ha regalato molta gioia, e ne sono riconoscente a Santiago! Ultreya!

06/07/99 Martedì: Trentunesima tappa: Puente la Reina, Los Arcos 40 Km 9 h

Parto alle 6,15; non ho fatto colazione perché il distributore automatico è guasto: quindi oggi niente bevande calde. Va bene anche così, poiché il pellegrino si deve adattare a questi piccoli inconvenienti. Fuori è buio pesto; cammino nella Calle Mayor e lo scalpiccio dei miei passi sul selciato è l’unico rumore udibile che disturba questa notte quieta. Solitario, attraverso il Puente de los Peregriños; il celebre Ponte medievale che ha fatto di Puente la Reina, la porta che spalanca i misteri del Cammino al pellegrino che si pone in viaggio verso Compostelle. Prendo per il sentiero che mi porta verso il Convento de Las Monias; è estremamente buio e devo usare la piccola torcia elettrica per evitare le pozzanghere che si sono formate sul sentiero di terra battuta. Passo il piccolo pueblo di Eunea e poi mi decido a prendere per il sentiero e non la carretera, che corre invitante ed ammaliatrice più in alto. Il cammino storico è qui, su questo sentiero che è un continuo su e giù, fra collinette e valloncelli ricoperti di vegetazione arbustiva grondante rugiada che ti bagna le gambe che ti fa già sudare: ma è anche scritto che il pellegrino deve fare penitenza già alle prime ore del mattino, o no? Lasciando perdere i mugugni mattutini, arrivo a Mañeru, con il sentiero che si è finalmente issato in alto sul pianoro già illuminato da un chiarore pallido; la carretera ora scorre qui al suo fianco e si respira fuori dall’intrico della vegetazione, ma i grossi camiones che corrono più in là, fanno un tale fracasso…! Dopo una ora di cammino, giungo a Cirauqui, un bel pueblo arroccato attorno al cocuzzolo di una collina; proprio di fronte al suo bel portone ogivale di impronta nettamente romanica, che immette nella parte alta del pueblo, c’è una “tienda” (negozio), aperta; vi compro: pane frutta, ed anche dei biscotti. Salgo nella piazzetta e sotto il porticato dove passa il cammino, vi è una mensola con il sello per noi pellegrini mattinieri; poi tra frutteti e vigneti scendo sulla Calzada Romana bordata da cipressi che costeggiando la collina, attraversa la valle e mi porta al celebre Ponte Romano, che è stato oggetto fortunatamente di recenti restauri e si presenta come il fiore all’occhiello di Cirauqui. Attraverso la carretera e risalgo più in alto, su di un sentiero in terra battuta che mi porta più avanti a vedere il nuovo acquedotto ed un vecchio mulino. Arrivo a Lorca dove fotografo la bella ed imponente Iglesia de San Salvador, un esempio d’arte romanica del XII secolo; la guida dice che nei tempi che furono, fù un hospital dipendente dalla Collegiale di Roncisvalle. Passo da Villatuerta attraversando un bel ponte romano ed entro ad Estella; sono le 10,30; è troppo presto, e dovrei attendere le 12 quando apre il rifugio, immediatamente prendo la decisione di proseguire per Los Arcos. Lascio detto a due pellegrini che stanno aspettando l’apertura, di informare il mio amigo Carlos che io proseguo, e che mi raggiunga a Los Arcos; ci sono circa 21 Km, ma mi sento bene e non mi va di aspettare che apra il rifugio. Questa volta però prendo il sentiero che mi condurrà alla “Fuente del vino” di Irache poiché l’anno scorso non l’ho vista. Estella è una grande città e c’è molto traffico; do uno sguardo al suo bel ponte medievale e poi mi incammino risolutamente verso la periferia dove incontrerò il sentiero che mi porterà alla Fuente. Là già ci sono due pellegrini Baschi che avevo incontrato a Puente la Reina e che ritroverò parecchie volte sul cammino; tiro fuori due bocadillos e spillo dal rubinetto della Fuente un poco di vino. E’ veramente buono ma mi guardo bene dall’eccedere: ci sono da fare ancora 20 Km! Riprendo il cammino arrivando al Monastero de Nuestra Señora la Real, entro per il sello e poi mi dirigo all’Hotel Irache più avanti, dove prendo un bel cappuccino bollente e mi mettono anche il sello della Ciudad. Proseguo verso Villamayor de Monjardin che vedo in fondo alla valle e poco prima di arrivare alla Fuente de los Moros, un bel esempio di gotico del XII secolo, recentemente restaurato; rivedo come l’anno scorso, gli stessi filari di lavanda fiorita sulla sinistra del sentiero. Risalgo nel piccolo pueblo di Villamayor e dopo una foto alla Iglesia, il Cura mi indirizza al nuovo rifugio, molto bello che è tenuto da hospitaleros Olandesi. Gentilmente mi pongono il sello, e poi via di nuovo sul cammino che si srotola ora in basso nella valle, sorvegliata dalle malinconiche rovine del Castillo de Monjardin sul cocuzzolo della collina. Il sentiero serpeggia ora tra campi coltivati e filari di vigneti, dai grappoli di acini ancora acerbi. E’ un cammino che si fa monotono con il sole che è ormai allo Zenith e che ti conduce verso Los Arcos in modo autonomo dalla tua testa, che rimane libera di pensare a tante altre cose successe finora in questo Camino. In questo argomentare solitario giungo quasi senza accorgermene a Los Arcos, celata fino all’ultimo dalla collina, mentre il sole picchia implacabile. Sono le 15, mi dirigo subito al rifugio degli hospitaleros Fiamminghi e sulla scala di accesso, ritrovo Lionel con ai piedi un paio di scarponcini nuovi fiammanti; si chiacchiera un poco sugli avvenimenti che ci sono successi sul cammino e poi entro a registrarmi perché arrivano frotte di pellegrini e non vorrei trovarmi senza posto nel rifugio. All’accoglienza, c’è ancora il Baffo dell’anno precedente che mi riconosce e mi chiede notizie circa il cammino dell’anno scorso; mi trova un posto al “suelo” (sul pavimento), dove stendere questa notte le mie stanche membra poiché i letti sono tutti occupati. Mi è concesso di stare nel rifugio e non nei prefabbricati, perché vengo da più lontano (nei prefabbricati la notte fa parecchio freddo). Mentre mi preparo il mio povero giaciglio, mi si presenta davanti un pellegrino e mi dice in francese, “Es tu Mauro?”; io senza prestargli troppa attenzione rispondo “Oui”, poi mentre lo guardo ed in un lampo realizzo, mentre lui mi dice “Je suis Alain”, che è Alain Veyrac, un pellegrino francese conosciuto l’anno scorso a Larrasoaña, e poi, camminato insieme per una tappa fino a Pamplona. Ci abbracciamo forte, e poi diamo la stura ai ricordi circa il cammino ed agli altri amici di Via, di cui si hanno poche notizie reciproche; mi dice che è diventato papà recentemente e che starà sul cammino fino a Burgos. Ragazzi questo è un cammino che si sta rivelando sotto certi aspetti, entusiasmante! Mi chiede notizie di Alice, come sta e come mai non è con me sul cammino, abbiamo entrambi notizie di Jacques de Raikem, ma non più di Giselle, la ragazza uruguaiana, di cui nessuno ha più notizie, sono felicissimo di questo incontro inaspettato e del tutto sorprendente: sta a vedere che Santiago mi sta facendo ritrovare tutti gli amici pellegrini dell’anno scorso! Ho fatto benissimo a non fermarmi ad Estella, altrimenti non avrei più incontrato né Lionel né tantomeno Alain: sarebbero stati sempre avanti a me di una tappa! Vado a telefonare a casa e quando informo Alice che ho ritrovato Alain, ne è entusiasta e mi prega di salutarlo calorosamente; e cosa ancora più bella per me, mi dice che ha avuto una gran bella valutazione ad un esame in Università. Ora termino di prepararmi il giaciglio; mi faccio la doccia, il necessario bucato e poi mi godo la compagnia di questi due amici ritrovati andando con loro al restaurante e facendo fiesta, però sempre nei limiti concessi ad un pellegrino! Ultreya.

07/07/99 Mercoledì: Trentaduesima tappa: Los Arcos, Logroño 28 Km 6 h

A dormire sul pavimento non ci sono abituato, ed il pavimento del rifugio mi sembra particolarmente duro; al mio fianco stanotte ho trovato due italiani delle parti di Treviso e dall’altro, il Tenerife Juan; un tipo simpatico che va in giro con uno zaino striminzito senza sacco a pelo o una coperta, dorme così come è vestito. Parto alle 6; il cielo è coperto ed è fresco. Cammino insieme ai due amici Baschi che iniziano subito a camminare veloci; il percorso è già in salita poi si dipana tra valloncelli e collinette fino a Sansol. Ne esco prendendo una forte discesa tra arbusti e macchie di vegetazione e lo risalgo altrettanto ripidamente verso Torres del Rio, dove mi dirigo subito al rifugio gestito dalla consorella Carmen. Sfortunatamente oggi non c’è ed allora le lascio i miei saluti e quelli di Teresina. Riparto dopo una foto alla bella Iglesia del Santo Sepulcro di stile romanico, dal corpo ottagonale con una torre di lanterna in alto che presumo, poteva servire a segnalare la presenza del rifugio ai pellegrini colti dal buio sul cammino. Naturalmente è chiusa, sono le 8,30! Dovrò fare in modo di fermarmi qui per poter ammirare i suoi interni che la guida descrive come interessanti ed originali. Esco da Torres del Rio salendo verso la sommità della collina con una salita un poco ripida, e passo accanto alla Ermita del Poyo che non mi suscita grande impressione. Riprendo il sentiero che si insinua tra campi di ulivi o di vigneti; è sempre in salita o in discesa, per cui si rivela duro, dato che non ti dà un attimo di tregua. Poi giungo a Viana, un popoloso pueblo, e qui mi fermo per fare colazione allo stesso bar dell’anno scorso; un bel café y leche con un postre, è quel che ci vuole per poter proseguire con un minimo di carburante: mi pongono anche il sello dell’Ayuntamento! Esco da Viana risalendo fino alla carretera e poi prendo un bel sentiero tra vigneti ed ulivi, scavalcando il Rio Perizuelas, alla altezza della Ermita de la Trinidad de Cuevas. Mentre cammino penso ad Alain ed a Lionel, che non ho trovato questa mattina al rifugio, forse erano ai servizi; spero comunque di trovarli oggi a Logroño; sulla sinistra del cammino scorgo il “Pantano de las Cañas” ora Parco Naturale, costeggio in basso il Cerro de Cantabria, una sorta di collina dall’aspetto massiccio, ed infine entro in Logroño. Passo sul “Puente de Piedra” che scavalca il Rio Ebro e vado diritto al rifugio. Sono le 11,30 e qui aprono alle 14! Non riesco a capire questi grandi hospitales che aprono così tardi; i pellegrini arrivano e si accalcano: c’è ressa per le docce, per il bucato e l’acqua calda non è sufficiente, mentre, se mano a mano che i pellegrini arrivano e si fanno entrare, è tutto più scorrevole e senza problemi, mah! Il rifugio lo conosco bene; è bello ed ampio, ed all’occorrenza c’è anche il Politecnico; sono le 13 e nel frattempo è arrivato anche Alain, così ci sistemiamo nella stessa camerata avendo deciso di andare domani a Najera insieme. Dopo la doccia ed il bucato, vado in giro per la città a visitare i monumenti e la Cattedrale di Santa Maria de la Redonda; al ritorno vado a cena con Alain e Carlos al Restaurant Compostelle dove ritrovo anche Lionel che ha preso alloggio in una posada con poca spesa, perché alle volte i rifugi troppo grandi lo disturbano. Mentre ci preparavamo per andare al Restaurant, nel patio del rifugio era in corso uno spettacolo di danza e canti, offerto dall’Ayuntamento ai pellegrini; le ballerine erano veramente brave, ed erano tutte giovanissime ma già con una notevole padronanza del palcoscenico. Avevo scattato loro alcune foto e poi ci eravamo avviati per la cena. Anche oggi è stata una bella giornata; non ho trovato Carmen a Torres del Rio e mi dispiace, ma in compenso Alain ha deciso di seguirmi nelle prossime tappe. Stando insieme avremo modo di chiacchierare parecchio!

08/07/99 Giovedì: Trentatreesima tappa: Logroño, Najera 26 Km 6 h

Si è dormito bene ieri sera, non c’erano russatori ma faceva parecchio caldo; ora sono le 5,30 e c’è già movimento. Vado in cucina dove parecchi pellegrini stanno facendo colazione; mi prendo un cappuccino al distributore ed un bocadillo che tenevo nello zaino con un poco di latte al gusto vaniglia, roba ipercalorica! Alain è pronto ed alle 6 ci incamminiamo per Najera; uscendo dal rifugio passiamo dalla “Fuente de los Peregriños” al fianco alla Iglesia de “Santiago el Real” al termine della Rua Vieja; è ancora buio ma il tempo sembra buono. Passiamo sotto la Puerta del Camino e poi lasciamo Logroño attraversando la zona industriale. Qui stanno trasformando i sentieri del cammino in larghe ed asfaltate piste ciclopedonali, belle, ma che tolgono il sapore del cammino antico! Arriviamo al “Pantano de la Grajera”, un grande lago palustre con numerose specie di palmipedi che sguazzano al sorgere del sole; anche questo è un Parco Naturale, e sulla riva destra, sotto una grande pineta, è stata attrezzata una grande area di pic-nic. Ci sono molti pellegrini sul cammino; le scuole hanno chiuso i battenti e già si vedono le avanguardie di quelli che sono i “pellegrini-vacanzieri-che-occupano-i-rifugi-che-costano-poco”. Costoro suscitano lo sdegno degli stessi Hospitaleros spagnoli poiché del pellegrino, hanno solo la credenziale. Forse sarà bene che la credenziale sia concessa con molta più discrezione, e non a chi vuole farsi la vacanza sul cammino. Questa è una amara riflessione che mi rattrista non poco, perché intuisco che mi ergo a giudice di questi pseudo-pellegrini che non stimo per i loro comportamenti, ma che forse potrebbero essere toccati da questo pellegrinaggio, e domani chissà…. Dopo aver scavalcato l’autostrada e prima di entrare in Navarrete, passiamo accanto alle rovine ben conservate dell’antico Hospital de San Juan de Acre, poi uscendo da Navarrete in direzione di Najera, passiamo accanto ad un cimitero il cui portale di accesso, un romanico del XII secolo, è quello dello stesso Hospital de San Juan de Acre che abbiamo visto all’entrata della cittadina. Il percorso si fa un poco anonimo tra campi e vigneti, e senza grandi panorami che rapiscano l’attenzione, il pellegrino è portato a scivolare inconsapevolmente nell’introspezione, estraniandosi dall’ambiente che lo circonda. Camminando in questo paesaggio “normale”, giungiamo a Najera proprio mentre il rifugio apre; prendiamo posto nel dormitorio, e poi vado di corsa all’Ufficio Postale per spedire a casa alcune cosucce che mi appesantiscono lo zaino e che non mi servono nel prosieguo del cammino. Mi trattengo poi nel mercato rionale molto animato che ha le bancarelle in riva al fiume Najerilla, che attraversa la città, e poi anche alla piscina che attira parecchi pellegrini, data la giornata particolarmente calda. Ho delle compere da fare: le stringhe che mi si sono rotte, i rullini fotografici, le tessere telefoniche e poi cercare una erboristeria dove acquistare il Balsamo di Tigre; più tardi, con Alain vado a visitare il Monastero, l’Iglesia de Santa Maria la Real, a cui il rifugio è annesso, ed il Museo. E’ tutto veramente straordinario: il Chiostro, il Panteon, ma in special modo la Grotta, dove, così vuole la tradizione, il figlio di Sancho il Grande, Don Garcia, nel 1050 durante una battuta di caccia inseguendo una preda nella grotta, trovò la statua della Virgen posta su una “terrazza” di gigli. Ci vorrebbe una macchina fotografica più potente e versatile per poter riportare delle testimonianze adeguate a ciò che sto ammirando, ed alle delicate particolarità di questo Monastero, dove squadre di restauratori sono all’opera per arginare il degrado impietoso che il tempo gli procura. Najera è una delle città “Minori” del cammino dove vi sono custoditi tesori d’arte di grande valore artistico e storico, forse più di altre titolate e note; meriterebbe ben più di un giorno per poter farsene una idea! Mentre ci avviamo al restaurante, a due passi dal rifugio; incontriamo due ragazze che avevo conosciuto a Puente la Reina. Avevano già allora dei seri problemi al ginocchio ed al tendine, ora mi dicono che vengono da Viana; vuol dire che oggi hanno marciato per 31 Km, ed adesso sono le 20,30! Un bell’esempio di pellegrini che soffrono ma che non mollano pur di arrivare a Santiago!

09/07/99 Venerdì: Trentaquattresima tappa: Najera, Redecilla del Camino 31 Km 7 h

Ieri sera abbiamo trovato al rifugio anche il Tenerife Juan che avevamo perso di vista durante la tappa di ieri, poi anche i due pellegrini che fanno il cammino con un “burrito” con le loro masserizie sul suo basto, ed anche un pellegrino che forse ci vede pochissimo avendo un paio di occhiali spessi un centimetro! Forse si era sperso ed essendo un poco distrutto, è stato accompagnato qui da una pattuglia della Guardia Civil con la Jeep; avrebbe bisogno almeno di un paio di giorni di riposo. C’è anche un non vedente che fa il cammino, ma non ho ancora avuto modo di conoscere i suoi tutori: per loro deve essere un cammino veramente duro! Questa mattina la sveglia è stata per tutti alle 4,50! Questi spagnoli si agitano troppo presto e non ci è possibile poltrire di più. Va beh, ci si alza e dopo una veloce colazione (pane e chorizo!), si parte. Inutile dire che è buio pesto; non c’è la luna piena, ma il cielo si mostra bellissimo ed appena saliti sulla collina che domina Najera, il cielo, non più velato dalle luci cittadine, si mostra zeppo di stelle: ve ne sono a milioni! La Via Lattea è lì, sembra di poterla toccare, è come un fiume di tremolanti puntini luminosi; non vi sono sorgenti luminose che possano disturbare questo spettacolo maestoso e cammino estasiato da questo giardino di stelle, con il naso per aria, correndo il rischio di un capitombolo. Ecco che cosa seguivano i pellegrini di un tempo! Forse tutto ciò era ancora più splendente e vivido, senza lo smog e le sorgenti luminose di oggigiorno. Usciti dal sentiero bordato da pini, ci avviciniamo ad Azofra; anche qui c’è un rifugio molto frequentato. Alla sua uscita sto bene attento a non prendere il sentiero che mi porterebbe a Cirueña, allungando di 5 Km la tappa di oggi, per cui giunto al crocevia, vado diritto sulla carretera N120 per circa 8 Km. Entriamo a Santo Domingo de la Calzada quando sono le 9,30 e ci dirigiamo alla Cattedrale, che è aperta, per poterla visitare come d’obbligo per dei pellegrini; abbiamo la fortuna di ascoltare il canto del gallo nel suo pollaio su in alto nella navata di sinistra. Infatti qui si narra la leggenda circa il miracolo del gallo e della gallina, comune ad altri Santuari di pellegrinaggio Europei; stando nella Cattedrale, se il gallo canta, è, sempre secondo la tradizione, di buon auspicio per il prosieguo del cammino. Per il sello, andiamo all’Ayuntamento e poi in un bar per la necessaria colazione. Usciamo dalla città percorrendo il bel Ponte a 24 archi costruito dallo stesso San Domingo sul Rio Oya nel 1044; è il medesimo di allora, hanno aggiunto solo recentemente dei parapetti in cemento. Lasciamo alla destra la carretera e ci dirigiamo verso Grañon, un piccolo pueblo dal passato rimarchevole come Via di pellegrinaggio contraddistinto dalla Iglesia di San Juan Bautista del XIV secolo, edificata sulle fondamenta dello stesso Monastero risalente al X secolo. Ancora un’ora di cammino e siamo a Redecilla del Camino; fino a qui giungeva la Calzada che San Domingo riuscì a costruire prima che lo cogliesse la morte. Al rifugio ci sono le stesse hospitalere dell’anno scorso che si ricordano di Alice e di me; ci danno subito il posto in una cameretta e riusciamo a farci la doccia ed il bucato prima che, per lavori alla rete idrica, venga tolta l’acqua al rifugio. Qui a Redecilla siamo nel territorio della Comunità Autonoma de Castilla y Leon, e più precisamente nella Provincia di Burgos; siamo già sulla “Meseta”, l’assolato ed arido Altopiano spagnolo, dove il pellegrinaggio prende i suoi connotati più veri; ci sarà caldo, pochi alberi, lande sconfinate e desolate prese di mira da questo sole dardeggiante che cuoce anche le pietre; per il pellegrino che la percorre, diventa una sorta di eremitaggio pedestre, latente e palpabile nello stesso momento, dove l’occhio non è più trattenuto nel suo guardare cose vicine e presenti, ma è sempre fisso sul lontano orizzonte, reso tremolante dalla intensa calura che la terra, secca e riarsa, emana e riflette. Castilla y Leon: la terra dove il pellegrino viene messo a dura prova, e dove tutte le motivazioni sul perché e sul percome si è lì, vengono a galla dalle profondità della mente. Che Santiago ci sostenga e ci illumini il Cammino!

10/07/99 Sabato: Trentacinquesima tappa: Redecilla del Camino, San Juan de Ortega. 36 Km 7h, 30′

Ieri sera, poco prima di cenare abbiamo avuto la possibilità di entrare nella Iglesia dedicata alla Virgen de la Calle ed al suo interno abbiamo ammirato con soddisfazione, uno dei gioielli scultorei del Camino Jacopeo: il Fonte Battesimale, un romanico del XII secolo, di squisita e delicata fattura, tuttora ben conservato e custodito. Oggi la sveglia è alle 4,50, la tappa è lunga e bisogna approfittare per quanto possibile, della frescura del mattino e della velocità di marcia data dal camminare, senza troppi pericoli di inciampi al buio, sulla carretera fino a Belorado. La marcia sul sentiero al mattino, quando il sole non è ancora sorto, è pericolosa, lenta ed anche poco saggia; è facile non vedere il segnale oppure procurarsi una storta su di una pietra infida e se la tappa è lunga si corre il rischio di dover camminare sotto il sole cocente nelle ore più calde, oppure rassegnarsi ad arrivare nei rifugi e non trovare più posto o un letto. Comunque, alle volte, il vero percorso storico si trova sotto il manto d’asfalto della carretera, così ci si leva il rimorso di essere fuori dal vero “Camino Frances”. Ed allora via, andiamo a Casteldigado e sempre sulla carretera passiamo larghi da Viloria de Rioja, luogo che diede i natali a Santo Domingo; la carretera ci conduce fino a Belorado dove vediamo la Ermita di Santa Maria de Belen all’entrata della città, dominata dalle falesie calcaree segnate dalle molte grotte di eremitaggio che diedero rifugio a numerosi anacoreti. Non entriamo in città, dato che la Iglesia de Santa Maria ed il rifugio sono chiusi, ma attraversiamo il puente sul Rio Tiron ed andiamo su un sentiero di terra battuta che a volte svanisce nella vegetazione. Siamo su di un pianoro di falesie calcaree, e sotto una di queste scorgiamo la Capilla de la Virgen de la Peña. Proseguiamo per Villambistia, poi ad Espinosa del Camino, e su di una strada bianca giungiamo finalmente a Villafranca Montes de Oca; abbiamo camminato molto velocemente ed ora siamo qui di fianco al Restaurante “El Pajaro”. C’è il bar che ci accoglie per il meritato “desayuno” e vi sono decine di ragazzi pellegrini seduti sulle sedie poste all’esterno. Qui nel pueblo vi è anche un campeggio con più di 100 posti letto! Ci fermiamo circa 20 minuti; il sole scalda già in modo notevole poi riprendiamo il cammino passando accanto alla Iglesia de Santiago, salendo ripidamente sull’altopiano. Ai bordi del sentiero dopo circa un Km, ci fermiamo per rinfrescarci alla “Fuente de Mayapan”; procediamo poi sul sentiero in mezzo ad una vegetazione densa ed a boschetti bassi. Fa caldo e si suda parecchio; saliamo fino al Monumentos a los Caidos posto su un pianoro panoramico, poi ci precipitiamo in un “Barranco”, e ne risaliamo sbuffando come delle vaporiere: Siamo sullo sterminato altopiano, tra foreste impenetrabili di conifere, tagliate da rettilinee strade tagliafuoco; è un paesaggio che potremmo anche considerare monotono, se non fosse di aspetto così selvaggio e duro; sembra quasi che ci conceda di essere attraversato solo come guidati da questi larghi sentieri che non danno ombra e che ci fanno sentire come corpi estranei da espellere con fastidio. Vediamo che ci sono notevoli cataste di legna tagliata, e ben ordinata, nelle radure ai fianchi del sentiero; segno che opere di pulizia del sottobosco sono in atto. L’uscita da questo altopiano boschivo, è come aprire la finestra su di un mondo di cui si era perso il ricordo; finisce il bosco, e si è espulsi nei pendii caldi ed assolati di erba che ci conducono fino al pueblo di San Juan de Ortega, luogo per me, fra i più mitici ed emblematici del Cammino. Costruire qui, in questo Montes de Oca, una Comunità di monaci dedita all’aiuto dei pellegrini, fù per San Juan, imperativo, data la estrema pericolosità dovuta al luogo selvaggio, agli animali feroci, ed ai briganti che frequentavano queste foreste. Anche se questo Monastero ha perso in gran parte il suo passato splendore, la sua Iglesia con la tomba del Santo, il suo chiostro e la sua imponente costruzione, tutto sta a testimoniare la volontà di portare aiuto ai pellegrini. Ciò desta un profondo sentimento di gratitudine; qui mi sento come fossi a casa mia: è una sensazione che provo a volte su questo Camino con lucidità sorprendente; è come se avessi sempre vissuto qui, tra queste mura possenti e protettive, testimoni mute e silenziose di chissà quanti avvenimenti gioiosi o tragici che ancora oggi segnano il Camino! Il rifugio apre alle 13, abbiamo poco da aspettare; gia vi sono parecchi pellegrini, ma qui c’è posto per tutti. Appena ci sistemiamo con le brande le docce ed il bucato, andiamo al bar per poter mangiare, ma ci informano che prima delle 17 non c’è niente in cucina; anche per un bocadillo c’è da aspettare un’ora. In questo piccolo bar adiacente al rifugio si fanno in quattro, ma vi sono parecchi turisti ed evidentemente hanno già tutti pranzato azzerando le scorte alimentari della cucina. Va bene, aspettiamo i bocadillos e le due cervezas seduti al tavolo, ed è qui che facciamo conoscenza con Pol, un pellegrino Belga. Viene da Vezelay, ed alle mie domande circa il percorso francese, mi dice che non è assolutamente bello, è poco segnalato, ed a volte ha dovuto dormire nei fienili, oppure non veniva accolto nelle Ferme. Mah, non so più che cosa pensare di questa “Via Lemovicensis”! Stiamo lì a parlare per un paio d’ore poi vado alla S.Messa officiata dal Cura, un’altra figura di prete che è molto nota sul Camino; è come il Curè di Navarrenx, nel Bearn. Dopo la S.Messa, offre ai pellegrini la sua “sopa de aio” (zuppa d’aglio), dal sapore molto delicato. Mi accorgo con costernazione che il mio orologio ha le pile scariche; non funziona più. E’ un problema non da poco; mi faceva anche da sveglia, da altimetro e da luce per la notte. Spero di trovare le pile a Burgos, se no dovrò acquistarne uno!, Alla sera ci troviamo con Alain e Pol al bar per la cena, e finalmente abbiamo qualcosa di caldo da mangiare. Sono le 20,30, abbiamo preso la colazione stamattina ed un bocadillo 3 ore fa. Stiamo facendo un poco di penitenza, però ora ci concediamo una bella cena in compagnia di altri quattro pellegrini che si sono uniti a noi. Bene, a domani

11/07/99 Domenica: Trentaseiesima tappa: San Juan de Ortega, Burgos 23 Km 5 h, 30′

Tutto il rifugio è in piedi alle 5; si scende dal Cura per il cafè y leche da lui stesso offerto nella sua cucina, e poi si parte. Faccio da guida ad una dozzina di pellegrini che sono indecisi sul sentiero da prendere dei tre che la guida indica sulla mappa. Sono le 5,30, li comprendo benissimo, non ci si vede nulla a causa del buio della notte che ancora ci avvolge, ed avventurarsi nella foresta senza sapere bene dove si va, è quantomeno, poco saggio. Mi ero svegliato nel cuor della notte, e mi ero recato nel chiostro del rifugio per poter guardare il cielo; non c’era alcun rumore, tutto era silente, il cielo era di un blu cobalto e vi erano miriadi di stelle luminosissime; la Via Lattea risaltava ancor più brillante in quell’oceano di punti luminescenti. Non vi è al mondo nulla di più bello e ricco di misteri della volta stellata in una notte senza luna. Comprendo i Celti, e gli Incas, che attribuivano alla Via Lattea il valore di strada che portava all’immortalità! In un guizzare di fasci di luci più o meno fioche, ci facciamo strada sul piccolo sentiero che attraversa la foresta tra querce nane e pini, che più che vedere, ne abbiamo il sentore con le narici. Dopo circa quattro Km sbuchiamo in una radura che ci fa scorgere il piccolo pueblo di Ages; dopo averlo attraversato, arriviamo con una dolce discesa ad Atapuerca. E’ un piccolo pueblito Atapuerca, ma è un rinomato sito preistorico, difatti nella sua Sierra bucata da numerose grotte sono stati scoperti nel 1992, dei giacimenti preistorici di resti umani, per cui l’Homo de Atapuerca è ritenuto L’Homo Sapiens più antico d’Europa. Sfortunatamente e più prosaicamente, l’unico bar del pueblo è chiuso; vi è nell’aria un fragrante profumo di pane appena sfornato che ci avvolge al passaggio nella Calle, ma che non ci è possibile gustare. Ci fermiamo alla fontana per un veloce spuntino e poi ci inerpichiamo su per il sentiero che ci porta sulla Sierra de Atapuerca, mentre il sole è già sorto e disegna lunghe ombre ai nostri piedi. Sulla sommità della Sierra, presso una Croce di Via, scorgiamo molto lontana Burgos; è a circa 16 Km, ma sembra che sia a portata di mano, rincuorando così slealmente, lo stanco pellegrino.Scendiamo nella vasta piana dove a destra scorgiamo Cardeñuela e su un bel sentiero di morbida terra ci avviciniamo ad Orbaneja rio Pico; lo costeggiamo sulla destra senza entrarci e dopo, su di una stradina asfaltata arriviamo a Villafria. Sono con Alain e Juan il Tenerife, che con fervore ci illustra le bellezze della sua isola, ma anche i suoi mali, perché durante la stagione turistica viene invasa e stravolta da migliaia di turisti-cavallette provenienti da ogni parte del globo terracqueo. Pol è parecchio più avanti; ha preso una veloce andatura e ci ha piano piano sopravanzato: contiamo di rivederlo a Burgos. Siamo al quartiere di Gamonal, all’entrata di Burgos; e da qui al rifugio ci sono ancora 7 Km di strada! Arriviamo a El Parral alle 11; alle 11,30 aprono il rifugio e ci sistemiamo nel confortevole “cottage”. Fuori nel parco, vi sono gli attendamenti che i militari hanno approntato per fronteggiare il previsto notevole afflusso di pellegrini. Dopo la doccia ed il bucato, ci rechiamo al restaurante Gloria, di fianco alla sede dell’Università; il proprietario mi riconosce e si chiacchiera della situazione attuale sul cammino che gli sembra molto affollato: non posso fare altro che dargli ragione! Più tardi vado nel centro-città per la visita alla Cattedrale ed agli altri monumenti che la rendono una città-scrigno, ricca come è di tesori d’arte; alla Cattedrale hanno tolto quasi tutti i veli che la occultavano, ed ora mostra in tutta la sua sfarzosità la facciata, ripulita dallo smog e dalla polvere. Vi sono centinaia di turisti che vanno e vengono con i nasi per aria o con gli occhi fissi sulle pagine delle guide; io mi metto alla ricerca di un negozio di orologeria ma oggi è domenica e sono chiusi! Sono costretto ad acquistare un orologio-giocattolo per poter conoscere l’ora ed avere la nozione dello scorrere del tempo Il cielo si sta rannuvolando, c’è una brezza che tende a rinforzare. Cerco di visitare più monumenti possibili poiché è già quasi ora di rientrare a El Parral che dista da qui circa due Km. Alain si è recato alla stazione ferroviaria per acquistare il biglietto del treno che domani lo riporterà a casa mentre Juan, è rimasto senza contante e domani dovrà aspettare che le Banche aprano gli sportelli per ritirare un poco de “plata”; per cui domani mi incamminerò di nuovo solo sul cammino: la tappa sarà di 38 Km fino a Castrojeriz. Comprendo oggi compiutamente, la fatica che Alice ha fatto l’anno scorso, pobrecita! Al rifugio ci informano che il meteo dei prossimi tre giorni è disastroso; si prevedono forti temporali pomeridiani, e conoscendo il percorso, prevedo tempi duri, poiché sulla meseta non vi sono ripari; solo erba e piccoli arbusti con i sentieri che diventeranno fangosi nelle prossime tappe da qui fino a Mansilla de las Mulas! Speriamo che il Bernacca locale sia in errore!

12/07/99 Lunedì: Trentasettesima tappa: Burgos, (Castrojeriz) San Nicolas de Puente Fitero. (38) + 12 Km, 2 h,30′

Nella notte si scatena il temporale ed è il finimondo; lampi, tuoni e vento con acqua a catinelle che flagella El Parrai: non invidio i pellegrini alloggiati nelle tende là fuori. Il vento la fa da padrone fra i rami costringendoci a chiudere le finestre che sbatacchiano. Riusciamo a dormire solo a tratti fra un rombo di tuono e l’altro e nel dormiveglia penso alla tappa di oggi: fino a Castrojeriz sono 38 Km! Finalmente il temporale si placa ma non così la pioggia che cade insistentemente. Alle 5, tutto il rifugio è in piedi; c’è un via-vai dentro e fuori il rifugio per cercare di indovinare le intenzioni di Giove Pluvio e per consultarsi con gli altri: chi indossa il poncho, chi si mette le ghette, chi inganna il tempo cominciando a mangiare. Alle 6,30 un gruppetto rompe gli indugi e parte; la pioggia sembra calare di intensità, ma c’è il vento che ancora scuote i rami. Io tergiverso; non me la sento di mettere in pericolo tutto il mio pellegrinaggio fatto sino a qui per un temporale che ancora ringhia sopra la testa e che non dà segno alcuno di calmarsi. Conosco bene la tappa ed il sentiero per sottovalutare i rischi connessi al camminare sotto la pioggia per delle ore, su di un sentiero fangoso, soltanto per l’orgoglio di voler fare la tappa a piedi comunque sia il tempo. A volte l’umiltà deve andare d’accordo con la saggezza e la lungimiranza; per cui decido, che stando così il tempo, prenderò l’autobus che mi porterà a Castrojeriz, poi da lì proseguire per l’Ermita de San Nicolas de Puente Fitero e là pernottare dai miei confratelli. Sono 12 Km da Castrojeriz a San Nicolas; in 2 h,30′ dovrei arrivarci bene, mi sembra una buona soluzione e cosi mi accingo a recarmi alla stazione degli autobus per vedere l’orario di partenza. Saluto Alain e Juan che poltriscono a letto e mi incammino verso il centro della città; con me c’è uno spagnolo, Manuel, che ha deciso di seguirmi: c’è un autobus che parte alle 14,30 ed ora sono le 8. Ci sono parecchi altri pellegrini che hanno avuto la mia stessa idea per cui può darsi che l’autobus sia stracolmo di gente questo pomeriggio. Decidiamo di fare il tour di tutte le Chiese aperte e di vedere altresì i monumenti che la guida riporta; abbiamo così la possibilità di girarle quasi tutte e di mettere i vari sellos. Poi noto un negozio di orologeria aperto ed entro per cambiare la pila; appena siamo all’interno, si scatena ancora il temporale con una pioggia torrenziale che ci costringe nel negozio per un’ora. Accompagno poi Manuel in un ambulatorio medico per dei medicinali, ed infine ci portiamo alla stazione degli autobus. Si parte in orario e siamo quasi tutti pellegrini a bordo. L’autobus corre sulla carretera N120, molto a destra del cammino, solo quando siamo vicini ad Hontanas vediamo dei pellegrini. Arriviamo a Castrojeriz alle 15,30; ci rechiamo subito al rifugio e qui trovo dei pellegrini che erano partiti da Burgos questa mattina; sono arrivati da poco e mi dicono che hanno preso il temporale per un’ora e mezza: si considerano molto fortunati, mentre parecchi altri si sono fermati ad Hontanas 9 Km indietro. Mettiamo il sello e poi partiamo a razzo verso San Nicolas; il sentiero è segnato dalle pozzanghere ma si può camminare bene, ed arriviamo speditamente al ponte medievale che scavalca il Rio Odrilla; poi iniziamo la ripida ascesa dell’Alto de Mostaleros, alla sua sommità abbiamo una magnifica vista della valle dell’Odrilla appena alle nostre spalle e davanti la sottostante Piana del Pisuerga che ci attende. Salutiamo un pastore che quassù pascola le sue greggi e iniziamo la ripida discesa, chiamata la “Collada del Camino Frances”; ci sono tracce di scivolate, probabilmente qualche pellegrino durante il temporale di stamani ha fatto dei ruzzoloni su questo sentiero argilloso. Attraversiamo l’immensa piana coltivata fino a giungere alla “Fuente del Piojo”; ci fermiamo per rinfrescarci un poco, poi via di nuovo per raggiungere l’Ermita di San Nicolas de Puente Fitero. Quando ci arriviamo, è Ignacio Nieto che mi accoglie; un confratello spagnolo che ho conosciuto a Perugia quest’anno. Ecco, improvvisa e vivida la sensazione netta di essere giunto a casa. Ignacio poi mi consegna una busta contenente i sottopiedi nuovi che avevo chiesto a Teresina di farmi avere qui un mese fa, quando ero in Francia; all’interno trovo, oltre agli auguri di Teresina, una lettera di Alice e di Giovanna; sono momenti di forte commozione e sento un nodo che mi stringe la gola. Per mia fortuna arrivano Liliana e Rino, i due hospitaleros italiani di Milano che mi tolgono dall’imbarazzante momento e ci fanno accomodare; è la prima volta che resterò qui a dormire. L’Ermita è veramente bella, è il vero “Hospital” dei pellegrini; all’esterno, l’Ayuntamento ha fatto costruire una “dependance” con le docce ed i servizi; tutto veramente funzionale! Manca solo l’energia elettrica, ma vi si sopperisce al momento con un generatore a benzina, poi si vedrà. Nel rifugio vi sono già 4 pellegrini: una spagnola di Madrid, di nome Conchi (la rincontrerò più volte poi sul cammino), due inglesi, e poi una ragazza svizzera che viene dal cammino di Le-Puy a piedi ed a volte con l’autobus. Mi riconosce come l’italiano che era sul cammino di Le-Puy! Ha letto parecchi dei miei messaggi lasciati nei rifugi o nelle Chiese e mi chiede come procede il mio cammino; per lei ci sono stati dei momenti molto duri, ma ora va molto meglio. Poi, ecco che si spalanca il portale ed entrano Stephane e Jerome! Fantastico! Ci abbracciamo con delle grandi pacche sulle spalle; ci hanno visto da lontano, nella Piana del Pisuerga e ci dicono che andavamo come razzi! Dopo la doccia, laviamo il bucato fuori alla pompa dell’acqua a mano che è all’esterno dell’Ermita. Qui rivedo il pastore con i tre cani lupo ed il burrito che l’anno scorso aveva chiacchierato con me ed Alice sul sentiero che conduce a Frómista! Ignacio ci mostra poi la pietra nel muro posteriore dell’Ermita dove è scolpita la croce dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. Al momento di cenare, Liliana, Rino, ed Ignacio con una suggestiva cerimonia, ci fanno la lavanda dei piedi: un atto proprio della nostra Confraternita verso i pellegrini che qui trovano rifugio. A cena siamo tutti allegri; Liliana ci ha cucinato le mezzepenne con olio e parmigiano, veramente gustose, e c’è anche il vino rosso. Ci divertiamo come matti con battute e celie. E’ un’altra giornata felice che questo Cammino mi sta dispensando a piene mani.

13/07/99 Martedì: Trentottesima tappa: San Nicolas de Puente Fitero, Carrion de los Condes 33 Km 7 h, 30′

Ci si alza tardi questa mattina; Liliana, Rino ed Ignacio stanno preparando la colazione per tutti con marmellata e caffelatte. E’ arrivato il momento dei saluti e complice un poco di commozione, mi “sudano” gli occhi quando abbraccio Ignacio; non è un momento di debolezza, ma è come se lasciassi dei fratelli. Saluto Liliana e Rino e partiamo subito senza neanche la preghiera del pellegrino: temo che gli occhi mi si possano allagare di più, e non avrei fazzoletti a sufficienza. Spero di poter ritornare qui un giorno come hospitalero, per poter ricambiare questa generosità che mi viene data. Ieri sera, sono uscito all’esterno per ammirare una volta di più la volta stellata; in questa vasta piana non vi erano ostacoli agli occhi e vedevo il firmamento celeste con una visione sull’orizzonte di 360°. Non c’era una nuvola che disturbasse questo spettacolo (il Bernacca spagnolo forse non ci ha azzeccato con le previsioni). Superbo! Rino mi ha detto che martedì sera verrà qui il Prof. Caucci: lo prego di salutarlo, forse lo rivedrò a Santiago. Sono le 7 quando ci incamminiamo; il sole è già sorto ed il cielo è un poco velato. Passiamo sul maestoso Puente Romano a dodici arcate che scavalca agilmente il rio Pisuerga; lasciamo ora la provincia di Burgos ed un bel cippo ci dice che entriamo in quella di Palencia. Su un bel sentiero ci incamminiamo verso l’Alto del Paso Largo che ci introduce a Boadilla del Camino; siamo in una vasta piana coltivata a cereali ed incrociamo, su un piccolo ponte, un gregge di pecore dal muso nero; la stessa razza che avevo visto in Francia sui Pirenei. Poi costeggiamo il Canal de Castilla che scorre lento e pacifico alla nostra destra, e poco prima di entrare in Frómista, lo attraversiamo su di una bella chiusa molto spettacolare. A Frómista, Manuel incontra un suo vecchio amico e ci fermiamo a chiacchierare un poco, poi ci rechiamo al rifugio ma è chiuso, e chiusa è pure la bella Iglesia di San Martin; al suo interno è custodito un bel Cristo gotico-romano del XIII secolo ed ha dei bellissimi capitelli che ornano le sue navate. Ci rechiamo allora all’Ayuntamento per il sello e poi al bar per un meritato café y leche. Proseguiamo poi sulla C980 per 3 Km circa fino a Población de Campos; passiamo nel mezzo del pueblo, nella “Calle Francesa”, e poi prendiamo una buona strada bianca che ci porta a Villovieco. Uscendone attraversiamo il rio Ucieza e ci fermiamo all’ombra di salici e pioppi per una sosta fuori programma; Manuel ha un problema ad un piede ed è meglio non forzare. Fa già caldo in questa piana che è assolata, tanto che sembra un tavolo da biliardo! Sempre costeggiando il rio Ucieza, riprendiamo il cammino fino all’Ermita de la Virgen del Rio e poi camminiamo sulla “Granjera”, una strada bianca costruita a fianco della carretera per i pellegrini: i suoi sassolini li ricorderò per un bel pezzo, così come li ricorderanno le mie suole! A Villalcázar de Sirga vado subito al rifugio; ho con me la lettera e la foto spedite l’anno scorso a Eleanor ed a Paz, le due hospitalere del rifugio che il “cartero espanol” non riuscì a consegnare: sfortunatamente non è il loro periodo di servizio qui al rifugio, però ci assicurano che faranno di tutto per recapitarle a loro. Ci pongono il sello e poi andiamo a visitare l’imponente Iglesia de Santa Maria la Blanca del XIII secolo dal Portale finemente istoriato; all’interno vi è la statua della “Virgen Blanca” e le tombe gotiche dell’Infante Don Felipe e della sua sposa Doña Leonor Ruiz. In fronte all’Iglesia c’è la casa che si chiama ancora oggi “Casa de los Peregriños”. Riprendiamo il cammino sulla carretera fino a Carrion de los Condes, a circa 6 Km e vi entriamo alle 14,30. Il rifugio lo conosco benissimo; è uno dei più belli del cammino ed alla hospitalera diciamo una innocente bugia (che siamo dei grandi roncadores!), cosi ci si piazza nel corridoio, fuori dal dormitorio sistemati come dei pascià. Ritroviamo i due compañeros Baschi, ed anche Oskar, un simpatico spilungone Sivigliano; più tardi arriva anche Juan il Tenerife. Vado, dopo la doccia ed il bucato, a fare il tour della Ciudad. Alla Iglesia de Santa Maria del Camino del XII secolo, che ha a fianco il rifugio, poi la Iglesia de Santiago dal bellissimo Portale (al suo interno è allestito un Museo con statue e paramenti che vengono usati nelle processioni), poi la Iglesia de Nuestra Señora de Belen, che domina dall’alto il Rio Carrion, e il Monastero de Santa Clara, dove secondo la tradizione, venne accolto San Francesco d’Assisi durante il suo pellegrinaggio a Compostelle. Ha anche un bel rifugio, ma è un poco caro anche se si sta molto bene, ed è gestito dalle suore. Per ultimo vado al fiume per uno spuntino sulle sue rive sotto i tigli; vi è parecchia gente con molti ragazzini che sguazzano nelle fresche acque del Rio Carrion. Alla sera mi reco a cenare al Bar Sol; si mangia bene, ma il barista tende a non spostarsi dal bancone poiché aspetto 20 minuti per il caffè e la “huacada”, ma non si è mosso. Era tutto preso dalla TV, dove trasmettevano delle corride a Pamplona. Beh il caffè andrò a berlo da qualche altra parte; è talmente assente che non saluta neanche quando pago il conto! Ora vado a nanna; sono un poco stanco e domani si va a Sahagun; una tappa di 38 Km sempre sulla meseta della Castilla y Leon: ci sarà modo di prendere parecchio caldo!

14/07/99 Mercoledì: Trentanovesima tappa: Carrion de los Condes, Sahagun 38 Km 8 h 30′

Oggi è il compleanno di Alice: è il primo pensiero quando mi sveglio. Sono contento per lei; oggi gli consegneranno un mazzo di rose che avevo scelto ed ordinato prima di partire per questo pellegrinaggio, spero che gli piacciano e che lo gradisca: è così tanto tempo che non la vedo! Ora sono le 5; scendo in cucina con Manolo per una veloce colazione mentre Juan dorme così come Oskar che ha due vesciche sui talloni che gli procurano noia. Alle 5,15 partiamo; è buio pesto, ma conosco bene Carrion e procediamo speditamente. Attraversiamo il ponte sul Rio Carrion, passiamo accanto al Monastero di San Zoilo, ora Hotel a 4 stelle, e per dei rettilinei di asfalto usciamo da Carrion. Siamo su una carretera che è chiamata “Carretera del Indiano” lunga circa 4 Km; siamo un poco sconcertati dalla mancanza di segnali o frecce gialle, non vorrei aver sbagliato a qualche incrocio e non aver visto le segnalazioni: è talmente buio! Finalmente giungiamo alle rovine della “Abadia de Benevivere”; siamo nella giusta direzione e poco oltre una virata della carretera, riappaiono le frecce gialle. Siamo ora su un antico cammino romano; difatti è completamente rettilineo e per 12 Km, superando degli “Arroyo”, ci porta a Calzadilla de las Cuezas, Il sole è splendente alle nostre spalle e disegna lunghe ombre; Manolo ha dei piccoli problemi ai piedi e si ferma a Calzadilla quando entriamo nel bar per il “desayuno” e per riposare un poco. Riprendo il cammino da solo; ci ritroveremo al rifugio di Sahagun. Prendo una buona andatura, passo Ledigos, poi giungo a Terradillos de los Templarios dove c’è un bel rifugio costruito di recente, proseguo per Moratinos e poi a San Nicolas del Real Camino che è l’ultimo pueblo della provincia di Palencia. Già si scorge Sahagun in lontananza; poco prima di entrarci prendo a destra la deviazione che porta alla Ermita de la Virgen del Puente. E’ situata in mezzo ad un bel pioppeto adibito in parte ad area pic-nic e vi entro passando su di un bel ponte romano. L’Ermita è proprio bella, di stile “mudejar”, proprio di Sahagun. E’ ben restaurata; un tempo aveva al fianco un rifugio per i pellegrini. Ora è chiusa, ma anche così vicino alla città, questo sito effonde un senso di serenità. Entro in Sahagun passando per un cancello chiuso ed attraversando i binari della ferrovia; mi dirigo verso il centro della cittadina, sbucando poi improvvisamente nella piazzetta della ex Iglesia de la Trinidad dove, all’interno, è stato ricavato il rifugio. Una grande statua di Santiago è all’esterno; l’interno è sontuoso con un atrio moderno, poi si sale una bella rampa di scale a sinistra ed in alto, vi sono le docce ed il dormitorio. Nell’atrio in basso a destra, vi è un saloncino con un palco dove delle ballerine stanno provando dei passi di danza. Il rifugio è un poco caro, 500 Ptas, ma li vale. Mi sistemo comodamente con una buona doccia, faccio il bucato, (all’esterno vi è un cortiletto inondato di sole che mi asciugherà tutto in un baleno), e prima di uscire lascio un messaggio per Stephane e Jerome con il mio indirizzo di casa, nel caso che arrivino qui. Poi mi dirigo in città per visitarla, è molto grande ed animata e faccio il giro di tutte le Chiese: la Iglesia di Santiago accanto al rifugio, la Iglesia di San Lorenzo, l’Arco di San Benito, la Iglesia di San Tirso che è in corso di restauro, e poi il Monastero delle Benedettine. Qui ritrovo Juan che ha preso alloggio nel rifugio allestito nel suo interno che posso entrare a visitare; ha un bellissimo chiostro e delle camerette per i pellegrini veramente ben messe. Mi fa altresì notare che vi è solo una offerta come donativo; non vi è obbligo di pagamento, la prossima volta, verro qui a pernottare! Telefono a casa: tutto bene. Alice è stata felicissima di ricevere un bel mazzo di rose; spero che la sua festa stasera sia ancora più bella, ora mi sembra di essere a posto con tutto e con tutti. Vado al restaurante per mangiare; me ne hanno consigliato uno che è proprio a pochi passi dal rifugio ed effettivamente si mangia bene e spendo poco, solo 800 Ptas! Al rientro ritrovo Stephane e Jerome che mi attendono nell’atrio del rifugio; sono felice che siano giunti, sto con loro a chiacchierare fino alle 21,30; poi loro partono per cercarsi un bel posto dove passare la notte. Sono arrivati anche gli amici Baschi, e mi pregano di partire con loro domani per Mansilla de las Mulas; non mi sento di dire loro di no ed accetto. Quindi domani 36 Km: prima tappa che mi porterà nella provincia di Leon. Al pomeriggio nel saloncino del rifugio, ci sono state le prove di una scuola di ballo, tutte le ballerine mi sono sembrate bravissime; penso che nei prossimi giorni daranno uno spettacolo, poiché questo è il primo giorno di prove e non mi sono parse proprio perfettamente a punto. Comunque sono bravissime e si sobbarcano parecchi turni di prove fino a quando la loro insegnante dice soddisfatta “Muy Bien”!

15/07/99 Giovedì: Quarantesima tappa: Sahagún, Mansilla de las Mulas 36 Km 8 h

Questa mattina si parte presto; i miei amici Baschi vogliono che vada con loro, ed allora alle 5,10 si è gia sul cammino: Come loro solito, partono veloci; io cerco di tenere il loro passo, non mi è difficile, ma preferirei un passo un tantino più lento; la tappa sarà lunga! Il tempo si preannuncia bello, il cielo è solcato da bianche nubi striate che risaltano nel cielo ancora buio: Passiamo sul Puente del Canto; camminiamo costeggiando il pioppeto detto “Prado de la Lanzas de Carlomagno”, ed il camping. Dai panni stesi sulle cordicelle all’interno, arguisco che vi sono molti pellegrini qui alloggiati. Arriviamo a Calzada del Coto; qui si dipartono due sentieri: uno prende decisamente la destra, e seguendo l’antico percorso della “Via Traiana” fino a Mansilla de las Mulas, passa per un solo pueblo: Calzadilla de Hermanillos, per una lunghezza di 32 Km: estremamente solitario! Io preferisco il sentiero che mi porterà a Mansilla de las Mulas, passando per Bercianos del Real Camino, El Burgo Raneros e Reliegos: molto più vario e verdeggiante. La Junta de Castilla y Leon, ha predisposto a lato del Real Camino Frances una pista in terra battuta, bordata da giovani platani che per ora non danno ancora ombra e frescura, ma testimoniano il fatto che le Autorità sono attente alle necessità pedestri del pellegrino; sfortunatamente per me, il fondo di questo cammino è ricoperto da piccole pietre aguzze che mi fanno parecchio soffrire, a causa dello stato delle mie suole consumate. Saltiamo da una pista all’altra a causa del fondo delle stesse più o meno pietroso; costeggiamo un esteso campo di girasoli che stanno guardando tutti insieme se il sole si decide a sorgere, là in fondo all’orizzonte, poi scatto una foto ad un “Cruceiro” di cui non trovo traccia nella guida: forse è dedicato al ricordo di un pellegrino? Entriamo in El Burgo Raneros camminando nella Calle Real che lo attraversa nel mezzo delle case; siamo ora a 18 Km da Mansilla e si cammina su una piana monotona inondata dal sole che sta picchiando forte sui pellegrini; alla nostra destra, lontano circa due Km, corrono i binari della ferrovia. A volte passano lunghissimi e lenti convogli che, immersi in questa estrema calura sembrano sospesi per aria come dei miraggi; sono l’unica cosa che si muove oltre ai pellegrini, in questa piana. Attraversiamo parecchi valloncelli; nel loro fondo scorrono “Arroyo” più o meno poveri di acqua, e poco prima di entrare a Reliegos, riappaiono i boschi: ne avevamo perso il ricordo! Ci sono comunque anche dei punti di sosta e di ristoro per i pellegrini ai lati del sentiero. Attraversiamo i binari della ferrovia e giungiamo a Reliegos; la attraversiamo per la Calle Mayor, poi entro in un bar, e scopro che hanno approntato in questo piccolo pueblo un bel rifugio; mi mettono il sello, e poi riprendiamo il cammino verso Mansilla che dista ancora circa 6 Km. Ho dei pizzicorini ai talloni di entrambi i piedi ed ho il sospetto che si stiano formando delle vesciche; procediamo verso Mansilla con una leggera discesa sempre sulla pista pietrosa dove troviamo delle panchine curiosamente sistemate a lato del sentiero, senza alcun albero che gli facciano ombra. Una vecchietta che è seduta su una di queste con un ombrello aperto, ci dice che sta andando anche lei a Mansilla. Entriamo nella cittadina superando un canale dove l’acqua scorre veloce e ci indirizziamo subito al rifugio dove troviamo posto. Vi sono già parecchi pellegrini, è quasi pieno e ci consideriamo fortunati. Dopo la doccia do uno sguardo ai miei talloni ed il sospetto diventa realtà; ci sono due vesciche: l’avevo pensato, troppo veloce! Sono un poco abbacchiato ma è esclusivamente colpa mia; non dovevo lasciarmi coinvolgere in una andatura troppo veloce solamente perché i due amici Baschi non volevano lasciarmi: avevo dei piedi perfetti! Purtroppo anche per loro ci sono dei problemi poiché hanno le dita di entrambi i piedi con delle vescichette che si stanno formando fin sotto le unghie, purtroppo sono anche spellate. Sono sicuro che stanno soffrendo anche più di me. Che Santiago ci protegga!

16/07/99 Venerdì: Quarantunesima tappa: Mansilla de las Mulas, León 17 Km 4 h

Ieri pomeriggio molti pellegrini marcavano visita in infermeria e Laura la hospitalera, aveva un bel da fare; ho assistito alle medicazioni ed ho visto dei piedi molto malconci: vesciche tra le dita, sotto la pianta dei piedi e dei talloni che sembravano spellati come cipolle. Le mie vesciche al loro confronto, hanno perso rilevanza. Anche i miei amici Baschi si sono fatti medicare; avevano delle vescichette maligne fra le dita di entrambi i piedi, proprio sotto le unghie: deve essere stato doloroso marciare così. Questa mattina siamo di partenza per León e quando andiamo in cucina per fare colazione, c’è un bel disordine. Ieri sera hanno festeggiato fino a tardi proprio lì, senza alcun riguardo per gli altri pellegrini che dormivano, o che avrebbero voluto dormire; un altro episodio che depone a sfavore di certi pseudopellegrini che viaggiano in gruppo, chiassosi ed indisponenti, anni-luce lontani dal comportamento che dovrebbe tenere un “pellegrino” del Camino: allegria sì, ma all’interno di una rispettosa umiltà di comportamenti verso i luoghi in cui si viene accolti cordialmente. Questi sono “Hospitales” del corpo sì, ma anche dello spirito che non ha certo bisogno di chiasso. Ancora in questo momento, sono le 6, fanno rumore senza riguardo per alcuno occupando senza educazione, tutto lo spazio al tavolo già apparecchiato, costringendomi a richiamarli ad un comportamento più rispettoso all’ora, al luogo, ed ai pellegrini. Usciamo nella Calle e ci dirigiamo verso il bel Puente medievale che scavalca il Rio Esla; lasciamo presto la carretera e ci incamminiamo su un bel sentiero di terra. Poco prima di entrare a Villarete, attraversiamo il Rio Porma sul suo antico e storico Puente. Camminiamo sul sentiero lentamente e badando a scansare le pietre che ci darebbero dolore, entriamo ad Arcahueja con una leggera salita; il paesaggio è molto diverso dalle tappe precedenti, qui ci sono parecchi torrentelli od arroyo che danno acqua ai campi, tutto è più verde e ci sono più coltivazioni. Entriamo nel pueblo di Valdelafuente, e camminando su asfalto ci portiamo verso l’Alto del Portillo, chiamato ora “Puente Castro”. In basso ancora lontana, abbiamo di fronte León; aguzzando la vista, riesco ad indovinare la sagoma della Cattedrale di Santa Maria della Regla sulla destra della Ciudad. Entriamo in León camminando sulla N120; c’è molto traffico, sono le 10 e mi dirigo al rifugio situato nel Collegio degli orfani dei lavoratori della ferrovia. Sfortunatamente è chiuso per lavori, ed ecco che contrariamente alla mia volontà, si deve andare per forza di cose al Convento delle Benedettine, nella Plaza de Santa Maria del Camino. Sono sicuro che troverò posto sì, ma rigorosamente al “suelo”! I miei amici Baschi non si fermano qui, mi chiedono informazioni per arrivare alla Cattedrale; forse proseguiranno per Villadangos del Páramo. Attraverso un dedalo di vie ed alla fine giungo al Convento; è ancora chiuso; apre alle 12 e decido di attendere qui fuori l’apertura. Sono il primo pellegrino, poi lentamente arrivano tutti gli altri; le vesciche ai talloni non mi permettono di camminare bene e mi riprometto di medicarle con il Betadine una volta sistemato nel rifugio. Quando aprono, ci fanno accomodare nel salone del cinema dove ci sono dei materassi in gommapiuma; nel frattempo è arrivato anche Oskar, la sala sembra grande ma si riempie in un attimo e facciamo fatica a passare fra un materassino e l’altro. Dopo la doccia e prima di uscire, mi medico le vesciche bucandole con ago e filo e medicandole con il Betadine: riesco a svuotarle dal siero, ma la pelle in quel posto è molto dura. Penso che ci vorranno almeno un paio di giorni per guarire e camminare normalmente; è una piccola sofferenza che a volte è richiesta ai pellegrini e che bisogna accettare di buon grado ma rispetto ad altri pellegrini, mi ritengo molto fortunato. León è una bellissima città, e meriterebbe ben più di un giorno di sosta per farsene una idea. Calzo i sandali, ma il dolore c’è sempre per cui cammino piano piano fino alla Cattedrale; ci sono moltissimi turisti che passeggiano nella Calle del General Franco poiché è una zona pedonale piena di negozi. Nella Plaza de la Regla aspetto che aprano le porte della Cattedrale, poi entro in questo stupendo esempio di Gotico Spagnolo; le sue cento e più vetrate sono splendide e di grande valenza artistica: penso che siano le più belle viste in questo Camino. Sono inondate dal sole pomeridiano che le fa risaltare ancora di più. Uscendo ritrovo Oskar che sta passeggiando e dopo una birretta, decidiamo di pranzare in un Ristorante cinese; per trovarlo però ci mettiamo una buona mezzora: è all’entrata di León! In un bell’ambiente ci gustiamo un buon pranzo, molto delicato, dai sapori vellutati e fruttati; il servizio è accuratissimo e cordiale, tra l’altro è poco caro, solo 1300 Ptas. Al ritorno rifacciamo il percorso fino alla Cattedrale e sempre adagio per via dei miei piedi, arriviamo al Convento quando sono le 21,30; si è affollato ancor più ed anche il palco è occupato. Ci apprestiamo a dormire il sonno dei giusti, ma ci sono dei russatori formidabili; è un quadro disarmante e divertente nel medesimo tempo: alle volte quando il russare raggiunge il massimo fragore, scoppiamo in risate che trascinano tutti gli altri pellegrini all’ilarità generale. Come Dio vuole, il sonno giunge a fatica, ma si dorme solamente a tratti; in città stanno facendo fiesta e la musica si espande ancor più in questo vasto cortile del Monastero all’esterno del dormitorio. Fino alle 04 c’è musica con gli spagnoli che si gustano la notte di fiesta: domani è sabato! Que te vaya bien!

17/07/99 Sabato: Quarantaduesima tappa: León, Hospital de Órbigo 32 Km 7 h 30′

Il Convento delle Benedettine apre il portone alle 5,30, e Oskar ed io stiamo aspettando mentre le hospitalere offrono la colazione the o café y leche nell’atrio. Io prendo un bicchiere di latte e qualche biscotto dal mio zaino e poi partiamo. Ieri ho ritrovato Conchi, la ragazza madrilena conosciuta a San Nicolas de Puente Fitero; ci siamo divertiti come pazzi ad ascoltare le strampalate barzellette di Oskar, seduti sulle panchine nel cortile del Monastero. Siamo i primi a varcare la soglia del portone del Monastero e finalmente León è silenziosa; no, ci sono ancora dei gruppetti di irriducibili che tentano di cantare, ma non hanno più voce e si trascinano stancamente da un lato all’altro della Calle. Usciamo da León passando sul Puente de San Marcos; a destra vi è l’antico Monastero di San Marcos, ora Hotel a tre stelle dalla splendida facciata. Ci sono pellegrini per strada; sono ragazzi e ragazze che si accodano a noi per uscire da León. Arriviamo a Trobajo del Cammino al termine di una dolce salita e da quassù abbiamo una bella vista di León mentre il sole sta sorgendo. Ho dei problemi ai talloni e mi fermo (lasciando andare Oskar e gli altri amici), per togliermi un plantare dagli scarponcini (li avevo messi doppi). Voglio arrivare a tutti i costi a Hospital de Órbigo nel delizioso rifugio parrocchiale, e dovrei poter marciare un poco più veloce! Sembra che vada meglio; lentamente riprendo il cammino sul sentiero che ha il fondo discreto ma per me ci sono troppi sassolini più o meno grossi, quindi quando è possibile cerco di camminare sull’asfalto. Sorpasso lo stesso parecchi pellegrini, anche loro con dei problemi, o che forse hanno intenzione di fermarsi a Villadangos del Paramo: noto un curioso gruppetto di spagnoli che furbescamente all’uscita di León caricano i loro zaini su di un furgone guidato da un amico e procedono così, senza il “sacrificio” del peso dello zaino che per il pellegrino, starebbe a significare il peso dei suoi peccati da espiare sul cammino. Anche questa è una “furberia” che non depone a favore di questo tipo di pellegrini, e mi mette un poco di malumore quando la faccenda è così smaccata e palese. Essi viaggiando cosi leggeri, arrivano molto prima degli altri nei rifugi in maniera scorretta! Penso che per il bene del Camino di Santiago e per salvaguardare lo spirito del cammino e dei pellegrini ligi alle regole, sia necessario un comportamento più onorevole. Passo accanto alla Iglesia de la Virgen del Camino da cui il pueblo ha preso il nome; arrivo alla Autopista A66 e la attraverso passando sotto il tunnel dirigendomi verso Valverde de la Virgen lasciando a destra Fresno del Camino. Il cammino corre a fianco della N120 su cui c’è parecchio traffico; una piccola deviazione mi porta a San Miguel del Camino ma poi mi riconduce ancora a fianco della carretera. Poco prima di entrare a Villadangos del Paramo, vicino alla “Estacion de Servicio”, c’è il bar dove c’eravamo fermati l’anno scorso Alice ed io, ma ora la terrazza è occupata dai pellegrini “alleggeriti”, per cui tiro diritto ed entro a Villadangos recandomi al rifugio. So già che non è di mio gradimento, ma vorrei mettere il sello; è vuoto e non c’è nessuno: è un rifugio recente ma mi sembra senz’anima dandomi un senso di gelida modernità. Mentre riparto, arriva l’hospitalera che gentilmente mi mette il sello. Un poco in salita esco dalla cittadina ed arrivo ad un grande pioppeto, passo su un arroyo e finalmente marcio su di un bel cammino di terra che i miei piedi gradiscono molto; ora vanno molto meglio, anche le vesciche si stanno riducendo e ciò mi conforta. Ho un senso di contentezza che non mi è facile dissimulare; sto andando ad Hospital de Órbigo, in quel quieto rifugio che ho conosciuto l’anno scorso con Alice, ed ancora oggi ci arrivo camminando sull’antico e storico Puente conosciuto come “Passo Honroso”. Questo rifugio è un piccolo gioiello del Camino: il suo piccolo chiostro con il pozzo nel mezzo, i fiori, le camerate con le grosse travi di legno. Amo questi piccoli Monasteri; sono i veri rifugi che il Camino dovrebbe salvaguardare. Ora sono le 13 e trovo posto comodamente; è ancora tutto come l’anno scorso. Mi prendo una bella doccia e faccio il bucato che stendo poi nell’orto con il sole che scalda parecchio e c’è anche un poco di vento. Lascio un messaggio sul libro dei pellegrini, e vi rivedo la dedica che aveva scritto Alice l’anno scorso. Poi esco per andare al restaurante a pranzare; al rientro rivedo gli spagnoli “alleggeriti”, ora con gli zaini ed anche Conchi ed Oskar; insieme, stiamo lì al sole a chiacchierare comodamente seduti nell’orto. Alle 16 esco per andare a fotografare il Passo Honroso, uno dei più celebri ponti del Camino, sia per l’architettura sia per lo storico scontro di cavalieri avvenuto proprio qui e che ha dato il nome al ponte. La piccola Iglesia parrocchiale ha in alto sul portale una bella piastrella di maiolica che raffigura lo stemma della Croce dei Cavalieri dell’Ordine di Malta; è aperta ed entro per visitarla poiché ha un interno interessante con un bel retablo dietro l’altare. Ritorno ancora nel pioppeto che è a fianco del Passo Honroso e mi siedo sul greto del Rio Órbigo; a quest’ora nelle sue acque ci sono intere famigliole che sguazzano allegramente, mentre altre nel pioppeto, sono intente ad allestire i fuochi dei “barbecue”. Oggi è stata una bella tappa, dall’inizio difficoltoso; ma ora è tutto a posto, tutto è bello, sono felice!

18/07/99 Domenica: Quarantatreesima tappa: Hospital de Órbigo, Rabanal del Camino 36 Km 8 h 30′

Parto alle 5; tutto il rifugio è silente quando scivolo fuori dal sacco a pelo, senza fare alcun rumore, lo zaino era già pronto, esco nella deserta Calle Mayor. Sono l’unica anima che incede insonnolita su queste vecchie pietre; sopra di me miriadi di occhi astrali mi indicano il cammino, cosa aspetti? Svegliati! E’ tutto così lampante, lasciati guidare! All’uscita dal pueblo prendo la direzione che, dopo un paio di Km, so che mi porterà sulla carretera; voglio evitare di camminare sul sentiero pietroso alla volta di Astorga ed attraverso i campi arrivo alla N120, è fatta! Devo solo marciare, senza alcun pericolo per i miei sensibili piedi, sulla carretera fino al primo albeggiare, per poi riprendere il sentiero. Procedo così, come una piccola lucciola sul bordo della carretera: penso che i camionisti, mi vedano così, con la mia piccola lampadina elettrica che li avverte della mia presenza nel buio della notte. Procedo così per circa 10 Km salendo lentamente ma inesorabilmente verso la sommità dell’aspro plateau pietroso; ora un inequivocabile segnale mi manda decisamente a destra: “San Toribio”, cosi dice. Lascio la N120; è di nuovo sentiero pietroso dalla magra e dura vegetazione; ai suoi lati, bassi muretti di pietre calcaree mi accompagnano fino al confine di questo squallido e desolato altopiano. Davanti a me c’è un grande spiazzo circolare ed al centro una pietrosa aiuola di ciottoli di fiume fa da sostegno ad un solitario ed enigmatico “Crucero”. Il cielo alle mie spalle ha una coltre di nuvole grigie con una lama di luce che un sole sorgente e fiammeggiante cerca di ampliare. Da quassù scorgo in lontananza Astorga, con le guglie della sua Cattedrale che svettano inconfondibili in quest’alba rossastra ed ambigua. Con una ripida discesa, scendo verso San Juan de la Vega, piccolo pueblito sorto sotto il costone e mi incammino verso Astorga, l’antica “Asturica Augusta”; passo il bel ponte romano, risalendo verso il centro della Ciudad. Il rifugio è chiuso, ma nella Plaza dell’Ayuntamento, mentre sto parlando con due pellegrini francesi, vedo il Cura; gli chiedo se posso avere il sello della Iglesia, e lui gentilmente mi prega di seguirlo nella casa parrocchiale, dove mi seguono anche i due pellegrini che non speravano di poterlo avere. La Ciudad è deserta, vi sono poche persone in giro: ieri era sabato, forse gli spagnoli hanno fatto fiesta… In Astorga è la seconda volta che ci torno; sento che mi dovrò decidere per fermarmi qui almeno un giorno per visitare la Cattedrale e la Iglesia, l’antica Muraglia romana e gli splendidi monumenti sparsi per le piccole Iglesias; passando così, troppo presto al mattino verso altre mete, è ancora tutto chiuso con mio grande rammarico. Ma il Camino è così; vai pellegrino vai, porta i tuoi passi verso l’ancor lontana Meta…. Esco da una Astorga che un sole prepotente inonda di luce, vincendo e scacciando la cappa di nuvole grigiastre che si sta miserevolmente disgregando, dopo aver creduto di potergli tenere testa. Prendo la LE142, che con una bella discesa mi porta alla Ermita dell’Ecce Homo, meta mattutina di alcuni fedeli che mi salutano cordialmente: anche per loro è un piccolo quotidiano pellegrinaggio. La carretera corre ora in mezzo a due sentieri di terra battuta che fanno da barriera a degli invadenti arbusti pungenti ed invasivi; più in fondo, boschi verdeggianti e folti ingentiliscono il nuovo paesaggio. Sulla destra intravedo il pueblo di Castrillo de los Polvazares; poi arrivo, calpestando una terra rossastra, a Santa Catalina de Somoza; ai primi contrafforti del Monte Irago che troneggia là davanti, ancora lontano dall’alto dei suoi 1550m. Dei solitari “bikers” impolverati passano pedalando vigorosamente, sollevando nuvolette di impalpabile polvere rossa; mentre cammino mi accorgo che ho desiderio di arrivare ad El Ganso, non fosse altro per l’accogliente e fresco bar dove il “Baffo Nero” mi servirà una cerveza spumosa e fresca; ma c’è questo falsopiano arido e desertico che percorro ora da dover superare: sembra non finire mai! Finalmente vi arrivo assieme ad un gruppetto di pellegrini spagnoli che depongono armi e bagagli per una sosta più generosa, e presumo, più sostanziosa della mia: un buon bocadillo al chorizo ed una fresca cerveza, mi rimettono in squadra, e mi predispongono per proseguire al meglio il cammino. Questo bar è l’unico punto di ristoro prima di Rabanal del Camino che dista ancora 7 Km: vi sono, in questo pueblito, delle case che hanno un caratteristico tetto in paglia, fragile testimone di vestigia che datano dalla preistoria; altre coperture simili le troverò, ancor più ammalianti e pregnanti di testimonianze Celtiche, nel sito di O Cebreiro, nel Bierzo. E’ un territorio arido e desertico quello che sto attraversando ora; appena fuori El Ganso non vi è più nulla di verde, e l’occhio spazia su distese dove la secchezza è regina incontrastata; l’immagine che si forma nella mente, è quella di un paesaggio nel quale l’apparizione di Navajos ed Apaches sarebbe del tutto naturale ed attinente a questa rigogliosa aridità, dove l’unica cosa viva e brulicante di vita, sono le pietre…… Mi sorpassa velocemente una scampanellante ciclista dall’aspetto tipicamente germanico; la robusta bicicletta trasporta anche un bimbetto di circa tre anni e dietro, una ragazzina di 8-10 anni, sbuffa su una mountain-bike; li avevo notati di sfuggita a Hospital de Órbigo: in cuor mio mi dico che è un bell’azzardo portarli sotto questo sole che è ormai allo Zenith. In un arido valloncello c’è un’area pic-nic senza acqua e piante che è completamente esposta al sole; spero che pianteranno degli alberi che possano dare al pellegrino un poco di ombra e di riposo, visto che è alla base di una bella salita! In alto, al termine dello strappetto, il sentiero termina e si interseca con una stradina asfaltata che mi porterà fino a Rabanal; l’asfalto è nero di pece che si appiccica alle suole e rimanda il calore del sole e l’odore del bitume sotto le narici. A fianco sulla destra vi è una pineta che avrebbe bisogno di un mezzo diluvio per rinvigorirsi; è fitta ma è dalla parte sbagliata del sentiero e fa ombra solo a sé stessa. Giungo all’entrata di Rabanal; a sinistra vi è l’Ermita de la vera Cruz e vedo ci sono molti ragazzi stesi sul prato ai lati del sentiero, mi dico: stai a vedere che il rifugio è strapieno! Quando vi arrivo, al termine dell’ultima salita, ci sono già una sessantina di pellegrini che attendono l’apertura; però quando aprono, gli hospitaleros fanno accomodare per primi chi ha le tende per campeggiare nel prato a fianco del rifugio, e poi i pellegrini che vengono da più lontano come me. Trovo inaspettatamente un pellegrino italiano di Bassano del Grappa; è un poco smarrito e stanco. Mi dice che ha iniziato il cammino soltanto a Leon: ha uno zaino troppo pesante ed anche una chitarra! Il rifugio Gaucelmo di Rabanal del Camino è un’altro dei più significativi del cammino; è molto accogliente per merito della Confraternita di Saint-James che lo gestisce con alto spirito di accoglienza. Verso sera arrivano anche Oskar e Conchi, poi Stephane e Jerome che si fermano giusto il tempo di chiacchierare un poco, di fare una doccia, e poi si avviano verso la sommità del Monte Irago, alla Cruz de Hierro, dove dormiranno accanto alle mura della Ermita de Santiago. Alla sera prima di cena, c’è la S Messa nella Iglesia parrocchiale di Santa Maria officiata da don Pedro, un sacerdote che accompagna tutti quei ragazzi che ho visto sui prati della Ermita de Vera Cruz. E’ uno di quei sacerdoti carismatici che si ha modo di trovare sul cammino, pieni di grinta e trascinante allegria che alleviano ai ragazzi le inevitabili pene del pellegrinaggio, sia pure fatto in compagnia e tra amici; lo ritroverò parecchie volte sul cammino e nelle tappe a venire, fino a Santiago.

19/07/99 Lunedì: Quarantaquattresima tappa: Rabanal del Camino, Ponferrada 32 Km 8 h

Parto presto anche questa mattina; sono le 5,10 quando saluto Paolo, l’italiano di Bassano; Conchi ed Oskar stanno dormendo e non li disturbo. C’è un bel vento fuori e mi spiace andarmene così presto poiché alle 6,30, gli hospitaleros inglesi tenendo fede ad una tradizione di lunga data, offrono ai pellegrini una ottima colazione: marmellate, the, latte, caffè e biscotti, ma devo andare a Ponferrada dove non sono ancora stato, e che dispone di un rifugio grande che può accogliere molti pellegrini; per cui, gambe in spalla e mi incammino. Il vento soffia forte, freddo e teso; ben tappato nella mia tuta con il panama calcato sulla testa, mi inoltro nella stradina buia che mi porta fuori Rabanal. E’ tutto buio, nero come la pece; questa volta rifiuto la comoda carretera che mi porterebbe in alto alla Cruz de Hierro, e prendo il sentiero che mi è familiare. Ah, se fossi un gatto sarebbe molto più semplice vederci in queste tenebre; la mia piccola lampada fruga davanti a me cercando il sentiero fra ginestre ed i cespugli che lo nascondono Il cielo sopra di me è sempre meraviglioso, ed è cosparso a piene mani di stelle tremolanti e risplendenti, e questo vento che ripulisce l’atmosfera poi, contribuisce a renderle ancora più cristalline. Cammino con un senso di letizia che mi pervade: sto ascendendo al Monte Irago, un luogo mitico del Camino e la Via Lattea lassù mi indica la direzione. Giungo a Foncebadon, luogo già noto nel X secolo su questa ruta jacopea: nel XII secolo, qui vi erano già funzionanti diversi Hospitales per i pellegrini. Ora, cadente e in completa rovina, è solo un testimone silente e malinconico di ciò che fù nei secoli passati; solo qualche cane smagrito e smunto si aggira fra queste pietre pericolosamente in bilico che non si arrendono all’evidenza. Sembra che si sostengano a vicenda in attesa che qualcuno ridia a loro il compito che assolsero nobilmente centinaia di anni addietro. Accoglienza! Accoglienza! Una gialla cassetta postale aggrappata ad un muro meglio combinato, mi saluta mestamente mentre proseguo con una punta di mestizia nel cuore: le opere dell’uomo hanno tutte questo destino? Potessi far rinascere qui un nuovo Hospital! Sta schiarendo sempre più; termina il sentiero ed ora sulla carretera deserta, proseguo verso la sommità seguendo le giravolte della strada. Quando vedo in lontananza il grande cumulo di pietre con il palo svettante e nudo sorrido; ecco, anche qui sto per arrivare dopo centinaia di Km: ho un cumulo di debiti verso la fortuna che mi assiste, o forse…. Ecco là i miei due amici Stephane e Jerome; Jerome è già in piedi e mi saluta energicamente, ma forse è solo per riscaldarsi; a fianco della Capilla di Santiago, Stephane è ancora infilato nel sacco a pelo, e mi sembra riluttante ad abbandonare il tepore del piumino: è perfettamente comprensibile, fa un bel freddo ed ho le punta delle dita che sono di ghiaccio; a nulla serve tenerle in tasca. La mia piccola pietra vulcanica proveniente da Le-Puy che tengo nel marsupio, reclama energicamente il suo posto in cima al monticolo di pietre che sostiene il palo con la croce. E’ tappezzato di messaggi e cerco un eventuale messaggio di Vincent; ma poi a casa scoprirò che non è giunto fino a qui. Al riparo della Capilla mangio un bocadillo che ho nello zaino da tre giorni: mi sembra un discreto croissant dalla fame che ho! Faccio delle foto con Stephane e Jerome e poi cominciamo insieme la lunga discesa verso El Acebo, camminando ora sull’asfalto, ora sul sentiero. Giungiamo a Manjarin; nel XVI secolo anche qui c’era un hospital, ed ora dei bravi ragazzi dall’aspetto un poco “freak”, stanno faticosamente cercando di recuperare il luogo al Camino, costruendo un piccolo rifugio. Ci fiondiamo verso El Acebo con una ripida discesa; attraversiamo la sua Calle stretta ma bella ed in un bar ci riscaldiamo con un bollente cafè y leche poi proseguiamo chiacchierando belli vispi di tutto un pò come delle comari. Il sentiero ci porta sul fianco della montagna, ma è tutto bruciato! Le stoppie, gli arbusti, gli alberi più giovani: un incendio che ha risparmiato fortunosamente una casa con una piccola piscina; un abitante del posto ci dice che è successo sabato, e che i pellegrini hanno dovuto mettersi in salvo sulla carretera che corre più in alto. Il paesaggio che era verdeggiante è ora brullo e sconvolto, con la cenere che emana ancora l’odore di bruciato, e che si infila nei nostri scarponi. Passiamo accanto ad una bella radura circondata da querce centenarie, ed arriviamo a Molinaseca; ci fermiamo alla Capilla de la Virgen de las Angustias del XIII secolo, e poiché è aperta, entriamo a visitarla, poi attraversiamo il bel ponte romano che scavalca il Rio Meruelo, trasformato in una bella piscina, e per la Calle Real ne usciamo. Una foto al Crucero che è alla fine della Calle, e poi ci dirigiamo verso il rifugio fuori città dove ci fermiamo solamente per apporre il sello, dato che ci sembra già completo. Ci avviamo verso Ponferrada ma Stephane ha dimenticato il cappello alla Capilla e deve tornare a riprenderlo; sono altri due Km, di cammino. Vado avanti da solo; sto seguendo le frecce gialle, ma il sentiero non mi è familiare mi sembra che vada molto sulla sinistra; l’anno scorso l’avevo percorso con il buio, ed avevo preso la carretera che mi portò direttamente in città. Il paesaggio è monotono: case, coltivazioni, poi ancora case; cammino su stradine asfaltate e la calura ora è molto sensibile. Mi raggiungono i miei amici, e seguendo le frecce verso il centro della città, sbuchiamo con nostro grande stupore, di fronte al bellissimo Castillo de los Templarios. E’ superbo nella sua imponente cinta di mura merlate, con le bandiere che garriscono al vento sulle torri del ponte levatoio; alla sua destra vi è la Basilica de Nuestra Señora de la Uncina. Ci dirigiamo al rifugio dove vi sono già parecchi pellegrini che attendono, però riesco a trovare un letto; si fermano qui anche Stephane e Jerome fino a sera, quando poi ripartiranno. Il rifugio è bello, ricavato in un vecchio palazzo; gli hospitaleros sono gentilissimi e si fanno in quattro per sistemare tutti i pellegrini che arrivano; però le docce sono veramente carenti e non c’è posto per far asciugare il bucato. L’Ayuntamento dovrebbe fare qualcosa per risolvere al meglio la situazione… Usciamo per visitare il Castillo; è molto bello, grande, in cima alla collina ed è in avanzata fase di restauro; da qui si gode una fantastica vista sulla città e su tutti i dintorni camminando sulle sue possenti mura merlate. Rientriamo in piazza, dove ritroviamo Oskar, Conchi e Silvye, una francese simpatica e ciarliera; arriva anche Juan, e sotto un fresco gazebo, complici delle fresche cervezas, facciamo una allegra gazzarra in questa Ponferrada che sinceramente, non mi aspettavo cosi bella e artistica. Alla sera vado a cena alla “Meson Mosteiro”, proprio sotto la Torre del Reloy: “se come muy bien”, ed è “muy barato”. Al rientro nel rifugio mi preparo subito lo zaino per l’indomani mattino; andrò a Villafranca del Bierzo: ho un saluto da parte di Ramon per Jesus Arias Jato presso cui spero di alloggiare. Il suo è un altro dei rifugi che il Camino ha fatto proprio, e che gode di un’aurea ed una fama di originalità, legata all’indubbio carisma che Arias Jato si è creato nei tanti anni che opera per il Camino di Santiago.

20/07/99 Martedì: Quarantacinquesima tappa: Ponferrada, Villafranca del Bierzo 23 Km 5 h 30′

Questa notte non ho dormito bene; degli spagnoli nell’altra camera, parlavano a voce alta e con le luci accese, poi avevo tenuto una coperta leggera per cui non riuscivo a scaldarmi ed inoltre le finestre erano aperte per cui tirava uno spiffero maligno che si insinuava fin sotto le coltri. Alle 5,15 parto; fuori in piazza ci sono già dei ragazzi che addentano panini e biscotti: probabile che stiano aspettando degli amici meno mattinieri. Attraverso Ponferrada che è una grande e bella città anche al buio; vi sono viali alberati e bei giardini. Ne esco passando per il quartiere industriale, facendo abbaiare parecchi cani che fanno coscienziosamente la guardia e si sentono in dovere di svegliare mezzo mondo appena sentono lo scalpiccio leggero dei miei passi; mentre stanno stupidamente muti se una macchina si ferma davanti a loro con il motore in moto: Esco dalla città attraversando un bel quartiere residenziale di graziosi villini dove una bella Capilla di Commpostilla ed un crucero mi indicano la via: Sono a Columbrianos, e camminando nella Calle Real alla incerta luce di radi lampioni gialli, vedo che ai lati del cammino ci sono campi intensamente coltivati. Pioppeti ed altre specie arboree si scorgono lontano, mentre una lattiginosa alba stenta a sorgere; dei boschi più lontani si scorgono solo le cime che spuntano sparute dalla bassa nebbiolina mattutina. Passo accanto a belle case coloniche o a minuscole villette dai giardini fioriti, giungendo a Camponaraya; ora la vasta piana è ben visibile in tutta la sua fertilità, sono tutti campi coltivati: ortaggi, mais, frutteti, piccoli vigneti, solcati da canali di irrigazione. Il sentiero è ora largo ed in terra battuta mentre i primi trattori agricoli escono dalle rimesse arrancando e sputacchiando nere nuvole di gas poiché hanno tutti una bella età: non c’è ancora nessun pellegrino in giro. Arrivo a Cacabelos dove trovo un bar per fare una buona colazione; è subito dopo la bella Plaza de San Lazzaro, con il suo cerchio di frondosi alberi che la cingono ad anello ed il profondo porticato delle case più antiche sul lato nord. Percorro la Calle de los Peregriños, vera spina dorsale della cittadina e tracciato originale del Camino; fuori dall’abitato, a lato della carretera, rivedo la casa dove Alice ed io ci siamo riparati da un forte temporale l’anno scorso: Passo davanti al bel Santuario de la Quinta Angustia, opera del XVIII secolo con il suo bravo nido di cicogne a fianco della torre campanaria; più avanti sul lato destro della carretera, hanno costruito una piccola area di ristoro con acqua e delle panchine: veramente encomiabile! Risalgo ora il lungo falsopiano sempre sulla carretera, poi nell’abitato di Pieros, il sentiero piega decisamente a destra per i campi, tra le vigne che ora coprono tutte le pendici delle collinette e valloncelli soleggiati; percorro questi sentieri che aggirano dei freschi boschetti, e mi avvicino a Villafranca, scendendo verso il rifugio municipale dall’alto di una larga strada bianca. Ci sono già dei pellegrini che aspettano fuori, ma sono pochi; io risalgo verso la Iglesia de Santiago, dove all’esterno sono seduti molti ragazzi, e mi dirigo al rifugio di Arias Jato. E’ la prima volta che ci vengo, è tuttora un cantiere e Jesus, sta procedendo con i lavori di costruzione di un’altra ala; sua figlia mi accoglie con un benvenuto e mi assegna subito un posto: sono le 10,30, avrò così parecchio tempo per visitare la città! Sono sistemato bene, un buon letto in una ampia camera; appena vedo Jesus, gli porgo i saluti di Ramon; mi chiede sue notizie e gli dico che a settembre passerà da qui sul Camino con Walter, poi nel refettorio, incontro Pol il belga; è contento di vedermi e mi chiede se domani andiamo a O’ Cebreiro insieme. Dopo un lungo tour per la città, ceno da Jesus Jato; non è gran che come cena, ma mi accontento, forse avrei fatto meglio a mangiare in un ristorante. In città ci sono molti pellegrini; i due rifugi sono completi e molti pellegrini sono andati al camping oppure sono partiti per Pereje, 4 Km più avanti sul cammino della Valcarce. Le previsioni per domani sono buone; speriamo bene, perché si salirà parecchio: O’ Cebreiro si trova a 1300m di quota, e c’è da fare un ripido e faticoso sentiero di montagna!

21/07/99 Mercoledì: Quarantaseiesima tappa: Villafranca del Bierzo, O’ Cebreiro 28 Km 7 h 30′

Non ho dormito bene questa notte; nella branda sopra la mia, dormiva (si fa per dire), una ragazza spagnola che probabilmente aveva degli incubi da indigestione; si agitava saltando di scatto su un fianco e poi sull’altro ed essendo tutt’altro che una piuma, faceva sobbalzare i letti svegliandomi di botto. Pol, che dormiva nell’altra fila di letti, sogghignava sorridendo vedendo questa pellegrina che si agitava senza cadere proprio come i sonnambuli. Comunque, alle 5 partiamo scendendo nella deserta Calle del Agua, attraversiamo il Ponte sul Rio Burbia sorvegliato da una statua di Santiago pellegrino, e poco più avanti prendiamo la direzione di Pereje, lasciando sulla destra il sentiero che porta verso Pradela. Molto ripido ed in mezzo a brughiere di ginestre, pini e castagneti, ha il pregio di essere molto panoramico, ma solo se lo si percorre di giorno e non ora che è notte. Camminiamo sulla carretera NVI; a quest’ora non c’è assolutamente traffico e si sale dolcemente verso Trabadelo, mentre l’altro ci avrebbe portato molto in alto per poi ridiscendere ripidamente, sempre a Trabadelo. Siamo nel profondo e buio intaglio della Valcarce ed alla nostra sinistra più in basso, il Rio Valcarcel rumoreggia; sopra di noi il cielo è un brillio di stelle, così camminiamo con il naso all’insù godendo di questo spettacolo che ogni mattino ci viene offerto: forse è una piccola porzione di Paradiso che viene rivelata al pellegrino mattutino? Lentamente la strada ed il tempo scivolano sotto le nostre calzature, grandi viaggiatrici, amiche inconsapevoli di ciò che fluisce nelle nostre menti armonicamente librate in esercizi di meditazione metafisica, aiutate in ciò dal buio e dal magico scintillio del manto di stelle drappeggiato sopra noi. L’alba tarda a mostrarsi; mentre giungiamo a Trabadelo troviamo accampati sotto una imponente quercia Stephane e Jerome: li lasciamo alle loro abluzioni mattutine. Noi, ora più prosaici, abbiamo fretta di arrivare al bar dove tutti i camionisti fanno sosta, abbiamo bisogno di una buona e calda colazione, poi comodamente seduti vediamo passare gruppetti di pellegrini in marcia verso O’Cebreiro. Il tempo è magnifico, c’è un sole splendente e la temperatura è ora accettabile. Ci rimettiamo in cammino nel paesaggio è tipicamente pastorale, molto verdeggiante con prati racchiusi fra boschi di larici e noccioleti; nei prati solcati da minuscoli ruscelletti pascolano mollemente mucche e pecore che ci guardano in modo interrogativo, quasi ebete. Stanno costruendo degli altissimi viadotti qui; la montagna viene violentemente traforata e passata a fil di spada, ed ora che ci passiamo sotto, vediamo nei dettagli queste gigantesche opere di ingegneria che saranno necessarie sì, ma che stravolgono questo paesaggio stupendo arrivato a noi intatto dalla notte dei tempi: ma le ragioni del progresso non tengono conto di queste cosucce….. Lasciamo l’asfalto ad Ambasmestas e cominciamo a salire per il sentiero che ci porta, sfiorando case e pascoli, in fondo alla verde Valcarce dove nel pueblito di Vega de Valcarce, vi è un piccolo rifugio con un giardino e una minuscola piscina all’esterno. Proseguiamo su uno stretto sentiero che si insinua nei boschetti del fondovalle ancora pianeggiante; ad un bel fontanile con delle panchine ed un torrentello limpidissimo a fianco, vi sono dei pellegrini che danno fondo alle provviste: chorizo y tomatos y vino tinto! Visto il sentiero che li attende, non mi sembra una buona idea abbandonarsi a delle abbondanti libagioni, ma forse hanno troppa fame; e poi quando ci vuole, ci vuole! Arriviamo a Herrerias, dove inizia il ripido sentiero che ascende la montagna; è un vero e proprio sentiero di montagna con una bella pendenza; pietroso ed immerso nel bosco, non molla né attenua la sua ripidità, non vi è modo di tirare il fiato, se non quello di fermarsi un attimo. Pol è sempre con me; sento dentro di me, una frenesia che mi porta ad allungare il passo. Arrivo a La Faba, piccolo pueblo aggrappato alla montagna ed ultima fuente, prima di arrivare a Laguna de Castilla, dove ci sono dei pellegrini fermi a rinfrescarsi. Lentamente il bosco tende a diradarsi sempre più e quando finalmente se ne esce, rimpiangiamo l’ombra afosa che ci dava. Il sole ora picchia sulle teste ed il sentiero ancora rimonta nel paesaggio che si è molto aperto. Sono gli ultimi Km nella Regione di Leon; ci sono grandi distese di brughiere sulle pendici della vallata che si è aperta alla nostra destra. Giungiamo all’ultimo rifugio prima di O’Cebreiro, è Laguna de Castilla; mancano circa tre Km alla meta, e poco dopo giungo alla pietra miliare che reca incisa la distanza in Km che manca a Santiago de Compostelle: 152 Km a Os Santos! Un brivido nella schiena ed uno schizzo di adrenalina mi mettono le ali ai piedi; percorro velocemente il bel sentiero che mi porta ad entrare a O’Cebreiro dove molti pellegrini sono nella piazzetta della Iglesia de Santa Maria la Real, la Iglesia del Milagro. Vado direttamente al rifugio, davanti al quale vi è già una fila di pellegrini che aspetta l’apertura; scorgendo Oskar seduto sul prato. Spero di trovare posto, altrimenti bisognerà adattarsi a dormire nelle tende che i militari hanno approntato in cima alla collina per cui ci mettiamo in fila ad aspettare pazientemente; arrivano anche Stephane e Jerome e ci raggruppiamo tutti e cinque iniziando a scherzare rumorosamente portando un poco di allegria in questa coda di pellegrini pazienti e stanchi. Quando aprono, è tutto dejà vù; abbiamo la branda, una bella doccia ed il bucato da fare. Poi vado al ristorante per un pranzo veramente abbondante; rivedo anche Don Pedro (incontrato a Rabanal del Camino), e più tardi alla S Messa è veramente bello: i ragazzi con la chitarra ed uno stupendo coro, poi una ragazza con il flauto traverso che accompagna alcuni momenti del rito con un virtuosismo toccante e armonioso. Saluto Stephane e Jerome che ripartono; ci diamo appuntamento al campeggio sul Monte do Gozo: penso che arriveranno a Hospital de Condesa per accamparsi. Alla sera, mi siedo a chiacchierare con una hospitalera che parla italiano; mi dice che è rammaricata dal fatto che ci sono troppi giovani maleducati sul Camino ed alcuni l’hanno anche minacciata, perché ha avuto il coraggio di richiamarli all’ordine ed a un comportamento civile! Spera che le Autorità Ecclesiastiche di Santiago, prendano dei severi provvedimenti circa il rilascio delle credenziali. Arriva anche Paolo, il pellegrino di Bassano del Grappa; sono felice per lui: ha passato il momento peggiore a Rabanal del Camino però ora mi dice che va tutto molto meglio mentre fuori si è alzato un vento teso e freddo che scuote gli scarni alberelli messi a dimora. Stanno costruendo e restaurando delle abitazioni qui, ma le “Pallozas”, le antiche abitazioni dalle origini arcaiche con il tetto a forma di chiglia di barca rovesciata sono ancora ben visibili, bellissimi esempi di abitazioni la cui origine si perde nell’oblio della notte dei tempi.

22/07/99 Giovedì: Quarantasettesima tappa: O’ Cebreiro, Monastero de Samos 30 Km 7 h 30′

Si parte alle 5, Pol è sveglio e non perdiamo tempo; usciamo dal rifugio attraversando il corridoio dove dei pellegrini stanno preparando gli zaini mentre altri tentano di resistere nei sacchi a pelo. Nella camerata grande tutti i ragazzi sono ancora immersi nel sonno. Portiamo i nostri passi nella carretera sulla sommità del monte; la valle di Lugo e la Valcarce sono due immani pozzi neri, il cielo di un blu cobalto è un ammasso di stelle, ma le valli sono come due neri inghiottitoi dove la luce stellare è ghermita e divorata. Camminiamo sulla carretera verso Triacastela dove il Camino propone due sentieri: anche le nostre strade si divideranno là. Pol andrà a Sarria passando per San Xil, Calvor e Vigo, mentre io andrò al Monastero di Samos sull’altro lato della montagna; curiosamente, mentre camminiamo con il naso per aria intenti a contemplare la volta stellata, ci accorgiamo che fa quasi caldo: sono le 5,30! Saliamo dopo la Capilla de San Roque, verso Hospital de Condesa, ed ecco che intravediamo il motivo di questa mite temperatura; la vallata di Lugo è coperta da una gigantesca coltre di nuvole simile alla bambagia, da cui spuntano delle piccole cime; tutto è ammantato da un tappeto di bianchissime nuvole che si srotolano scivolando sopra le colline; è uno spettacolo grandioso ed ammaliante. Scatto qualche foto sperando che ci sia luce sufficiente; poi saliamo ancora verso l’Alto del Poio, mentre il sole comincia a fare capolino. Dopo una impennata del sentiero arriviamo davanti al bar-parada-rifugio ed incrocio di sentieri che ci permette una buona colazione; il rifugio è stato approntato quest’anno e dispone di una decina di letti essendo situato in una zona strategica del cammino. Riprendiamo il bel sentiero che corre parallelo alla carretera là in basso; parecchi pellegrini sono avanti a noi, altri preferiscono marciare ancora sulla carretera mentre ai lati del sentiero le pietre miliari scandiscono il diminuire della distanza che manca a Santiago. Il paesaggio è magnifico e le valli che si aprono davanti a noi sono una tavolozza in cui le tonalità del verde sono imperanti. Piccole mandrie di mucche e minuscoli greggi di capre e pecore, escono dai loro ricoveri scampanando rumorosamente, aizzati da cani arruffati che abbaiando a più non posso alle loro terga, li spingono nei prati stillanti rugiada. La valle di Lugo è ancora celata dal manto di nuvole che lentamente il sole sta dissolvendo; si scopre il fantastico mosaico di muretti di pietre che racchiudono fazzoletti di terra dai colori variegati e l’occhio non più frenato, scruta la vastità di ciò che ha davanti. Molto lontano all’orizzonte, alte nuvole cumuliformi torreggianti, testimoniano che l’oceano influisce già sul clima del cammino. Camminiamo in mezzo a ombrosi boschetti o allo scoperto sulla larga cresta del monte con l’altitudine che si mantiene sui 1200m. Giunti alle case di Filloval, iniziamo una leggera e costante discesa su sentieri in terra battuta o su strade bianche che ci conducono ad As Pasantes e Ramil fino all’entrata di Triacastela. Ci si entra con un bellissimo sentiero scavato ed infossato, bordato da muretti ed alberi; alle prime case, in un grande prato vi sono gli attendamenti che i militari hanno destinato all’accoglienza dei numerosissimi pellegrini. A destra il bar è gremito ma vi entro per un buon cafè y leche proseguendo poi verso la Plaza de Cancello, dove un monumento al pellegrino è stato innalzato nell’Anno Santo Compostellano 1965. Ritrovo Don Pedro che mi dà appuntamento a Santiago, e forse in Italia a Torino, dove è stato alcune volte presso i Padri Paolini al cui Ordine appartiene. Ritrovo anche Pol che si era infilato nel bar di fronte al monumento mentre esce, e ci salutiamo senza darci un’ulteriore appuntamento, se non a Santiago, visto che le tappe saranno diverse. Alla biforcazione prendo la carretera che a sinistra mi porterà a Samos, risalendo lentamente la lunga vallata; accanto a me, il Rio Ouribio gorgoglia stretto fra le rocce: fa un bel caldo, e non si ha modo di camminare all’ombra poiché non v’è altro che il bordo della carretera. Ecco che a Renche il segnale mi butta a destra in un bel sentiero che si inoltra nel fondovalle fra alberi e prati racchiusi da bassi muretti in pietra; passo un bel ponte sul Rio Ouribio portandomi sul versante opposto della montagna, poi a Real, poche vetuste case in fondo alla gola della valle, riattraverso di nuovo il Rio che muove un vecchio mulino e forma una lunga cascata allargando il suo letto. Si ricomincia di nuovo a risalire il sentiero racchiuso da alberi di castagni; un affabile Señor, si ferma a chiacchierare; si dice contento che un pellegrino straniero parli la sua lingua e che non abbia fretta; mi suggerisce infine, quando arriverò al tunnel sotto la carretera di non prendere il sentiero, ma di proseguire su di essa: così facendo risparmierò due terzi del rimanente percorso. Lo ringrazio e riparto sul sentiero sempre in costante ascesa; all’uscita dal tunnel però mi trovo di fronte ad un quadrivio di strade asfaltate senza segnalazioni, per cui mi rituffo sul sicuro sentiero che con un giro largo ed ozioso, però sempre ombreggiato, mi porta in alto da dove ho una bella vista del Monastero, imponente e massiccio. Entro nella cittadina passando il ponte sull’Ouribio ed arrivo proprio di fronte ad esso. Qui da vicino è ancora più imponente: fù fondato nel VI secolo ma l’architettura attuale è del XVI secolo, dall’indubbio stile Rinascimentale e Barocco. Alle spalle del monastero vi è il rifugio che è ancora chiuso, ma l’hospitalero è cortese e mi fa accomodare; sono le 12,30, non mi è consentito di fare la doccia perché stanno limpiando, ed allora vado al ristorante, situato all’uscita della cittadina a pranzare. Quando vi faccio ritorno, molti pellegrini sono seduti in attesa che apra; vi sono anche parecchi bikers con un furgone di appoggio che chiedono solo il sello e poi ripartono. Anche questo rifugio è uno fra i più antichi del Camino, ma la sua fama deriva dal fatto che è parte integrante del Monastero della cui contiguità trae vantaggio; si tratta solo di una grande camerata con il locale servizi in fondo, ma dopo due docce, l’acqua è già ghiacciata, e per un rifugio che accoglie 80-100 pellegrini, il fatto è quantomeno deludente. Mi reco a visitare l’antica e splendida Capilla Mozarabica dei Cipressi, o de Salvador, in riva al Rio Ouribio; molto semplice e disarmante dall’intensa antichità che la pervade. Un antico e minimo rifugio che offriva riparo nel IX secolo e che ora, restaurato in modo esemplare, mantiene intatto il suo alone di storicità; all’esterno vi è una bella spiaggetta in riva al fiume dove si ha modo di fare un gratificante bagno nelle limpide acque del Rio. Visito con una guida l’interno del vasto Monastero che ha due bei chiostri e dei porticati ampi e affrescati; nel porticato superiore del Chiostro de Las Nereidas, però gli affreschi non mi piacciono per niente; mi sembrano nettamente in contrasto con l’età e l’architettura che il luogo richiede. Durante la S.Messa, incontro inaspettatamente due turiste italiane di Verona; una di loro è in carrozzella e li saluto cordialmente quando ripartono sul loro pulmino: raggiungeranno Sarria per pernottare. Dopo la cena, rientro in rifugio che è ora strapieno; non si ha quasi il posto dove posare i piedi dai tanti pellegrini che dormiranno al suelo. Durante la notte, un tizio che si è sistemato nel locale servizi, pensa bene di mettersi a russare: in vita mia non ha mai sentito russare in maniera così potente un essere umano, il tutto era amplificato dal locale piastrellato, quindi: dormito pochissimo! Incontentabile pellegrino! Questi sono dei minimi inconvenienti che alle volte, quando meno te li aspetti, il Camino può dispensare!

23/07/99 Venerdì: Quarantottesima tappa: Monastero de Samos, Portomarin 33 Km 7 h

Il formidabile russatore è ancora all’opera quando alfine mi decido a partire; sono le 5, rapidamente mi alzo, infilo il sacco a pelo nello zaino già pronto e schivando i pellegrini stesi a terra che ancora si attardano, esco nella silenziosa e deserta carretera. Evidentemente vi è il tipico fenomeno chiamato “inversione termica” perché fa veramente freddo in fondo a questa valle, e lestamente mi incammino per potermi riscaldare con il moto. Il Monastero è illuminato da luci gialle che fanno risaltare la sua imponenza; dà una impressione di grande sicurezza e protezione, racchiuso in questa valle immersa nel buio, ed anche le stelle che brillano in cielo, mandano una luce che mi sembra gelida ed evanescente. Il percorso è tutto sul bordo della carretera che si snoda sul fondovalle; andando avanti si fa ancora più stretta con le pareti della montagna a strapiombo: anche la luce azzurrina delle stelle non riesce a rischiarare il cammino. Le rade vetture che passano rombando, mandano sciabolate di luce sulle pareti rocciose ed il loro rumore risulta insopportabile nel silenzio che è altrimenti tangibile, in questo creato immobile e silente, che attende l’alba per ridestarsi. Giungo a Sarria quando il sole è da poco sorto ma la sua luce è ancora fievole; le montagne la tengono ancora in alto mentre su tutto aleggia una nebbiolina fredda che tarda a dissolversi. Sarria si sta svegliando; numerose macchine e furgoni cominciano a circolare mentre risalgo la Calle Mayor molto ripida; nel il rifugio si sta spopolando, riesco a farmi apporre il sello e poi mi infilo nel bar che gli sta di fronte. Sono quasi le 8, e parecchi pellegrini fanno colazione; mi accomodo anch’io per un meritato cafè y leche, poi riprendo la via che in salita mi porta verso il Convento de la Magdalena. Quando vi arrivo, frotte di ragazzi e ragazze ne escono con gli zaini in spalla, sono tutti diretti a Portomarin! Mi sento un poco sconfortato; tutta questa gente che rincorrendosi, urla e strepita a quest’ora: sono soltanto le 8, 30! Sulla ripida discesa che costeggia il cimitero e che mi porta fuori Sarria, aumento il passo cercando di portarmi fuori da questa moltitudine; parecchi altri ragazzi sono già più avanti sul bel sentiero che tra prati e muriccioli mi permette di superarli comodamente senza difficoltà. Scavalco il Rio Celeiro su un bel ponticello, poi passo sul medioevale Ponte Aspera dove parecchi giovani si sono già fermati; il sentiero ora attraversa o lambisce piccoli pueblos, insinuandosi tra boschi di castagni e querceti sempre delimitati dagli onnipresenti muretti in pietra di ardesia. Arrivo a Ferreiros dove c’è un bel rifugio ed accanto una “Casa Rural” dove si può avere colazione o panini con poca spesa e la possibilità di chiacchierare con i proprietari; sui prati che lo circondano gruppetti di ragazzi che stanno riponendo le tende, hanno l’aria ancora assonnata. Forse non sono ancora abituati al cammino; stanno vivendo una situazione non ordinaria e sono visibilmente frastornati dalle incombenze mattutine che il cammino impone. Ci sono anche gruppetti di Scout che hanno già per le mani una chitarra e cercano di avviare canzoni che un improbabile coro affossa indecorosamente; la guida mi informa che questi sono luoghi dove la cultura celtica è più visibile, se per celtica intende delle pietre di ardesia che sono curiosamente innalzate in mezzo ai prati. Ciò risponde a verità, dato che non si vede una utilità pratica per questo; forse sono simboli di un lontano ed immemore passato…. Il sentiero è molto bello ed ombroso, sicuramente uno dei più bei sentieri che ho calcato in questo pellegrinaggio: sempre fra boschi, prati, con liane che pendono da querce, e rovi che all’inizio di settembre saranno carichi di more per la gioia del pellegrino che passando li gusterà. Antiche “calzadas”, sono ben visibili; grosse pietre ben ordinate che permettono di camminare sollevati dove il sentiero è fangoso o acquitrinoso e vedo piccole mandrie di mucche che pascolano sulle pendici delle collinette. Quando il sentiero mi porta allo scoperto, il calore del sole è sensibile. Scendo dalle alture di Pena do Cervo con il sentiero che si fa pietroso e bisogna porre attenzione alle pietre smosse; qui supero due italiani delle Marche che stanno brontolando per lo stato del sentiero: mi dicono che sono sul Camino da Saint-Jean-Pied-de-Port, spinti a ciò da Internet su cui cercavano notizie al riguardo. Do loro appuntamento a Portomarin e mi porto avanti scendendo dall’alto della collina; rivedo il lago formato dal fiume Mino, e poco dopo transito sul lungo ponte ammirando minuscole barche a vela colorate che veleggiano sull’azzurro lago. Mi dirigo al rifugio dove vi sono già molti pellegrini che attendono seduti all’ombra nella Calle o issati sul muretto in pieno sole; metto il mio zaino in fondo alla lunga fila e mangiando le residue provviste che mi restano, parlo con una pellegrina che si dichiara atea e che si è messa sul Camino. Non riesce a spiegarmi perché è qui; non sa chiaramente cosa la spinge, ma dal suo atteggiamento difensivo, capisco che qualcosa dentro il suo animo si è spezzato e la tormenta. Intavoliamo una discussione che lascia tutti e due della medesima opinione, ma che forse serve ad alleviarle il tormento interiore. Dal calzolaio Pereira, compro la pila della macchina fotografica che si è scaricata durante la tappa e mi ha negato la possibilità di scattare foto interessanti, poi all’entrata della cittadina incontro Stephane e Jerome che stanno recandosi al rifugio perché hanno necessità di una buona doccia; poi al pomeriggio ripartiranno dopo aver fatto provviste, verso Palais-de Rey. Rientro al rifugio per una buona doccia e per fare il bucato, e poi giro in lungo ed in largo la bella cittadina; entro nella Iglesia-fortezza di San Nicolas dall’unica e possente navata rettangolare con l’abside semicircolare, ed il bel Crucero fuori nella piazzetta. Tutto questo pueblo è stato ricostruito in alto su questa collina, riportando quassù tutte le pietre delle case dal fondovalle che doveva essere allagato; difatti la costruzione della diga, avrebbe sbarrato il corso del fiume Mino: lavoro immane, ma che ora fa di questa cittadina una fra le più caratteristiche del Camino. Sul fondo del lago che si è formato, vi sono i resti del pueblo che vengono alla luce nei periodi di magra dell’invaso. Nei giardini ora vi sono gruppi di giovani pellegrini che cantano; io mi sono sistemato su una panchina con due giganteschi bocadillos con chorizo ed un litro di Coca-Cola: la mia cena per oggi è questa, poi spero che Morfeo mi accolga al più presto: ne sento la necessità!

24/07/99 Sabato: Quarantanovesima tappa: Portomarin, Palais de Rey 24 Km 5 h

Anche in questo rifugio di Portomarin, ragazzi spagnoli hanno dato dimostrazione della loro maleducazione e del poco rispetto che hanno nei confronti di ciò che è, e di ciò che significa il Camino, facendo chiasso e disturbando con schiamazzi sia gli abitanti che i pellegrini nei rifugi, dove entravano e uscivano a piacimento, sbattendo le porte delle camerate e parlando a voce alta anche se mezzanotte era già passata da un pezzo. Mi chiedo che tipo di futuro possa avere l’Anno Santo Compostellano, se la stessa gioventù spagnola si comporta in questo modo poco edificante; forse anche gli stessi abitanti dei luoghi, sedi dei rifugi ridotti a chiassosi bivacchi, potranno essere indotti da ciò, a vedere in malo modo l’arrivo dell’autentico pellegrino. Alle 5,10 parto, camminando sulla carretera che seguirò fino all’incrocio con il sentiero nel pueblo di Gonzar; dopo 2 Km circa entro in un banco di nebbia che avvolge tutto: è proprio come l’anno scorso. La nebbia non è fredda, ma non si vede nulla; solo il bordo del sentiero o della carretera con le brughiere che tengono avvinghiata a sé questa acquerugiola sospesa nell’aria. Mi raggomitolo nella tuta, e lasciando fuori solo gli occhi e le orecchie, mi inoltro in questo mondo ovattato e grigio. Lentamente il tempo scorre e quando i miei occhi sono fuori dal manto nebbioso che ancora nasconde i miei piedi, vedo che alla mia destra vi sono delle grandi vallate ricoperte da un’immensa distesa di nuvole; il sole come un grande occhio rosso fiammeggiante sta sorgendo alle mie spalle: incantevoli spettacoli che la natura elargisce ai pellegrini mattinieri…..! Sono a Gonzar: riprendo il bel sentiero e rivedo gli stessi posti dell’anno scorso; di altri ne ho perso la cognizione, o forse sono nuovi. Il sentiero si dipana fra colline che spuntano dalla nebbiolina; dei rigogliosi e sgomitanti boschi di noccioleti e querce sono tenuti a bada da prati tenuti rasati da mandrie di mucche, mentre arbusti di ginestre gocciolanti rugiada sbarrano il passo a chi esce dal cammino. Così guidati e con una salita dolce si arriva a Hospital de la Vera Cruz; poco prima ero passato da Castromaior, dove sono visibili i resti di un antico campo militare romano: la guida dice che nel circondario vi sono parecchie rovine di questi “Castrum” romani. Nei piccoli pueblos che mi scorrono accanto, noto le tipiche costruzioni galiziane chiamate “Horreos”, (silos) che servono all’essiccamento ed alla conservazione del mais; alcune sono veramente belle e caratteristiche, altre invece, assolvono solamente al loro compito senza slanci artistici. Arrivo a Ligonde, dal bel rifugio piccolo ed accogliente. Nel suo cimitero, vi sono delle tombe di pellegrini che la morte ha ghermito sul Camino. Gruppi di giovani scout accampati sotto le querce, sono ancora impegnati a smontare il campo; il sole è ora ben caldo ed è un piacere poter camminare all’ombra profonda che queste querce danno al sentiero. Giungo vicino ad una grande piscina recintata e profonda tre metri; dei gruppi di ragazzi che sono assiepati ai suoi bordi fanno uno spuntino, mentre i piedi sono immersi in questa acqua che li risana e li riporta a nuova vita. La regione di Lugo, qui vicina al confine con quella di La Coruña, è una delle più belle, se non la migliore dell’intero Camino; il territorio è sempre verdeggiante con boschi e foreste fitte di querce e pini con noccioleti impenetrabili. Ampie zone riservate al pascolo, sono irrorate da ruscelletti; è simile al territorio della Navarra, 600 Km a Nord-Est; e qui vi sono, oltre ai vigneti, anche piantagioni di ulivi in lunghi filari: sfortunatamente per me, i loro frutti sono ancora acerbi. Alle 10,30 arrivo alla periferia di Palais de Rey in alto sulla collina; vedo che vi è un grande accampamento di tende ma non mi sembrano pellegrini: sono degli hippy, freaks, dei rockettari, sono tutti qui per via di un concerto rock. Una marea di macchine, moto e furgoni tipici dell’ambiente, con radio che diffondono musica a tutto volume. Mi dirigo al rifugio che dista un Km più in basso; vi sono una decina di pellegrini che attendono l’apertura: temevo che fosse già strapieno! Una lunga teoria di grosse moto tipo Harley-Davidson, sono parcheggiate in bella mostra lungo i marciapiedi vicino ai numerosi bar, ed un mercatino di cose affini all’avvenimento ed ai personaggi che circolano, è fiorente nella piazzetta. Faccio tappa in questa cittadina per poterla visitare, ma con tutta questa gente fuori dal contesto del Camino….. Quando il rifugio apre, mi trovo un buon letto, una doccia calda, e poi il bucato; non so se asciugherà perché il piccolo cortile non riceve né luce né aria. Vado al bar per una cerveza e poi gironzolo per la città; risalgo alla Iglesia de San Tirso, dal bel Portale romanico, ritornando poi nella via che porta a proseguire il Camino dove è innalzato un bel monumento al Pellegrino. Più tardi al rifugio, ritrovo i due pellegrini marchigiani che hanno deciso di fare tappa qui, e con loro vado in cerca di una tienda per fare provviste per oggi e per domani che è domenica: frutta, latte, pane, chorizo, cerveza ed una bella tavoletta di cioccolato. Un poco di siesta e poi alle 18 ritorno alla Iglesia de San Tirso per il sello e per la S.Messa con la Chiesa che si riempie in un attimo di gente del luogo e di pellegrini; dopo la funzione, alcuni pellegrini dispongono le loro piccole tende nel giardino a lato della chiesetta. Mi riporto al rifugio per cenare con due bocadillos e due cervezas; un cafè al bar, ed il pellegrino sarebbe pronto a ritirarsi nella branda; sono le 21,30 e nella strada c’è ancora molta gente ed allora vado ad ispezionare il percorso per domani mattino. Prenderò il bel sentiero chiamato “Correidoras” dal fatto che è lastricato con grosse pietre tipo le nostre “Beole”, fino a San Xulian, e poi procederò nel buio della notte sulla carretera, fino a Cornixa, dove lo riprenderò al sorgere dell’alba.

25/07/99 Domenica: Cinquantesima tappa: Palais de Rey, Arca-O-Pino 50 Km 9 h 30′

Stanotte ho dormito bene nonostante il baccano che c’era in città; evidentemente ero abbastanza stanco. Qui nella camera è tutto pieno di pellegrini; ve ne sono anche per terra, e qualcuno ha chiuso tutte le finestre, probabilmente per non sentire il rumore, ma cosi non è uscito neanche il calore di tutti gli occupanti, per cui i vetri delle finestre sono molto appannati. Ma ora il rumore e la musica mi hanno svegliato: guardo l’orologio sono le 4! Ormai non dormo più, ed una decisione improvvisa ed imperiosa mi sveglia del tutto: Partire! Detto e fatto; infilo il sacco a pelo nello zaino e alle 4,20 sono fuori dal rifugio. Nella strada illuminata, gruppetti di ragazzetti, ciondolanti ed alticci, cercano di cantare sgangheratamente incespicando nei marciapiedi; altri già cotti, dormono appoggiati agli stipiti delle porte od allungati sui gradini: che spettacolo di umana miseria! La strada è bagnata a causa della pioggerella sottile che sta cadendo; non mi sembra il caso di indossare il poncho, per cui mi inoltro nel cammino. Ieri avevo pensato di fermarmi ad Arzúa, dove non mi sono fermato l’anno scorso, ma ora un nome mi ronza per la mente: Arca-O-Pino! Capisco già che la decisione è presa da qualcosa dentro me; coscientemente l’avvallo, anche perché il tempo mi sembra buono per camminare al fresco: non mi fermerò più fino ad Arca-O-Pino. La tappa sarà lunga 50 Km; sono molti, ma conosco tutta la strada; so che non è tutta in piano, anzi, ma la tappa è una delle più belle ed avrò ombra, se dovesse splendere il sole, dai grandi alberi di eucalipto. Vai amigo, vai, anche oggi hai preso una buona decisione! Percorro la “Corredoira”, fino a San Xulian del Camino, poi vado sulla carretera deserta, prendendo una buona andatura che mi scalda; la pioggerella va e viene ma non mi è di impaccio. Alla mia sinistra il sentiero si inoltra sulle pendici del monte, in mezzo ad una bella e frondosa foresta, ed è saggio non percorrerlo con questo buio. La pioggerella ora smette del tutto; il buio è profondo e non vi sono stelle che illuminino la strada dove cani sospettosi abbaiano al mio passaggio passandosi la voce di casa in casa. A Cornixa, rientro sul sentiero bordato da cipressi che mi conduce a Leboreiro, sulla strada medioevale recentemente restaurata. Non vi sono ancora pellegrini sul cammino; penso che li incontrerò dopo Melide. Passo da Disicabo, sul piccolo ponte medioevale, ed ancora più avanti giungo a Furelos, imboccando il suo bellissimo ponte medioevale a quattro arcate che scavalca il Rio Furelos; la pietra miliare che è posta al suo imbocco, indica la direzione con una freccia gialla e qualche persona gentile vi ha aggiunto un bonario “Animo!” come esortazione rivolta allo stanco pellegrino. Dopo Furelos, giungo a Melide, grossa cittadina; vi sono molti luoghi legati al Camino da dover visitare qui, ma sarà per un’altra volta sicuramente. Nella Plaza, c’è un bar aperto e vi entro per una buona colazione mentre la città è ancora addormentata; è domenica, giorno dedicato al riposo. Riprendo il sentiero che attraversa zone collinose e boschive ricche di corsi d’acqua con felci e pini; a Ribadixo passo su un’altro bel ponte medioevale che qui scavalca il Rio Iso, mentre all’esterno del bellissimo Hospital de San Anton, gruppi di pellegrini si apprestano a riprendere il cammino. E’ un luogo stupendo dove fermarsi per una tappa; un amico spagnolo me lo aveva suggerito ed ora che sono qui trovo che aveva perfettamente ragione. Ho ancora parecchi Km da percorrere, e mi incammino di nuovo con un’ultima occhiata alla bella riva del rio; ho Arzúa da raggiungere e sia pur con rammarico. devo evitare di perder troppo tempo contemplando questi bei luoghi. Sul cammino ripasso di nuovo dalla casa con il bel pergolato; il sito dove una pompa a mano dell’acqua è fuori uso, ed il cascinale con la scala esterna dove una Señora gentile scese di corsa le scale per offrirci frambuesas y moras. Arrivo ad Arzúa; è una grande città con un discreto traffico, e non credo che mi sarebbe piaciuto fermarmi qui, perciò esco in fretta dall’abitato e riprendo il sentiero che si è ora trasformato in comode strade bianche a lato della carretera. Giungono i primi alti alberi di eucalipto che mi accompagneranno fino a Santiago; stradine asfaltate si alternano al sentiero ora largo e a volte pietroso, poi ad una svolta vicino ad una piccola villetta, tre cani arruffati schizzano fuori come furie abbaiando a più non posso tentando di assaggiare le mie caviglie; solo il grosso bastone riesce a tenerli a bada fino al termine della discesa. Arrivo a Santa Irene, quindi mi mancano solo 4 Km ad Arca-O-Pino; mi rituffo di nuovo nel bosco di eucalipti. Il sole che sul sentiero dardeggia, qui dentro è tenuto a bada dalle altissime e profumate piante. Al rifugio di Arca arrivo alle 13,30; c’è una bella coda di pazienti pellegrini all’esterno e questa volta temo che non riuscirò davvero ad avere un letto, ma quando aprono ancora una volta sono fortunato, ed un letto riesco ad averlo. Questa tappa è stata veramente lunga, ma non mi sento particolarmente stanco; una calda e lunga doccia mi rimette in sesto e dopo il bucato vado al ristorante accanto alla gasolinera; è stato ingrandito, ma devo comunque aspettare 40 minuti prima di poter pranzare, ma ne vale la pena: si mangia bene, abbondantemente e spendo poco, solo 1000 Ptas. Qui ritrovo anche Pol appena giunto al rifugio, poi il piccolo supermercato a lato del rifugio, apre per un paio d’ore anche se oggi è domenica, per permettere ai pellegrini di fare provviste. Sto pensando che sono qui, sono solo a 20 Km da Santiago, e mi sento benone; ho percorso un gran numero di Km, ma non mi sembra ancora reale tutto questo, non mi rendo ancora pienamente conto di tutto ciò che è avvenuto. Domani camminerò con Pol fino a Santiago dove conto di fermarmi due giorni: spero che al Seminario Menor abbiano un posto anche per noi!

26/07/99 Lunedì: Cinquantunesima tappa: Arca-O-Pino, Santiago de Compostella 19 Km 5 h

La sveglia è alle 5, tutto il rifugio è in fermento; Santiago è vicina! I pellegrini vogliono giungervi al più presto; anche chi ha una buona branda è già in piedi e si prepara lo zaino affrettandosi. Pol mi attende all’esterno del rifugio dove c’è un distributore di bevande calde; due bollenti cafè y leche con dei biscotti che tenevo nello zaino, e poi via per l’ultima tappa di questo Camino nell’Anno Santo Compostellano 1999. Prendiamo la carretera ora; gli eucalipti sprigionano il loro delicato profumo ma non cammineremo sotto le loro fronde, se non quando saremo nei pressi di Amenal, dove incroceremo il sentiero. Un debole chiarore comincia a diffondersi quando vi giungiamo, ed il largo sentiero diventa più agevole. Chiacchierando giungiamo ben presto nei pressi dell’aeroporto, ed il rombo degli aerei ci accompagna mentre ci si porta, con belle salite che ci fanno sudare, più in alto. Un bel cane lupo si è aggregato a noi; sembra che ci voglia accompagnare. Evidentemente conosce bene queste stradine e corre avanti e indietro; un gruppettino di ragazzi ci supera, e complice un salsicciotto di chorizo ci sottraggono la guida canina,. Arriviamo davanti al camping, dove guardo attentamente se vedo Stephane o Jerome accampati, ma inutilmente. Andiamo avanti, e da un pertugio nella siepe, scendiamo direttamente nel grande complesso di accoglienza che è stato costruito sul Monte do Gozo; comprende oltre agli alloggiamenti per i pellegrini (800 posti), anche un Auditorium, bar, ristorante ed un camping, ed in alto, nei pressi della Capilla de San Marcos, un grande monumento al pellegrino si innalza dominando la vallata. Avrei preferito un antico Monastero con tutta la sua semplicità, ma questo sito, così moderno e freddo nella sua tecnicità, mi sembra poco attinente a ciò che è il Camino, e ciò che significava per chi arrivava al Monte do Gozo nei tempi passati. La mia impressione è che sia inopinatamente troppo tecnologico e sfacciatamente vacanziero. Entriamo nel bar per un cafè y leche e poi alla Oficina de Turismo per avere una pianta della città; vorrei andare subito al Seminario Menor dove c’è il rifugio ed in un secondo tempo alla Cattedrale senza l’impiccio dello zaino; Pol è d’accordo con me, e cosi facciamo scendendo nelle strade di Santiago. Addio sentieri, boschi, prati e paesaggi stupendi; non avremo più i silenzi che a volte ci mettevano i brividi, e la volta stellata non sarà più così immanente sopra le nostre teste. Ora siamo nella città dell’Apostolo, méta fortemente voluta ed agognata per molti giorni e moltissimi passi; è la fine di questo viaggio, ma non del “Viaggio”. Esso continuerà, ne sono sicurissimo, per sempre; è come essere entrati in un moto perpetuo interiore totalmente spirituale, Santiago, è “solo”, la méta di oggi, il prodigio è già avvenuto, inframmezzato ai nostri passi sul Camino. Piano piano si è concretizzato senza clamori, cambiando la parte di noi che non è visibile a nessun essere umano; non saremo mai più come quando siamo partiti. E’ questa serenità interiore che ora rende leggeri i passi che ci portano al Portico della Gloria, nella cripta, e sull’altare ad abbracciare l’Apostolo, scorciatoia e mezzo per “Andare Oltre”. Mi sento forte, e l’emozione questa volta non ha il sopravvento; questa felicità è più forte di tutto, sento che sono arrivato nel luogo dove dovevo giungere e da dove forse, non sono mai partito. Pol mi scuote per un braccio e ci dirigiamo alla Oficina del Peregriño per la Compostela che attesterà per sempre l’avvenuto pellegrinaggio nell’Anno Santo Compostellano 1999. Nel Seminario siamo alloggiati al terzo piano, in una grande camerata; i letti sono tutti occupati, ma tutti i pellegrini sono in giro per la città. Ci ritorniamo anche noi e la giriamo in lungo ed in largo. Nel risalire la rua Gelmirez incontro il Prof Caucci; ci salutiamo calorosamente dandoci appuntamento a Perugia nel 2000. Ci dirigiamo ora alla stazione ferroviaria per avere le informazioni relative ai treni per il rientro a casa. Avrò il treno per La Coruña mercoledì alle15,15, poi alle 17,50 da La Coruña per Barcellona-Sants con arrivo giovedì alle 11, quindi alle 20,38 da Barcellona-Sants per Milano, dove arriverà alle 09 di venerdì: saranno quasi 31 ore di treno! Domani prenderò l’autobus per Finisterre; la partenza è alle 08 di domattina: sono proprio curioso di vedere il luogo dove i pellegrini erano convinti che la terra finisse e cominciava il grande mare misterioso: L’Oceano.

27/07/99 Martedì: Giorno di sosta a Santiago de Compostella

Oggi la sveglia è alle 6,30; ho tutto il tempo di fare le abluzioni mattutine con la dovuta calma e tranquillità, ed alle 7, prendo la Avenida de Quiroga Palacios che mi condurrà verso la rua de Rodriguez in fondo alla quale c’è la Estacion de Autobuses. Nella grande rimessa il bar è aperto, parecchi viaggiatori sono in attesa e fanno colazione; mi prendo un cafè y leche y dos postres ben zuccherati e caldi e sono pronto per partire. Vi è già un bel andirivieni di autobus, sotto, nel grande piazzale coperto; è un ambiente caratteristico e tipico delle città spagnole con un sacco di gente che utilizza gli autobus che collegano piccoli pueblitos e grandi città: è tutto così peculiare ed insolito per me! Alle 8 puntuale, l’autobus parte; a bordo vi sono persone del posto ma anche parecchi pellegrini diretti a Finisterre. La distanza in linea d’aria è di circa 100 Km ma l’autobus toccando diverse località, ci impiega due ore e mezzo ad arrivare. Si attraversa il tipico paesaggio Galiziano con colline, prati ampi ed alti eucalipto che dominano le vallate; ogni tanto scorgo delle frecce gialle che indicano il cammino ai pellegrini che vanno a piedi, il percorso però è quasi tutto su asfalto ed i rifugi sono inesistenti. Arrivo a Finisterre e finalmente ho l’Oceano davanti: dopo tanta terra, una distesa d’acqua infinita! La cittadina è tipica dei villaggi marinari; casette bianche ammassate l’une alle altre, il molo, ora occupato dal mercatino, a sinistra una grande falce di spiaggia e qui davanti una spiaggettina con una bella caletta. Vedo un Crucero in basso alla rocca malconcia, su cui vado ad ammirare l’orizzonte che mi si spalanca davanti; una strada sul mare mi porta ad una bella caletta nascosta dalla sabbia finissima e scogli affioranti incrostati da conchiglie; entro nell’oceano: è una bella sensazione, lo sciabordio delle onde e la sabbia mi massaggiano vigorosamente i piedi pellegrini, è da tanto che lo desiderano e sicuramente ne trarranno beneficio. Per uno stretto sentierino poi, risalgo sulla strada che mi condurrà a CapoFinisterre 3 Km più avanti, in leggera salita contornando la montagna. Lassù vi è il Faro che domina l’Oceano Atlantico mentre all’uscita dell’abitato vi è una antica Iglesia dedicata alla Virgen, molto bella, dall’interno ancora intatto come secoli fa. Scatto delle foto che rivedendole poi, non gli renderanno affatto giustizia. Giungo a CapoFinisterre, udendo da un pò di tempo le due gigantesche ed urlanti trombe del faro che stanno avvisando le navi immerse nella nebbia che sta calando al largo, di non avvicinarsi troppo a questo promontorio roccioso. Sono esattamente all’estremo lembo di terra allora conosciuta, qui finiva il mondo e cominciava il mistero. Durante il ritorno scatto delle foto al mare che ha dei colori verde smeraldo; mentre un pittore in un punto panoramico, è intento a mettere sulla tela ciò che ha davanti agli occhi. Arrivo al molo e scatto altre foto alle decine di barche che si dondolano pigramente nella rada; anche qui la nebbia sta calando e scende con grandi volute dalle montagne spandendosi sul golfo come un bianco sudario. Alle 14 riprendo l’autobus per il ritorno ed alle 16,30 sono di nuovo a Santiago, dove mi siedo nella Plaza de Obradoiro, guardando delle grandi mongolfiere che si stanno gonfiando velocemente ansiose di librarsi in volo. Aspetto inutilmente di scorgere volti noti, ma fra tutti i pellegrini che giungono, nessuno di loro ha un viso familiare. Alle 20 mi infilo in un ristorante per gustarmi una zuppa di mariscos deliziosa e squisita, ed al crepuscolo, ritorno al Seminario dove ritrovo Pol che è rimasto in città facendo il turista tutto il giorno visitando chiese e monumenti. Ci diamo appuntamento per domani a mezzogiorno, quando per me sarà il momento di partire.

28/07/99 Mercoledì: 1° giorno di ritorno da Santiago de Compostella

Una notte sottratta al sonno dai soliti maleducati ragazzi, che francamente stanno mettendo a dura prova la pazienza di chiunque voglia dormire in un dormitorio; il loro ego deve essere smisurato, se niente e nessuno ha valore per loro. Alle 8, esco per acquistare il biglietto del treno che mi porterà a La Coruña questo pomeriggio; la città è avvolta dalla nebbia e cammino in una Santiago dall’aspetto invernale, tutto è sfumato ed i contorni delle case non sono più netti e taglienti come quando sono inondati di sole. Mi fermo al bar LM di fronte alla scalinata che porta alla stazione per la colazione; qui si mangia bene e le signore sono gentili con i pellegrini che sono in attesa di prendere il treno. Di ritorno alla Cattedrale, cammino lentamente, guardando le vetrine dei negozi che stanno aprendo; scatto delle foto in questa Santiago nebbiosa, e poi entro nella Cattedrale quasi deserta, per rimirarla ancora un poco con la dovuta calma. Inaspettatamente sento che qualcuno mi chiama: è Jerome! E Stephane sta arrivando dal fondo della navata: che sorpresa! Forse è l’ultima che questo Camino mi regala; sono felicissimo, poiché ormai avevo perso la speranza di rivederli, dato che trovarli a Santiago in questi giorni è come trovare un ago in un pagliaio; mi dicono che mi hanno cercato a Monte do Gozo. Sono veramente spiaciuto, ma la colpa è mia perché ho anticipato la tappa di Arca-O-Pino; comunque, ora tutto è compiuto, e tra poco anche per loro il Camino avrà termine. Mi dicono anche che questo pomeriggio si avvieranno verso Finisterre: ancora un paio di giorni di cammino per vedere il grande Oceano, e poi torneranno a casa. Ci salutiamo con tanto affetto; abbiamo percorso tanta strada insieme, e tante volte ci siamo ritrovati sul Camino godendo della reciproca amicizia e compagnia: spero di poterli ritrovare ancora un giorno, forse su un altro Camino….chissà. Alle 12, Pol mi accompagna alla Estacion de Ferrocarril; ci fermiamo al bar LM per pranzare. Lui domani prenderà il treno per Limoges, dove starà per una settimana di preghiera in un monastero, poi alla stazione mentre il treno giunge, ci salutiamo con un forte abbraccio: sono felice di averlo incontrato sul Camino, abbiamo stretto una salda amicizia che si è cementata giorno per giorno. Ora sono veramente solo su questa affollata banchina, mentre il treno si ferma con uno stridio di freni che mi mette i brividi: ora è tutto così scontato! Gli amici hanno preso altre strade, e ci siamo salutati per l’ultima volta; si dice addio al Camino e si fa ritorno alla routine della vita quotidiana già rigorosa, dagli orari inflessibili: binari, treni, folla, attese stancanti e poi finalmente a casa nel Rifugio, ancora tanto lontano quanto desiderato, a volte, durante il Camino. Già i ricordi incalzano, ed è con una sorprendente punta di nostalgia che si ripensa agli avvenimenti che ci sembrano succeduti con una rapidità incredibile. Il treno è puntuale; mi porta verso La Coruña, sulla costa Cantabrica verso Nord-Ovest; perfino i lineamenti delle persone mi sembrano cambiati, i loro tratti mi sembrano più morbidi, dalla pelle leggermente più olivastra: mi piace pensare che siano Portoghesi. Arrivo a La Coruña: si sente che l’oceano è qui vicino, c’è un sapore di salmastro nell’aria! Alle 17,50 il treno Estrella si muove verso Barcellona, attraversando dei bracci di mare; il paesaggio è molto vario con montagne ed un bel fiume che costeggiamo fino ad un grande lago; seduti vicino a me vi è una famiglia di esuli Cubani che ora abitano negli States, a Miami in Florida. Parliamo di tutto un poco e mi raccontano della situazione di Cuba, che descrivono mestamente come luogo di vacanze per soli stranieri danarosi, mentre per i nativi la vita è veramente dura, e cercano di sopravvivere alla meno peggio. Sperano di poterci ritornare un domani… Ora stanno andando a Parigi per una vacanza.

29/07/99 Giovedì: 2° giorno di ritorno da Santiago de Compostella

Questo viaggio notturno in treno mi è sembrato interminabile, ma anche ora che è mattino ed è possibile vedere il paesaggio scorrere, il tempo non passa mai. Sto attraversando tutta la Spagna, sono vicino a Lleida, e gli scorci del paesaggio che si vedono dal finestrino sono magnifici. Molto lontano verso Sud, ho visto dei castelli in cima alle montagne; subito mi sono venuti in mente i castelli dei “Cathari”, una comunità di religiosi che aspiravano al raggiungimento della purezza dello spirito ed al distacco da tutto ciò che era terreno e materiale, quindi passibile di peccato e fonte di male. Questi “Cathari” per difendere il loro Credo dalla furia dell’Inquisizione, erigevano ed abitavano dei castelli in cima a delle montagne inaccessibili nella regione dell’Ariege e dell’Aube nell’Occitania, il profondo Sud della Francia; ma qui sono vicino a Tarragona, in Spagna, e non è possibile vederli: ho davanti a me i Pirenei Orientali a Nord che mi coprono il Sud della Francia! Il vedere questi castelli in cima alle montagne me li ha fatti tornare in mente prepotentemente, e come so perfettamente, tutto ciò che sa di mistero e di possibili legami con il mondo Celtico di cui l’Occitania era stata influenzata e dove avevano agito e predicato i “Cathari”, mi attira inesorabilmente: proprio come una falena è attirata da una sorgente di luce fortissima! Mi è noto che la FFRP, ha edito una guida per poter vedere le vestigia di questi castelli che ora sono poco più che ruderi, ma che conservano sempre un forte potere di attrazione. Alle 11 il treno ferma a Barcellona. Sono un poco stanco e vado subito al deposito bagagli per liberarmi dallo zaino e poi mi porto al bar per una colazione calda; al termine, comincio a girovagare nella stazione cercando un posto dove poter allungare le gambe e cercare di dormire un po’. C’è una folla vociante che và e viene, quindi ci si mettono anche dei lavoratori di una azienda che protestano qua dentro con fischietti e tamburi, un bailamme! Esco dalla stazione, ma il sole picchia forte, ed allora mi rifugio in un fresco supermarket cercando di tirare tardi; compro dei salsicciotti di chorizo da portare a casa come souvenir. L’anno scorso fù la volta del Cola-Cao per Alice: ora lo zaino sarà pieno di chorizo! Con una bottiglia di Coca-Cola rientro in stazione; ritiro lo zaino dove ho due monumentali bocadillos e mi appresto a cenare in un angolino quieto, prima che le sospirate 20,38 mi portino il convoglio. Nello scompartimento poi, sono con uno Svizzero Romancio, ed un ragazzo di Foggia che proviene dal Portogallo dove si trovava per una vacanza-studio; mi racconta che anche là vi è un cammino che porta a Compostelle, e che le regioni da attraversare sono bellissime: anche gli abitanti, mi dice, sono estremamente cortesi e gentili. Può essere uno stimolo per il Camino Portogues!

30/07/99 Venerdì: 3° giorno di ritorno da Santiago de Compostella e rientro a casa

Il Wagon-Lits Talgo-hotel, è bello, comodo e si viaggia molto bene e velocemente; chiacchierando con gli altri passeggeri, tiriamo le 23, raccontandoci cose ed avvenimenti dei luoghi che abbiamo appena lasciato: come ci sembra la Spagna e cosa ci siamo stati a fare. Il normale giro di conoscenza che si fa in uno scompartimento di un treno a lunga percorrenza; sono tutti degli ottimi compagni e si sta allegri. Racconto un poco il mio Camino, del perché e del percome; lo Svizzero, è in giro per lavoro e per turismo, e finiamo a parlare dell’inverno appena scorso che ha causato molte valanghe dalle sue parti: è desideroso di arrivare a casa, suppongo che gli manchi un pò della tranquillità che dalle sue parti è proverbiale ma che qui è veramente scarsa: ancor più ora, in piena estate con una marea di persone sgomitanti sulle spiagge. Il ragazzo di Foggia mi parla dei Portoghesi, della loro cultura e della loro lingua, facendomi notare che non assomiglia affatto allo Spagnolo che noi parliamo più o meno bene; è così accalorato nella sua esposizione, che mi mette una bella curiosità, e conoscendomi, andrà a finire che sicuramente mi occuperò di questo nuovo lato di un possibile futuro Camino. Poi, troppo tardi, mi accorgo che mi sono addormentato; l’aria fredda del condizionamento mi ha giocato un brutto tiro, e sento che ho buscato un bel raffreddore: 1500 Km all’aria aperta, e poi un banale ed irritante raffreddore a due passi da casa! Anche questo è da accettare con umiltà: in fondo, sono le piccole contrarietà quotidiane che ti formano, o no? Il treno entra nella familiare Stazione Centrale di Milano, e là in fondo, ecco Giovanna ed Alice che agitano le mani; penso che salutano me, o forse ci sono dei moscerini che le disturbano? No, aspettano proprio me; sono felice di rivederle. Mi sono ricongiunto alle persone che mi stanno a cuore più di ogni altra cosa al mondo e che per me, hanno trepidato e vissuto un cammino parallelo a quello che ho felicemente appena concluso. Ora sono finalmente a casa, nel Rifugio.

ULTREYA !
Sala Mauro. Pellegrino Anno Santo Compostellano 1999