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Quando il silenzio è fragoroso

Cammino di Santiago: da Astorga: 258 chilometri – Foncebadón: 234 chilometri – Ponferrada: 208 chilometri: Maragatería e El Bierzo sono il luogo in cui il pellegrino si libera dei pesi che porta con sé e l’universo cospira a suo favore.

Un racconto di Sergio Garcia.

In ogni viaggio c’è un istante che fa la differenza; quando i pianeti sembrano allinearsi per dare forma a un’esperienza irripetibile e il cuore, l’occhio e il cervello coincidono sulla stessa lunghezza d’onda. Quel momento si è verificato alla Cruz de Ferro, il punto più alto del Cammino Francese, a 1.500 metri sul livello del mare. Sono partiti un’ora prima dell’alba per arrivare da Foncebadón e compiere il rituale che migliaia di pellegrini ripetono da secoli: lanciare la pietra che hanno portato con sé dalle loro case e che simboleggia i fardelli che hanno portato con sé e di cui sono riusciti a liberarsi. Cullati dal vento, avvolti dalla luce dell’alba. Ognuno padrone dei propri pensieri.


A dieci giorni dalla fine del Cammino è tempo di fare un bilancio. Ci lasciamo alle spalle Astorga senza piaghe o distorsioni, ma una vescica è da non perdere di vista, e il ricordo della rigidità mattutina ormai sepolto da tempo. Il Vicks Vaporub fa miracoli sui nostri piedi, che hanno bisogno di idratazione sui sentieri polverosi, e le creme solari volano tra i membri della spedizione. Il problema principale d’ora in poi sarà quello di prenotare un posto negli ostelli, dato che il numero di pellegrini aumenta a dismisura man mano che ci avviciniamo alla Galizia. Un esempio. A Foncebadón occupiamo anche i letti a castello più alti; c’è persino chi condivide un letto e questo dopo aver chiesto un angolo dove stendere la stuoia.


Il paesaggio ha subito un drastico cambiamento. Sono spariti gli eterni campi di grano, di mais e di girasoli, e al loro posto il cammino si snoda lungo un sentiero di pietra ai piedi dei “Montes de León” tra pinete, querceti e rovereti come quello che sbuca alle porte di Rabanal del Camino costellato di croci, chissà se per allontanare i ladri che un tempo depredavano i pellegrini. Un territorio di mulattieri e di cavalieri templari, di chi si guadagna il pane con il sudore della fronte. A proposito, qualcuno ha preso sul serio l’idea di sottolineare il sentimento “Leonese”, perché da qualche tempo vediamo la parola “Castiglia” cancellata dai cartelli con cui la Junta indica l’itinerario.

Ad Astorga riprendiamo le forze con un sostanzioso stufato di Maragato , poiché l’uomo non vive solo di uova, patate fritte e lombo di maiale marinato – e partiamo per un percorso in leggera salita attraverso villaggi di pietra che sembrano ancorati nel passato. Murias de Rechivaldo, Santa Catalina de Somoza, El Ganso? Il campanile delle loro chiese funge da biglietto da visita tra le nuvole soffici e l’aria fresca che si è alzata. Per oggi è prevista pioggia. “L’universo gioca sempre a nostro favore”, dice Manuel, uno zamorano di Fuente Encalada de Vidriales, che parla di vortici tellurici e di pietre miliari sul percorso che “ti collegano, proprio come una batteria”. Fresatore, speleologo, artigiano del cuoio? Indossa pantaloni patchwork, come un copriletto a quadri, ed è accompagnato da un cane, un misto di levriero, podenco e labrador che si fa chiamare in modo inquietante “Anaconda” (si capisce perché, quando si alza sulle zampe posteriori, ti abbraccia e ti prende il braccio destro con la bocca, chiedendo affetto). Tira il suo padrone con impazienza, come se le indulgenze dovessero essere date a lui. “Di questo passo, sarò a Santiago tra tre giorni”. Mi passa un unguento di sua invenzione e la contrattura alla schiena scompare. “Burro di karité, radice di peonia ed essenza di geranio”, mi rivela. Questo ragazzo è un genio.


Collezionista di itinerari: Incontriamo Mariano, un ingegnere civile delle Asturie che ha scoperto l’Itinerario Jacobeo dopo aver lavorato per metà della sua vita all’estero. Da otto anni colleziona itinerari come fossero figurine. Il Primitivo, il Francese, la Vía de la Plata, il Cammino del Nord… È stato anche hospitalero a Ponferrada. Dopo 16 mesi di restrizioni pandemiche, porta con sé due zaini, “quello che porto sulla schiena e i 6 chili di pancia che ho messo su con tanto divano”. Si ferma in ogni bar, quindi sarà difficile liberarsi di quest’ultima. “Vengo ogni volta che posso, non perché ho fatto una promessa o devo trovare me stesso. Mi piace la natura e socializzare con persone che non ho mai incontrato prima, che seguono la loro strada come io seguo la mia.

Foncebadón al naturale tempo fa,
Foncebadón oggi = cemento e più cemento

Foncebadón è un villaggio in salita dominato da un campanile che sembra possa crollare da un momento all’altro. Ci sono due residenti registrati, ma questo non impedisce la proliferazione di negozi, ostelli e ristoranti lungo la strada principale, l’unica. Da lì pianifichiamo l’assalto a Ponferrada e al suo castello templare. Ci separano 26 chilometri, la maggior parte dei quali è una discesa criminale con rocce d’imboscata da torcere le caviglie e spiaccicare le ginocchia, e villaggi da cartolina come El Acebo o Riego de Ambrós.


Poco prima si trova Manjarín, l’ostello di Tomás el Templario e di “Oso”, il suo scudiero. 28 anni ai piedi del canyon, offrendo riparo, conforto e un caffè dal pentolino capace di riportare in vita i morti. Assicura che 65.000 pellegrini hanno varcato le sue porte (ora chiuse per un problema di igiene), “da bambini a cui mancavano solo le ali per essere angeli”, dice, “a inviati satanici, come quelli che nel 1999 hanno distrutto la Cruz de Ferro”. Le teorie cospiratorie sono il suo forte, ma il tempo non ci basta.
In pianura, il fiume scorre attraverso Molinaseca. Immergiamo i piedi nell’acqua mentre i nostri bicchieri vengono riempiti di vino mencía, godello, ancora mencía: Il paradiso deve essere così…


Adattamento e libera traduzione: Mauro Sala