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Leyendas y milagros Jacobeos. Il Voto dei Trenta Cavalieri della Lorena, o “È meglio non pronunciare Voti piuttosto che non mantenerli”

Questo miracolo compiuto da San Giacomo Apostolo della Galizia, vuole far intendere al pellegrino  (ancor più quello odierno), quanto è anche asserito dalle Sacre Scritture.

“È preferibile non pronunciare voti, piuttosto che non mantenere ciò che è stato promesso”.

Libera traduzione con adattamenti o aggiunte di Mauro Sala; ad un articolo di Alberto Solana.

https://albertosolana.wordpress.com/2017/11/07/1-los-treinta-peregrinos-loreneses/

Dal Codex calixtinus:  Libro II, Cap. IV.

Il maestro Uberto, che nell’XI secolo era canonico della chiesa di Santa Maria Maddalena di Besançon, di cui era considerato un chierico molto pio, ci lascia il resoconto di una delle più grandi testimonianze del valore della protezione di San Giacomo Apostolo ai suoi pellegrini, nel libro II del Codex Calixtinus, che fa parte del registro della Memoria del Mondo, e dove lo presenta come segue: “Dei trenta lorenesi e del morto che l’Apostolo trasportò in una notte dai porti di Cize al suo monastero”. (Port de Cize = attuale Ruta Napoleón da SJPdPort).

Egli nella sua storia, racconta che, mossi da una pia devozione, trenta cavalieri della Lorena, decisero di visitare la basilica di Santiago di Galizia nell’anno 1080 dell’Incarnazione del Signore, e poiché l’animo umano cambia così tanto nei suoi scopi e approcci in compiti di promessa di fedeltà e servizio reciproco, fecero un patto per la loro fede,

giurando di aiutarsi e di essere leali l’uno con l’altro, fecero un patto per la loro fede, giurando di aiutarsi e di essere fedeli l’uno all’altro, ad eccezione di uno, che non volle legarsi all’impegno attraverso il giuramento, forse perché non riteneva necessario sottoporre a un giuramento collettivo ciò che intendeva come un obbligo morale personale. Si vedrà in seguito quanto il cuore umano possa essere riluttante a mantenere le sue promesse, e quanto possa essere generoso in altri momenti per adempiere liberamente a ciò che è la giustizia e il dovere di un buon cristiano e gentiluomo.

Si misero in viaggio e arrivarono sani e salvi alla città della Guascogna chiamata Porta Clusa, dove uno di loro, essendosi gravemente ammalato, non era in grado di proseguire il viaggio in alcun modo, cosicché i suoi compagni, secondo la fede giurata,

lo trasportarono a volte a cavallo, a volte in braccio, fino a Portus Cisere (Port de Cize), trascorrendo quindici giorni su un cammino che chi va libero, di solito percorre in cinque. Alla fine, stanchi e tristi, dimenticando la promessa fatta, decisero di lasciare il malato al suo destino, sperando forse che potesse, da solo, trovare una soluzione alla sua condizione.

Così fecero tutti, tranne colui che non aveva voluto legarsi con un giuramento, il quale, dando prova di una lealtà non impegnata ma ispirata dalla pietà, decise di assisterlo come se fosse il buon samaritano, e non solo non si separò dal compagno bisognoso ma, al contrario, proseguì fa ticosamente con lui il suo cammino. Raggiunsero così Ostabat e poi il villaggio di Saint-Michel (attuale Saint-Michel, a 3,5 Km da SJPdPort), ai piedi del passo di Cize, dove il malato gli chiese di proseguire da solo a causa della dura salita che li attendeva, al che lui rispose che non lo avrebbe mai abbandonato. Salirono fino in cima e fu sulla vetta (attuale Col de Lepoeder), all’imbrunire, che l’anima del pellegrino malato lasciò il suo corpo, accompagnata dal beato San Giacomo, e fu collocata nel riposo del paradiso, dove ricevette la ricompensa delle sue virtù.

Terrorizzato dalla solitudine di quell’aspra montagna, dall’oscurità della notte, dalla vista del defunto, dalla gente barbara che abitava quelle montagne, e non aspettandosi alcun aiuto umano, il pellegrino caritatevole, nella disperazione e nella solitudine del momento, trovò rifugio morale nel riporre tutti i suoi pensieri in Dio, chiedendogli con fervore il suo aiuto. E il Signore, che è fonte di misericordia e non abbandona chi spera in lui, si degnò di assistere il pellegrino desolato inviandogli l’apostolo San Giacomo in persona, che gli apparve nelle vesti di un guerriero, montato a cavallo.

“Cosa fai qui, fratello mio?”, disse all’infelice, la cui anima stava per essere lacerata dall’angoscia. Signore”, rispose, “sono molto ansioso di seppellire il mio compagno, ma non riesco a trovare un modo per farlo in mezzo a questa immensità. Al che egli rispose: “Consegnami il corpo, e anche tu cavalca dietro di me finché non raggiungiamo il luogo di sepoltura”. E così fu fatto, l’Apostolo accolse il defunto tra le braccia e lo mise di fronte a sé, e fece montare il pellegrino dietro di lui.

O meravigliosa potenza di Dio e prodigioso patrocinio del beato San Giacomo! Percorrendo in quella stessa notte dodici giorni di viaggio, prima del sorgere del sole l’Apostolo scese sul Monte do Gozo, un miglio prima del suo monastero, e lasciò a terra coloro che aveva portato con sé, ordinando al vivo di andare a pregare i canonici della suddetta basilica di seppellire il pellegrino del Beato San Giacomo. Poi aggiunse:

“Quando vedrai che il funerale del tuo defunto si è svolto con i dovuti onori, e quando tornerai, dopo aver trascorso una notte in preghiera, secondo l’usanza, troverai i tuoi compagni nella città di León, ai quali dirai: “Poiché non vi siete comportati con fedeltà nei confronti del vostro compagno, abbandonandolo alla sua sorte, l’Apostolo vi fa sapere, per mezzo mio, che finché non farete la dovuta penitenza, non riceverà con piacere le vostre preghiere e i vostri pellegrinaggi”. Fu a questo punto che il pio pellegrino capì finalmente che colui che gli parlava era l’Apostolo di Cristo in persona e volle gettarsi ai suoi piedi, ma il soldato di Dio scomparve dalla sua presenza.

Dopo aver compiuto tutte le sue devozioni e seguendo le parole del suo protettore, il pio pellegrino iniziò il viaggio di ritorno, durante il quale ritrovò i suoi compagni nella suddetta città, ai quali raccontò con precisione ciò che gli era accaduto da quando si erano separati e quali richieste e minacce l’Apostolo aveva pronunciato contro di loro per non essere stati fedeli al loro compagno. Ammirati da ciò che avevano sentito e vergognosi e pentiti della loro condotta, confessarono la loro colpa davanti al vescovo di León, che impose loro la penitenza in quel luogo e poi completarono il loro pellegrinaggio per la maggior gloria dell’apostolo San Giacomo.

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Di seguito, vi sono i riferimenti storici e autori ai quali Alberto Solana attribuisce una doverosa descrizione al riguardo della succitata leggenda.

Molto probabilmente Uberto, il primo autore del racconto, si trovava allora a Santiago, e vide e trattò il pellegrino rimasto fedele come chi abbandona il compagno da cui ha giurato di non separarsi fino alla morte. Secondo l’autore francese Pierre David, nei suoi studi e lavori sul Liber Sancti Jacobi, ritiene che Uberto di Besançon doveva essere un personaggio storico di una certa autorevolezza; non per niente Besançon era anche la patria di Guido di Borgogna (Papa Callisto II; 1119-1124), con il quale doveva avere un legame notevole. La fama del prodigio si diffuse rapidamente e il racconto fu inserito nel Codice di Papa Callisto II, dopo che la sua stesura definitiva fu redatta durante il Primo Concilio Lateranense (1123).

Il prodigio a cui si fa riferimento è raccontato anche più tardi nelle agiografie di Vincenzo di Beauvais (1190-1264) nel suo “Speculum Historiale” e di Jacques de Voragine (1228-1298), (Jacopo da Varagine), nella sua Legenda Aurea che narra i miracoli del Calixtinus.

Sul Monte del Gozo stesso, e nel luogo in cui fu sepolto il pellegrino lorenese di cui ci dà il nome, Godofredo, Castellá Ferrer (1567-1612), fu costruita una cappella in onore di San Lorenzo, anche se era comunemente conosciuta come chiesa del Corpo Santo.

Ad essa, come a quella di San Marco, il capitolo della cattedrale si recava in processione una volta all’anno, a testimonianza di quanto fosse gradito all’Apostolo il pellegrinaggio a Compostela. Nel XVII secolo, il sepolcro del Santo Corpo era molto visitato, secondo la testimonianza di Castellá Ferrer (Historia de Santiago Zebedeo, lib III, fol 226 ret.); e in diverse chiese e altari consacrati al nostro santo Apostolo in varie parti della cristianità, come la tavola dipinta nel 1441 da Giovenale Johanilis di Orvieto, conservata per lungo tempo nell’ex Cappella di San Giacomo della chiesa di Santa Maria Araceli a Roma, oggi Cappella di San Michele Arcangelo.

López Ferreiro (1837-1910) racconta nella sua Storia della Chiesa di Santiago, che su una altura vicino alla città si trovava la cappella di Santa Cruz, poi chiamata Manxoi (dal francese Montjoie o Monte della Gioia in italiano), e del Santo Corpo, fondata sul tomba del pellegrino Questa cappella era diversa dall’attuale di San Marcos, e si trovava circa due chilometri più vicino alla città, su un poggio, oggi ricoperto di pini, a destra dell’autostrada di Lugo. Era un luogo molto venerato, e nel XII e XIII secolo vi si raccoglievano abbondanti elemosine. Nel XVII secolo la cappella fu abbandonata e oggi le sue fondamenta sono appena scoperte. Pierre David, tuttavia, ritiene che questa identificazione sia tardiva ma si ispiri alla lettura del miracolo.

Si tratta di un episodio emblematico scrive Alberto Solana (anche per me. ndr), a suo avviso il più attraente dei miracoli dell’apostolo San Giacomo, che demistifica anche l’immagine di Santiago Caballero, così strettamente legata al concetto tradizionale di Santiago Matamoros. È tradizione distinguere tre modi di presentare San Giacomo: come apostolo, come pellegrino e come cavaliere. Ma ci sono altre immagini che mostrano una figura intermedia tra il Cavaliere e il Pellegrino, o il Cavaliere e l’Apostolo; ma ciò che è rilevante, oltre alla morale di questa storia, è che soprattutto Santiago è una figura protettiva, che svolge ben più di un ruolo di sentinella, di compagno e di benefattore del pellegrino.

Mauro Sala